L’infanzia di Gesù secondo Ratzinger

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Amore e umiltà, è questo il modus operandi di Dio che il teologo Joseph Ratzinger spiega al lettore del terzo libro dedicato alla figura di Gesù. “L’infanzia di Gesù” è , secondo il titolo originale tedesco, un “prologo”, una “anticamera” per entrare poi nello studio del Vangelo. Infatti , spiega Benedetto XVI nelle ultime righe del libro, l’episodio che chiude i Vangeli dell’infanzia, Gesù dodicenne che insegna nel Tempio di Gerusalemme, apre una porta sulla intera figura di Gesù, che è quello che racconterà il resto del Vangelo. L’autore rilegge i due racconti di Luca e Matteo seguendo l’esegesi patristica e studi classici come quelli di Joachim Gnilka e Gerhard Delling, ma dimostra, come già nei due libri precedenti, di seguire gli studi più aggiornati e usa Rudolf Pesch e Klaus Berger. Ma tra tutti sposa a pieno le idee di Jean Daniélou e René Laurentin.

Amore: quello di Dio per gli uomini che si dimostra accettando la decisione di Maria davanti all’ annuncio dell’Angelo. Maria, la giovane vergine che risponde con una domanda cui la esegesi non ha ancora trovato spiegazione. E quell’ annuncio così diverso e nascosto, così poco “mitologico” e quindi così reale. Perchè umile. Ratzinger ci ricorda continuamente che la gloria di Dio si manifesta solo nell’umiltà. Ed è questo il vero amore. Quello di Giuseppe ad esempio, uomo giusto, fedele alla legge di Israele, che però sceglie l’ amore quando deve decidere come affrontare la gravidanza di Maria. Quell’amore che Dio offre per primo ai pastori che corrono verso la grotta dove è nato Gesù. Una “eudokia” che unisce la volontà di Dio di amare per primo e degli uomini di accettare e ricambiare il suo amore. Benedetto XVI trova inefficaci le traduzioni moderne italiane e tedesche, perché non rendono bene l’idea di quell’essere conformi a Cristo che comporta la fede.

Amore, quello dei magi, personaggi dai mille risvolti storici, uomini che con la saggezza purificano il messaggio della scienza, quasi successori di Abramo che come lui si mettono in viaggio per rispondere alla chiamata di Dio. Umiltà è quella di Giuseppe che ascolta Dio in sogno perchè ha la capacità di di percepire il divino, di discernere, perchè vive la legge come il Vangelo. Giuseppe che sa farsi da parte nel momento in cui i magi e i pastori adorano il Figlio di Dio, per poi riprendere in mano la situazione e portare la famiglia in Egitto.

Umiltà quella dei pastori, come quella di Elisabetta che corre verso Maria. Anche loro, corrono verso Gesù, certo in parte per curiosità, ma anche per la gioia di sapere che è nato il Salvatore. E il Papa riflette: quanti sono i cristiani che oggi corrono verso le cose di Dio? Eppure le cose che contano sono quelle di Dio, suggerisce l’evangelista. “Le cose di Dio meritano fretta, anzi le uniche cose del mondo che meritano fretta sono proprio quelle di Dio, che hanno la vera urgenza per la nostra vita” aveva detto il Papa nella omelia del 15 agosto del 2011.

E poi i segni della presenza e della gloria di Dio, quella vera non quella costruita di Cesare Augusto che pure con la sua pax offre la cornice perfetta al compimento di una promessa che non è solo per il Popolo dell’ Antica Alleanza. Sono segni di povertà quelli che indicano che Dio è presente. La povertà della grotta di Betlemme è un segno reale. Come per dire, quale Dio inventato dall’ uomo si manifesterebbe così? Fin dal momento della nascita Gesù è fuori dal regno dei potenti. Ed è questa sua povertà che prova che è lui il vero potente. Una teologia della povertà che Ratzinger illustra in ogni evento, dall’annunciazione alla mangiatoia, fino a quel segno di contraddizione che nasce già nel Tempio. La contraddizione della Croce, la chiave interpretativa che il vecchio Simeone vede nel neonato Gesù. Un segno che ci sfida ad amare.

Ecco amare questo il segno di contraddizione, la sfida. Dio è amore, ripete il teologo, ma anche l’amore può essere odiato quando ci sfida a trascendere noi stessi. Umiltà quella che dovrebbero avere la teologia di tutti i tempi che si esaurisce in dispute accademiche e, come gli esperti di Erode, non vedono quello che nella Scritture hanno letto i magi: che è nato il Salvatore. Lo hanno letto nelle stelle forse, hanno letto la creazione, linguaggio di Dio. E anche oggi, riflette il Papa, la creazione interpretata dalle Scritture parla all’umanità.

Amore e umiltà nelle madri che oggi, come quelle dei figli uccisi da Erode nella strage degli innocenti, continuano con la stessa violenza a gridare verso Dio, ma nello stesso tempo la resurrezione di Cristo le rende forti nella speranza di una vera consolazione. Dall’ Egitto a Nazareth, dall’esilio dell’ Esodo, dall’esilio del peccato, solo Dio può richiamare tutti, Gesù concede l’Esodo definitivo, guida il cammino verso Dio.

Umiltà e amore quelle dei genitori di Gesù che non capiscono ciò che il dodicenne risponde loro dopo tre giorni di affanno e di angoscia. Ma la novità e la fedeltà radicali che si trovano in questo racconto ne sono il contenuto teologico più vero.

Umiltà della buona esegesi che deve lasciare intatta la elevatezza della parola di Gesù che ci sovrasta e non ridurre i suoi detti chiedendo in che misura possiamo prenderlo alla lettera.

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