Numeri ufficiali Covid-19 del 29 novembre 2020. Una generazione se ne va, senza neanche una carezza. Ma il problema è il pranzo di Natale e sciare a capodanno

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“Non ripetere gli errori dell’estate: il virus circola ancora, e in maniera molto più forte rispetto all’estate, quando uscivamo da due mesi di lockdown totale. Continuiamo a limitare gli spostamenti a quelli necessari e a rispettare le misure igieniche di prevenzione”. È l’appello del Presidente della Federazione degli Ordini dei medici Filippo Anelli, che ha appena avuto un’interlocuzione informale con il Ministro della salute Roberto Speranza.
Il Natale è “persino più insidioso dell’estate, perché il virus è più facile che si trasferisca da una persona all’altra in un luogo chiuso, mentre d’estate si sta di più all’aperto”. Lo ha detto il Ministro della salute Roberto Speranza, in video collegamento con Live Non è la D’Urso su Canale 5.

Ringraziando i nostri lettori e sostenitori, ricordiamo che è possibile inviare comunicazione presso l’indirizzo di posta elettronica del “Blog dell’Editore”: QUI.

I dati Covid-19 ufficiali del Ministero della salute di oggi domenica 29 novembre 2020

In isolamento domiciliare: 759.139 (+6.892) (-0,92%)
Ricoverati con sintomi: 32.879 (-420) (-1,26%)
In terapia intensiva: 3.753 (-9) (-0,24%)
Deceduti: 54.904 (+541) (+1,00%)

Il sistema “Tutor” per verificare il “trend” dell’epidemia

Media giornaliera dei decessi: 194 (+1)

Tabella con i decessi al giorno, il totale dei decessi e la media giornaliera dei decessi [A cura dello Staff del “Blog dell’Editore”]: QUI.

Il punto della situazione a cura di Lab24

Dobbiamo un chiarimento sul tema casi testati, totali e giornalieri: come ha segnalato qualche lettore il numero non corrisponde (è inferiore) ai tamponi diagnostici. Un soggetto testato due mesi fa con esito negativo, e di nuovo oggi, viene infatti riflesso nei tamponi totali (+1) ma non nei casi testati: perché essendo già presente a sistema non viene conteggiato una seconda volta.
Prima di procedere nel merito, ripetiamo quanto sottolineato in questi mesi: quando si affronta un’epidemia le regole della statistica vengono (purtroppo) spesso disattese. I dati disponibili, che dovrebbero essere raccolti, conteggiati e comunicati in modo uniforme e confrontabile nel tempo, non sempre lo sono. Quello che studiamo sui banchi dell’università, e che ci sembra perfetto, si scontra con l’imperfezione della realtà. Così accade in Italia: con le 21 Regioni e Province autonome che raccolgono, conteggiano e comunicano i dati in modo non uniforme. Protezione Civile, Ministero della Salute e Iss sono costretti a lavorare con questi numeri. La comunità scientifica ha più volte invocato la messa a disposizione dei dati per provare a districare la matassa: richiesta finora inascoltata.
Torniamo al punto: i casi testati (nuovi casi testati per il dato giornaliero) sono meno rispetto ai tamponi diagnostici effettuati. Ma di quanto? In assenza di numeri precisi dobbiamo procedere per approssimazioni, ricorrendo alle informazioni che ci arrivano dal campo. La categoria che più contribuisce a questa casistica è quella degli operatori sanitari, negli ultimi tempi sottoposta ciclicamente a test nel corso di una preziosa attività di screening. Non in tutta Italia allo stesso modo: alcune Regioni, per esempio Veneto e Lombardia, sono più attive di altre, quindi non sappiamo quante volte il singolo operatore sanitario venga davvero testato nel corso del tempo. Secondo: la mole di lavoro richiesta per questa attività di screening si somma all’emergenza quotidiana, al punto che diventa quasi impossibile mantenere le scadenze. Per esempio la Lombardia consiglia un test ogni 14 giorni, ma il ritmo è difficilmente sostenibile. In molti ospedali, non solo in Lombardia, con il massimo sforzo si arriva a 3-4 settimane. In genere il personale viene sottoposto a tampone rapido e solo in caso di positività o test dubbio si procede con il tampone molecolare. Tutto risolto? No, perché alcune Regioni non conteggiano i test rapidi nel totale dei tamponi eseguiti: i soggetti testati in queste aree diventano ufficialmente un “caso testato” solo se e quando si procede al tampone molecolare: non necessariamente, dunque, la prima volta. Per pura ipotesi potremmo avere un soggetto sottoposto a 10 test rapidi, tutti negativi, e mai registrato tra i casi testati. Restando alla categoria degli operatori sanitari possiamo fare qualche considerazione, fuori dalle regole ferree della statistica.
1) Una sistematica attività di screening è stata avviata dopo metà ottobre. In Regione Lombardia (la citiamo spesso solo perché è la più popolosa e con un maggior peso sui dati nazionali) le indicazioni in proposito sono oggetto di una circolare datata 3 novembre. Da allora, nel migliore dei casi, un singolo operatore sanitario è stato sottoposto a due test. (Molti, essendo ancora in attesa del primo, sorrideranno leggendo queste righe, ma largheggiamo…). E, ripetiamo, la Lombardia da questo punto di vista è tra le più attive.
2) La continua ripetizione di test su un campione parziale della popolazione, utilissima come prevenzione, non fornisce indicazioni sulla reale circolazione del virus. Se anche testassimo ogni giorno tutti gli operatori sanitari, circa 600.000, avremmo una fotografia dell’1% della popolazione italiana.
3) Dal punto di vista epidemiologico, non statistico, il calo costante dei tamponi giornalieri poi riportati tra i “casi testati” contraddice le regole da seguire quando si allentano le misure di mitigazione. I test andrebbero invece aumentati, per liberare il territorio dal maggior numero possibile di soggetti in grado di trasmettere il contagio. Lo si potrebbe fare, nei limiti delle capacità attuali, riducendo il numero dei tamponi dedicati alla conferma di positività o guarigione: la circolare del Ministero della Salute, 12 ottobre 2020, stabilisce infatti che i soggetti positivi, trascorsi 21 giorni dalla comparsa dei sintomi e purché asintomatici da una settimana, possano interrompere l’isolamento e tornare in comunità. Potremmo quindi usare il tempo al posto dei test di conferma, dirottandoli al tracciamento dei casi sul territorio. Quanto il numero totale dei casi testati si differenzia al ribasso dai test diagnostici eseguiti? Non è possibile saperlo con i dati disponibili: ma considerando quanto appena detto per gli operatori sanitari, e la nota difficoltà di molti italiani per fare il primo tampone, è difficile immaginare che i fortunati ad avere ottenuto un secondo, terzo o quarto tampone diagnostico siano in numero sufficiente da rialzare in modo sensibile i 12.922.382 casi testati alla sera del 29 novembre. Un secondo aspetto, direttamente correlato, riguarda il parametro positivi/tamponi totali: più solido e affidabile (teoricamente). In realtà questo dato presenta una grave discontinuità: nel conteggio dei test totali alcune Regioni hanno iniziato a inserire i test rapidi. A puro titolo di esempio lo fa il Piemonte, non il Veneto. Sono caricati a sistema con un codice diverso dai molecolari, ma concorrono senza distinzione al totale comunicato. Il denominatore su cui calcoliamo il rapporto positivi/tamponi totali risulta quindi sovrastimato rispetto ai soli test molecolari, gli unici che “certificano” la positività e che abbiamo utilizzato per mesi. Ma al tempo stesso risulta sottostimato, perché mancano i test rapidi delle Regioni che hanno finora scelto di non comunicarli. In entrambi i casi, il valore ottenuto non è correttamente confrontabile con il passato. In sintesi: il totale dei casi testati (e dei nuovi casi testati) non corrisponde al totale dei test diagnostici, così come il totale dei tamponi non corrisponde alla realtà. Riteniamo tuttavia che la circolazione del virus sia meglio rappresentata dal rapporto positivi/nuovi casi testati (lo indichiamo così, non come positivi/tamponi diagnostici) che non da quello positivi/tamponi totali. Di quest’ultimo parametro, e non solo, abbiamo più volte discusso con Carlo Favero (Università Bocconi) e Stefano Bonetti (Università Ca’ Foscari): entrambi concordano sulla bassa attendibilità e utilità di un indicatore che incorpora le anomalie sopra descritte. Per questo abbiamo scelto di indicare dei target, compresi nel range generalmente accettato in epidemiologia. A quelli, più che ai dati purtroppo da prendere con cautela, dobbiamo guardare (Fonte Lab24/Il Sole 24 Ore).

Nicola Morra: il neo Commissario ad acta per la sanità calabrese va nella direzione giusta

Bene: l’intenzione di formare una SQUADRA DI ESPERTI e di lavorare con GINO STRADA va nella direzione giusta. E, si legge chiaramente, la volontà di puntare sulla “territorializzazione del sistema sanitario” è un altro punto su cui si può lavorare con decisione, per riorganizzare l’offerta sanitaria calabrese e sottrarla ad interessi corrotti e, spesso, mafiosi. Forza!

Strada: si era ipotizzato ruolo da subcommissario della Calabria

“Sono stato contattato da esponenti della maggioranza e poi mi ha chiamato il Presidente Conte. Si era ipotizzato anche un ruolo di sub commissario, io di queste cose non ne capisco molto. La disponibilità ho detto c’è, ma funzionale a cambiare le cose, non a fare operazioni di facciata. Non ho poi più sentito nessuno, a parte Borrelli. La Protezione civile ci ha chiesto di intervenire a Crotone, dove gestiremo una struttura ospedaliera di malati Covid, con medici e infermieri che abbiamo reclutato, se ci verrà chiesto di fare altro altrove lo faremo con grande piacere”. Lo ha detto il fondatore di Emergency Gino Strada a Che tempo che fa su Rai Tre, ricostruendo la vicenda della possibile sua nomina a Commissario ad acta della sanità calabrese (Fonte SkyTG24).

Speranza, campagna persuasione e non obbligo vaccinazione. E aggiunge: “Poi in corso d’opera vedremo”

Una grande campagna di persuasione perché ci sia negli italiani la volontà a vaccinarsi contro il Covid-19, “dobbiamo fare una grande campagna per convincere il più alto numero di italiani a capirne l’esigenza. Non parto dall’idea della obbligatorietà ma con campagna di persuasione, che a me convince di più, poi in corso d’opera vedremo”. Lo ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza, in collegamento con la trasmissione ‘Live Non è la D’Urso’ su Canale 5, parlando di vaccini. Il ministro ha anche espresso l’auspicio di avere la disponibilità dei primi vaccini alla fine di gennaio, “partiremo dai soggetti che sono di più sulla frontiera di questa battaglia. Partiremo con il vaccino alle persone che decideranno di sottoporsi a questo” (Fonte SkyTG24).
Molte semplice: se la persuasione – da cui dice di voler partire – non dovesse funzionare, allora c’è sempre opzione dell’obbligatorietà, come “rimedio”. Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Crisanti: “Sulla base dei dati attuali non mi vaccino”
Adnkronos, 29 novembre 2020

“Io finora i dati non li ho visti, né io né altri, e se mi chiede sulla base dei dati disponibili cosa farei io dico che non mi vaccino”. Lo dice il virologo Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Microbiologia dell’Università di Padova, parlando del vaccino Covid in collegamento con la trasmissione Non è l’Arena su La7. “L’ambiente scientifico italiano è un po’ provinciale. Se io avessi detto quello che ha detto l’editore del British Medical Journal, più che criticato sarei stato lapidato. Lui ha fatto un editoriale feroce su come è stata gestita la questione vaccini, io mi sento in ottima compagnia perché io ho chiesto solo trasparenza. Ma sulla mia posizione a favore dei vaccini non ci sono dubbi”, precisa Crisanti riferendosi agli attacchi subiti dopo le sue osservazioni sul vaccino. “Io ho detto questo in una trasmissione di carattere scientifico a un pubblico che poteva decifrare e capire il senso della dichiarazione. Abbiamo sentito solo affermazioni di carattere commerciale che poi hanno avuto riscontro anche sulle azioni di borsa di queste compagnie. E non c’è niente di male in questo. Ho aggiunto che gran parte di questa ricerca è stata fatta con soldi pubblici ed è importante che i dati vengano condivisi”, ribadisce Crisanti. “Siamo in un’emergenza e l’aspettativa legittima dei cittadini è quella di uscirne fuori, il vaccino è visto come ipotesi salvifica, a me sta bene e spero che lo sia ma bisogna che ci sia la massima trasparenza”, ripete.

Speranza: penso vada confermato coprifuoco anche per feste. Anche per la Messa della Notte di Natale

“Penso proprio di sì”. Così il Ministro della salute Roberto Speranza a Live Non è la D’Urso su Canale5 rispondendo sul coprifuoco dalle 22 alle 6 anche il 24 dicembre e a Capodanno. “È una norma già vigente e penso che vada confermata ancora. È una delle norme che ci ha consentito in queste settimane di inziare quel percorso graduale e faticoso che ci consentirà di piegare la curva. Quindi io penso proprio di sì”. E sulla Messa di Natale: “È chiaro che se c’è un corpifuoco penso che vada rispettato per tutti. Se c’è un coprifuoco, c’è un coprifuoco” (Fonte SkyTG24).
Oltraggioso sentire questo comunista paragonare le feste del consumismo sfrenato con la celebrazione della Santa Messa, come lo era prima sentire paragonare i Centri Commerciali con le chiese.
Non è certamente una questione dell’orario in cui la Messa della Notte di Natale va celebrata. Da anni ogni comunità si regola autonomamente in materia. Sottolineo, autonomamente in accordo con l’Ordinario di competenza. Si tratta della certezza che non è materia di un ministro della Repubblica italiana. La domanda è: “Questo governo di incapaci che vuole spostare il Natale di 2 ore, avrebbe le palle di spostare il ramadan di mezz’ora?” (Cit.). #brancodibalordi #noncèsperanza

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