Gian Franco Mammì, il “banchiere di ferro”, figura cruciale al vertice dello IOR. Le sue denunce hanno portato a “scoperchiare dall’interno la pentola” degli scandali finanziari in Vaticano

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Non è solo terra di n’drangheta. Anzi è molto di più, è terra di eccellenze dal capitale umano irreprensibile e incorruttibile. Gian Franco Mammì è il vero riformatore, che a suon di denunce sta mettendo in riga molte realtà economiche della Santa Sede, sulla scia tracciata dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri in Calabria, terra di eccellenze umane. Mammì da attento cassiere dell’Istituto per le Opere di Religione (IOR) a Direttore Generale irreprensibile dell’Istituto, ecco chi è il banchiere di ferro dello Stato della Città del Vaticano.

Gian Franco Mammì.

Gian Franco Mammì è originario di Siderno, un comune della città metropolitana di Reggio Calabria, a ridosso della Costa dei Gelsomini e rinomata zona turistico-balneare della Locride. Si è laureato in Scienze Politiche all’Università di Messina e solo in seguito ha abbandonato la sua amata Calabria per salire fin verso Roma. Ha svolto gran parte della sua carriera professionale proprio all’interno dello IOR, dove ha iniziato a lavorare nel 1992, svolgendo le mansioni di cassiere. Negli ultimi tre decenni egli ha maturato una vasta esperienza in diverse posizioni, anche dirigenziali, lavorando con i clienti italiani e latino-americani dell’Istituto in veste prima di Client Relationship Manager e poi di Vice Responsabile dell’Ufficio Successioni. Poi, ha prestato servizio in qualità di Responsabile dell’Ufficio Acquisti.

6 marzo 2015 – La nomina a Vice Direttore Generale dello IOR

Il 6 marzo 2015 il Consiglio di sovrintendenza dello IOR lo ha nominato a tempo indeterminato Vice Direttore Generale, con l’approvazione della Commissione Cardinalizia di Vigilanza dello IOR e dall’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF). A differenza di Gianfranco Mammì, il mandato del Direttore Generale Rolando Marranci era a scadenza e che sarebbe rimasto “Direttore Generale per un congruo periodo di tempo”. Fu specificato che nella sua nuova posizione di Vice Direttore, Mammì rispondeva al Consiglio di Sovrintendenza ed era responsabile, in via congiunta con il Direttore Generale dell’Istituto Rolando Marranci, di tutte le attività operative.

Al momento della sua nomina a Vice Direttore Generale, il Consiglio di Sovrintendenza ha precisato che la nomina di Mammì “esprime la volontà del Consiglio di promuovere lo sviluppo delle potenzialità professionali del personale interno”. Questo nomina fu vista come conferma che lo IOR era concentrato nel mettere in atto, come già annunciato, profondi miglioramenti nei prodotti e servizi offerti.

Nelle precedenti amministrazioni dello IOR, Mammì non ha avuto vita facile, per la sua volontà di far luce su operazioni opache. Quindi, Mammì era stato isolato per aver sollevato domande sulla gestione dell’Istituto, un atteggiamento che lo aveva messo in contrasto con la vecchia dirigenza dello IOR. Il Sole 24 Ore ha scritto che Mammì era entrato in contrasto in anni passati con la gestione targata Angelo Caloja e Lelio Scaletti, che entrambi furono indagati dal Promotore di giustizia vaticano in merito a operazioni immobiliari avvenute tra il 2001 e il 2008, che ha portato al processo concluso il 3 dicembre. Anche per questo fu ipotizzato che il trasferimento all’Ufficio acquisti fosse dovuto proprio a questa “differenza di vedute”.

Proprio per essersi occupato dello sviluppo della clientela in America Latina, secondo Il Fatto Quotidiano, Mammì sarebbe entrato in contatto con l’Uomo che Veste di Bianco, quando era ancora Cardinale Jorge Maria Bergoglio, Arcivescovo di Buenos Aires. “Troppo forti le pressioni della lobby nordamericana legata al Sostituto della Segreteria di Stato Becciu e collegata anche all’Ordine dei Cavalieri di Colombo?”, si domandava Il Messaggero, allora diretto da Virman Cusenza, esprimendo il parere che “la decisione di dare continuità alla gestione avrebbe provocato disorientamento tra coloro che auspicavano il cambiamento sostanziale”.

1° luglio 2013/4 febbraio 2020 – Il caso del processo italiano a Massimo Tulli/Paolo Cipriani

La carica di Vice Direttore Generale era vacante da ben due anni, da quando Massimo Tulli (insieme all’allora Direttore Generale Paolo Cipriani) si era dimesso il 1° luglio 2013. All’epoca si scrisse di “dimissioni sollecitate direttamente dal Papa” a motivo dell’inchiesta giudiziaria italiana sulle attività dell’Istituto nel Torrione di Niccolò V. Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera osservò come in quell’inchiesta “in cima all’elenco degli indagati c’erano proprio Cipriani e Tulli, entrambi sospettati di aver avallato gli illeciti che venivano compiuti”. Dimissioni, dunque, per prevenire un licenziamento “inevitabile”.

Sulla questione Andrea Gagliarducci in un articolo del 5 febbraio 2020 su Aci Stampa ha ripercorso i fatti del caso Tulli-Cipriani, da cui citiamo di seguito. E infatti, per i due il processo si era aperto in dicembre 2014, prendendo il via con un sequestro preventivo, per un ammontare di 23 milioni di euro adottato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma nel 2010. Il sequestro era stato disposto perché lo IOR non avrebbe fornito le informazioni necessarie al Credito Artigiano (ora Credito Valtellinese) per attuare gli obblighi di “adeguata verifica rafforzata” (vale a dire l’identificazione del titolare e dell’origine dei fondi) previsti dalla normativa antiriciclaggio italiana, e applicati allo IOR, che in una comunicazione della Banca d’Italia alle banche italiane era qualificato come un ente situato in una giurisdizione non europea, che sempre la Banca d’Italia considerava a regime antiriciclaggio “non equivalente” a quello italiano.

Nel 2013, l’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) della Santa Sede e l’Unità di Informazione Finanziaria italiana stipulano un protocollo di intesa, e nel 2014 i fondi sequestrati nel 2010 sono rimpatriati in Vaticano. Quando i fondi furono rimpatriati, lo IOR rilasciò un comunicato che sottolineava come “il rimpatrio dei fondi è stato ora reso esecutivo anche per effetto dell’introduzione da parte della Santa Sede, avvenuta nel 2013, di un solido sistema di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e di vigilanza. Sistema riconosciuto dal Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa nel dicembre 2013”.

Eppure, rileva Gagliarducci, nonostante il rimpatrio dei fondi, continuava il processo a Cipriani e Tulli. C’erano altre operazioni (per un totale di 155) che erano state messe sotto la lente dei magistrati italiani. Il tutto si era poi ridotto a sette capi di accusa. Oltre ai 23 milioni, i capi di accusa riguardavano i trasferimenti di 220 mila euro disposti da tale Giacomo Ottonello; 100 mila euro da tale Giuseppina Mantese; 120 mila euro dalle Piccole Apostole della Carità; 66 mila 133 euro da Antonio D’Ortenzio; 70 mila euro da Lelio Scaletti (l’ex Direttore Generale dello IOR, nel frattempo scomparso); 100 mila euro da Lucia Fatello; 250 mila euro dalla rivista “La Civiltà Cattolica”.

Poi in appello Tulli e Cipriani sono stati assolti dall’accusa di riciclaggio perché “il fatto non sussiste”. La sentenza di appello, che ha confermato quella in primo grado, è arrivata il 4 febbraio 2020, ed è stata in generale ignorata dai media, osserva Gagliarducci su Aci Stampa, anche da quelli che si occupano di informazione religiosa. Per Cipriani e Tulli, è la fine di una procedura che li aveva messi sul banco degli imputati con una opinione pubblica ostile. Per la Santa Sede, è la certificazione che il lavoro svolto in tema di antiriciclaggio era stato fatto in piena trasparenza. Non è una cosa di poco conto, osserva Gagliarducci, che prosegue: “L’appello ha chiarito che non solo non c’era motivo per il sequestro, ma anche che il sistema vaticano funzionava già prima della legge antiriciclaggio, che tra l’altro la vecchia dirigenza IOR aveva contribuito a mettere su. Cosa, tra l’altro, che aveva certificato già il primo rapporto di Moneyval nel 2012, secondo il quale, tra l’altro, le procedure IOR sull’adeguata verifica della clientela (customer due diligence) andavano ‘in alcuni casi oltre i requisiti disposti dalla prima legge antiriciclaggio vaticana’ (cioè la Legge n. CXXVII,che anche per queste sue lacune fu riformata con il Decreto del 25 gennaio 2012)”.

25 novembre 2015 – La nomina a Direttore Generale dello IOR

Poi, la mattina del 25 novembre 2015, durante una visita alla sede dello IOR, Papa Francesco ha comunicato di persona al Consiglio di Sovrintendenza dello IOR la nomina di Gian Franco Mammì a Direttore Generale. Il Papa era giunto al Torrione de Nicolò V verso le 10.30 e si era intrattenuto con il Consiglio di Sovrintendenza per una ventina di minuti, vece sapere la Sala Stampa della Santa Sede con una breve nota, «comunicando la nomina del nuovo Direttore Generale nella persona del Dr Gian Franco Mammì, che sarà coadiuvato dal Dr Giulio Mattietti in attesa della scelta di un nuovo Vice Direttore».

Il Papa, per proteggersi dai corvi che imperversano nella Città del Vaticano, secondo Il Messaggero, avrebbe “avocato a sé la nomina del nuovo massimo dirigente” e scritto di suo pugno una lettera riservata al Presidente dello IOR Jean-Baptiste Douville de Franssu, tanto che “per blindare la riservatezza rispetto a possibili manomissioni ha anche intimato di sigillare con la ceralacca la busta contenente la short list”,  se non altro per la modalità scelta da Papa Francesco per comunicarla, dato che si era presentato di persona al Consiglio di Sovrintendenza per svelare il nome del successore di Rolando Marranci.

L’importanza della nomina perché Mammì è stato fondamentale per l’avvio di inchieste giudiziarie

La nomina di Gian Franco Mammì a Direttore Generale dello IOR passò piuttosto in sordina, con i vaticanisti distratti da un lato dagli aggiornamenti sul terrorismo islamico e le tensioni geopolitiche in Siria, dall’altro dall’avvio del processo Vatileaks 2 al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano (nonostante che aveva a che fare pure con l’Istituto per le Opere di Religione). La notizia finì in secondo piano sui quotidiani.

Eppure si trattava di una nomina importantissima all’interno dell’Istituto con sede nel Torrione di Niccolò V. Proprio perché il ruolo istituzionale di Mammì è stato fondamentale per l’avvio delle inchieste giudiziarie vaticane – e processi penali – che grazie alle sue denunce hanno portato a “scoperchiare dall’interno la pentola”, come ha dichiarato Papa Francesco parlando con i giornalisti durante il volo di ritorno dal Giappone, il 26 novembre 2019: “È la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro, non da fuori. Da fuori, [è successo] tante volte. Ci hanno detto: “Guarda…”, e noi con tanta vergogna…”.

Grazie alla denuncia di Mammi è stato avviato un procedimento penale interno allo SCV che ora, il 21 gennaio 2021 arriverà a sentenza per Angelo Caloia, Gabriele Liuzzi e Lamberto Liuzzi. Al termine delle due ultime udienze del 1° e del 2 dicembre del processo, iniziato il 9 maggio 2018 al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, presieduto da Giuseppe Pignatone. il Promotore di giustizia Alessandro Diddi ha chiesto la condanna a otto anni di carcere per riciclaggio e autoriciclaggio (sei anni) e peculato (due anni) per Angelo Caloia (per vent’anni Presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, dopo Mons. Paul Marcinkus) e per l’Avvocato Gabriele Liuzzo. Inoltre, ha chiesto sei anni di carcere per riciclaggio ed autoriciclaggio per il Professore Lamberto Liuzzo, figlio di Gabriele Liuzzo. Infine, ha chiesto la confisca diretta dei 32 milioni di euro già sequestrati sui conti di Angelo Caloia e Gabriele Liuzzo anche presso lo IOR e la confisca per l’equivalente di altri 25 milioni di euro [Il Promotore di giustizia vaticano ha chiesto la condanna a 8 anni per ex Presidente IOR, Angelo Caloia – 6 dicembre 2020].

Il caso 60SA

Anche lo scandalo 60A – l’acquisto dalla Segreteria di Stato del palazzo di lusso al numero 60 in Sloane Avenue a Londra, allargato a macchia d’olio e diventato uno scandalo finanziario vaticano molto più ampio – trova origine in una denuncia di Gian Franco Mammì. Ora, l’abbiamo scritto il 1° maggio 2020 e lo ribadiamo – non serve una lente per notare che l’informazione su questo caso giudiziario, la vogliono dare sotto traccia e quindi, che il coperchio è di nuovo sul vaso. Invece, secondo noi, ora è il momento della verità. Cioè, se dopo aver scoperchiato il vaso, vogliamo vedere anche cosa c’è dentro il vaso ed eventualmente veder processati i responsabili dei reati. Altrimenti, si farà come si è fatto per le riforme da vetrina, anche la giustizia sarà da vetrina. Questo è un passaggio fondamentale per capire se nello Stato della Città del Vaticano la Magistratura pontificia è libera di lavorare oppure no, se la Sala Stampa della Santa Sede è libera di lavorare o no. Se non l’hanno già fatto, i magistrati dovranno notificare agli imputati il rinvio a giudizio e gli avvocati degli imputati dovranno rispondere entro i termini presentandosi all’udienza preliminare. Perciò la Sala Stampa della Santa Sede dovrà per forza di cose emettere un Comunicato ufficiale – e non una comunicazione che non comunica – con i nomi degli imputati che vanno a processo e i nomi degli indagati per i quali si archivia il tutto. Perché una informazione precisa c’era nella “Comunicazione ai giornalisti” della sera del 29 marzo 2020: si parlava di “alcuni” e non di tutti. Stiamo a vedere e attendiamo che lasciano fare alla Sala Stampa della Santa Sede un Comunicato che comunica la verità.

Intanto, quella del 21 gennaio 2021 sarà sicuramente una sentenza storica in un processo avviato a seguito di una denuncia del Gian Franco Mammì, che farà da apripista ad un nuovo modo di considerare l’operato dei dirigenti, che gestiscono le amministrazioni della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. Bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare. Le denunce di Mammi vanno considerate come un gesto di grande valore istituzionale morale e umano e assumono a parer nostro la veste del nuovo corso delle vere riforme istituzionali, che di fatto hanno portato l’Uomo che Veste di Bianco a modificare alcuni statuti di realtà come l’Istituto per le Opere di Religione (IOR) [Chirografo del Santo Padre dell’8 agosto 2019], l’Ufficio del Revisore Generale [Statuto dell’Ufficio del Revisore Generale del 21 gennaio 2019] e dell’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) [Chirografo del Santo Padre di ridenominazione e approvazione del nuovo Statuto dell’Autorità di Informazione Finanziaria, ora Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF) del 12 dicembre 2020 e Finanze vaticane, l’AIF rafforza la presidenza, cambia nome e stabilisce un nuovo ufficio di Andrea Gagliarducci – Aci Stampa, 5 dicembre 2020].

Il legame di Gian Franco Mammì con la Calabria

Il legame con la sua terra di origine, dove vive ancora parte della sua famiglia, il Direttore Generale Gian Franco Mammì non lo ha perso. Lo testimoniano le parole del sindaco di Siderno Pietro Fuda, ex senatore con la lista dei Consumatori che sostenne Romano Prodi e oggi esponente di punta del Centro Democratico di Bruno Tabacci. “Conosciuto personalmente e stimato dal sindaco – si legge in una nota dell’amministrazione comunale di Siderno -, da oggi anche lui costituisce uno dei sempre più frequenti esempi di sidernesi illustri in giro per il mondo, in grado di innalzare il nome del nostro paese all’estero e di renderci orgogliosi”.

Oltre a quelli del sindaco Fuda, a Mammì sono arrivati anche i complimenti di esponenti di primo piano del Pd in Calabria. Il sindaco di Reggio, Giuseppe Falcomatà, ha fatto via Twitter gli “auguri di buon lavoro a un illustre reggino”, così come il presidente del consiglio regionale Nicola Irto che ha parlato di “un calabrese scelto dal Papa per un ruolo delicatissimo”.

Gian Franco Mammì è fratello del Dott. Pier Domenico Mammì, medico specializzato in igiene pubblica e dipendente dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, che a inizio 2015 aveva deciso di partecipare alle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato sindaco di Siderno. Tuttavia, un grave atto intimidatorio (una tanica di benzina e una busta di proiettili lasciati sopra la sua automobile) lo hanno indotto in un secondo momento a ritirare la candidatura. A quel punto le primarie non si sono nemmeno tenute e Pietro Fuda – sostenuto anche dal Pd di cui era invece espressione Pier Domenico Mammì – fu stato eletto nel giugno 2015 con un consenso plebiscitario di oltre l’80% delle preferenze. Tuttavia, ad accendere i riflettori su quelle elezioni ci ha pensato successivamente anche una vasta operazione della Procura nazionale antimafia che ha svelato intrecci descritti dal Corriere di Calabria.

Foto di copertina: Abbiamo definito Gian Franco Mammì il “banchiere di ferro”. Allo Staff del Blog dell’Editore piace molto questa immagine accostata alla figura di Mammì, che come un fabbro che forgia il ferro a suon di martellate di verità, denuncia i corrotti e li assicura alla giustizia vaticana; riformando dall’interno il mondo economico della Santa Sede; scoperchiando il vaso e permettendo alla giustizia vaticana di guardarci dentro, con la possibilità che possa operare se guardando nel vaso trova illeciti finanziari. Mammì il “banchiere di ferro” contro le riforme da vetrina, contro la giustizia da vetrina. a suon di martellate di verità che prendono la forma di pesanti denunce, che martellano la corruzione arrogante e strafottente.

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