Papa Francesco: l’Avvento è il tempo della vicinanza di Dio

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“Auguro a tutti voi una buona domenica e un buon cammino di Avvento. Cerchiamo di ricavare del bene anche dalla situazione difficile che la pandemia ci impone: maggiore sobrietà, attenzione discreta e rispettosa ai vicini che possono avere bisogno, qualche momento di preghiera fatto in famiglia con semplicità. Queste tre cose ci aiuteranno tanto: maggiore sobrietà, attenzione discreta e rispettosa ai vicini che possono avere bisogno e poi, tanto importante, qualche momento di preghiera fatto in famiglia con semplicità”: con questo augurio papa Francesco ha concluso la recita dell’Angelus in questa prima domenica di Avvento.

Prima dell’Angelus papa Francesco ha ricordato che con questa domenica inizia un nuovo anno liturgico: “In esso la Chiesa scandisce il corso del tempo con la celebrazione dei principali eventi della vita di Gesù e della storia della salvezza. Così facendo, come Madre, illumina il cammino della nostra esistenza, ci sostiene nelle occupazioni quotidiane e ci orienta verso l’incontro finale con Cristo. L’odierna liturgia ci invita a vivere il primo ‘tempo forte’ che è questo dell’Avvento, il primo dell’anno liturgico, l’Avvento, che ci prepara al Natale, e per questa preparazione è un tempo di attesa, è un tempo di speranza. Attesa e speranza”.

Per il papa l’Avvento è un  richiamo alla speranza, perché “ci ricorda che Dio è presente nella storia per condurla al suo fine ultimo per condurla alla sua pienezza, che è il Signore, il Signore Gesù Cristo. Dio è presente nella storia dell’umanità, è il ‘Dio con noi’, Dio non è lontano, sempre è con noi, al punto che tante volte bussa alle porte del nostro cuore. Dio cammina al nostro fianco per sostenerci.

Il Signore non ci abbandona; ci accompagna nelle nostre vicende esistenziali per aiutarci a scoprire il senso del cammino, il significato del quotidiano, per infonderci coraggio nelle prove e nel dolore. In mezzo alle tempeste della vita, Dio ci tende sempre la mano e ci libera dalle minacce”.

Nella messa con i nuovi cardinali nella basilica di san Pietro papa Francesco ha sottolineato due parole, quali vicinanza e vigilanza: “L’Avvento è il tempo in cui fare memoria della vicinanza di Dio, che è sceso verso di noi… E’ anche il primo messaggio dell’Avvento e dell’Anno liturgico, riconoscere Dio vicino e dirgli: ‘Avvicinati ancora!’.

Egli vuole venire vicino a noi, ma si propone, non si impone; sta a noi non stancarci di dirgli: ‘Vieni!’. Sta a noi, è la preghiera dell’Avvento: ‘Vieni!’. Gesù, ci ricorda l’Avvento, è venuto tra noi e verrà di nuovo alla fine dei tempi. Ma, ci chiediamo, a che cosa servono queste venute se non viene oggi nella nostra vita? Invitiamolo”.

Ma per ottenere una vicinanza occorre esercitare la vigilanza: “E’ importante rimanere vigili, perché uno sbaglio della vita è perdersi in mille cose e non accorgersi di Dio… Ma, se dobbiamo vegliare, vuol dire che siamo nella notte.

Sì, ora non viviamo nel giorno, ma nell’attesa del giorno, tra oscurità e fatiche. Il giorno arriverà quando saremo con il Signore. Arriverà, non perdiamoci d’animo: la notte passerà, sorgerà il Signore, ci giudicherà Lui che è morto in croce per noi”.

Occorre vigilare per non perdere la speranza: “Vigilare è attendere questo, è non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, e questo si chiama vivere nella speranza. Come prima di nascere siamo stati attesi da chi ci amava, ora siamo attesi dall’Amore in persona.

E se siamo attesi in Cielo, perché vivere di pretese terrene? Perché affannarci per un po’ di soldi, di fama, di successo, tutte cose che passano? Perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno? Perché cercare dei ‘padrini’ per avere una promozione e andare su, promuoverci nella carriera? Tutto passa. Vegliate, dice il Signore”.

Ed ha ricordato che anche gli apostoli hanno avuto difficoltà nel vegliare: “Proprio a quelle ore non furono vigilanti: di sera, durante l’ultima cena, tradirono Gesù; di notte si assopirono; al canto del gallo lo rinnegarono; al mattino lo lasciarono condannare a morte. Non avevano vegliato.

Si erano assopiti. Ma anche su di noi può scendere lo stesso torpore. C’è un sonno pericoloso: il sonno della mediocrità. Viene quando dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere. Ma senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani”.

Il ‘sonno della mediocrità’ si sconfigge con la preghiera: “Pregare è accendere una luce nella notte. La preghiera ridesta dalla tiepidezza di una vita orizzontale, innalza lo sguardo verso l’alto, ci sintonizza con il Signore. La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza. La preghiera ossigena la vita: come non si può vivere senza respirare, così non si può essere cristiani senza pregare.

E c’è tanto bisogno di cristiani che veglino per chi dorme, di adoratori, di intercessori, che giorno e notte portino davanti a Gesù, luce del mondo, le tenebre della storia. C’è bisogno di adoratori. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione, di stare in silenzio davanti al Signore, adorando. Questa è la mediocrità, la tiepidezza”.

Eppoi ha messo in guardia dal ‘sonno dell’indifferenza’, che si sconfigge con la ‘vigilanza della carità’: “Per portare luce a quel sonno della mediocrità, della tiepidezza, c’è la vigilanza della preghiera. Per ridestarci da questo sonno dell’indifferenza c’è la vigilanza della carità.

La carità è il cuore pulsante del cristiano: come non si può vivere senza battito, così non si può essere cristiani senza carità. A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da perdenti!

In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore”.

(Foto: Santa Sede)

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