L’Arabia Saudita promuove un centro di dialogo interreligioso. E la Santa Sede fa da osservatore

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Benedetto XVI e il re saudita Abdullah si sono incontrati il 6 novembre 2007. Un incontro di mezzora, storico. Perché l’Arabia Saudita è uno dei pochissimi Paesi al mondo a non avere rapporti diplomatici con Santa Sede. Eppure, in quella mezzora di colloquio si gettarono anche le basi del KAICIID, ovvero del King Abdullah bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue. Un centro per il dialogo interreligioso, con base a Vienna. Tre Stati fondatori: l’Arabia Saudita – che sarà il maggiore finanziatore per tre anni, con un contributo di 15 milioni annuo – l’Austria e la Spagna. La Santa Sede, invece,  svolge il ruolo di Stato fondatore e osservatore permanente. Un ruolo di garanzia, “il più adatto – ha affermato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede –  a garantire la presenza della Santa Sede nel centro, rispettando la natura propria della Santa Sede e consentendole di esprimere le proprie aspettative”.

 

Perché il fatto che sia stata proprio l’Arabia Saudita a promuovere e inaugurare il centro non è stata esente da polemiche. Può promuovere il dialogo un Paese in cui non esiste la libertà religiosa? Un Paese dove si rischia l’arresto anche se si viene sorpresi in casa propria a praticare la propria religione? Un Paese dove non si possono costruire Chiese? Sono domande che sono state al centro di un dibattito particolarmente intenso, specialmente in Austria. Dove il Partito Verde ha espresso dubbi sul fatto che il regno saudita promuove il centro e allo stesso tempo finanzia molte moschee in Europa dove si predica il wahabismo, l’islam più conservatore che in Arabia Saudita è religione di Stato. E non è stata la sola voce critica. Elmar Kuhn – segretario generale dell’organizzazione umanitaria “Christian Solidarity International” (CSI) – ha parlato di una cantonata, mentre l’insegnante di religione islamica Ednan Aslan, di Vienna, ha ricordato le carenze del sistema giudiziario dell’Arabia Saudita e la mancanza di diritti per i lavoratori stranieri in quel paese.

Un dibattito che è stato anche rinfocolato dal fatto che si è deciso di dare al centro proprio il nome del re dell’Arabia Saudita. “Abbiamo deciso noi di farlo – ha spiegato David Rosen, direttore per gli Affari Religiosi dell’American Jewish Committee, che nel centro rappresenterà l’ebraismo – Ma vogliamo che la sua importanza si fondi sul fatto che l’iniziativa viene dall’Arabia Saudita, dal cuore del mondo islamico”.

Anche la Santa Sede guarda con attenzione all’Arabia Saudita, portando avanti un dialogo che si è andato sviluppando parallelamente all’iniziativa giordana della lettera Una parola comune tra noi e voi, che ha portato alla costituzione di un tavolo islamo-cristiano. Così, dopo l’incontro di Abdullah con il Papa, il re saudita ha aperto insieme a re Juan Carlos di Spagna una grande conferenza per il dialogo interreligioso e multiculturale, convocata dalla Lega Musulmana mondiale. In quell’occasione, il cardinal Jean Luis Tauran, presidente per il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, aveva annunciato un documento del dicastero da lui guidato dedicato proprio al dialogo interreligioso.

Tauran era presente anche all’inaugurazione del KAICIID, lunedì 26 novembre, cui partecipavano anche il segretario dell’Onu Ban Ki Moon e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Perfettamente consapevole delle critiche mosse all’iniziativa saudita, ha sottolineato che “il mondo ci guarda” e si aspetta che il Centro sia un luogo di dialogo per promuovere “la libertà religiosa in tutti i suoi aspetti, per ognuno, per ogni comunità, per ogni luogo”.

È un riferimento anche alla situazione dell’Arabia Saudita? Come contrappunto all’iniziativa, l’ILMOE (Iniziativa Musulmani Liberali Austria), un’associazione musulmana con base a Vienna, ha chiesto che si costruisca una chiesa in Arabia Saudita, perché il centro non sia una proclamazione astratta della libertà religiosa, ma un segno concreto per aprire nuovi orizzonti di reciprocità e dialogo.

Difficile accada subito. Il ministro degli Esteri saudita Faud Al-Faisal ha parlato di una “lunga marcia” del suo Paese verso delle caute riforme – le donne, ad esempio, potranno votare alle municipali del 2015 –, e ha assicurato che “il centro è un punto di partenza verso il cambiamento”. Il Rapporto sulla Libertà Religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sottolineato la situazione di un’Arabia Saudita “impermeabile” alla primavera araba, mentre nei vicini Emirati Arabi Uniti è stato possibile costruire la prima Chiesa russo-ortodossa.

D’altra parte, i sauditi ci tengono a sottolineare che il KAICIID è un organismo internazionale, e che la politica non c’entra niente. Il centro è strutturato con un Board of Directors, un organismo che comprende personalità di alto livello delle principali religioni: cristianesimo, ebraismo, islam, induismo e buddismo. In questo board sarà incluso padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che svolgerà anche la funzione di osservatore. Ayuso ha spiegato che “Il dialogo basato sul rispetto, sulla mutua intesa e collaborazione rappresenta necessità fondamentali non solo per il presente ma anche per il futuro. Quale osservatore per la Santa Sede e membro del Board per la Chiesa cattolica avrò l’opportunità di impegnarmi a supportare KAICIID nel promuovere questi valori”. Il Board sarà sostenuto da un Advisory Forum composto da oltre cento rappresentanti di altre religioni, istituzioni culturali e organizzazioni internazionali.

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