Mons. Moraglia invita a pensare un mondo aperto

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“L’odierna Festa della Madonna della Salute ci riporta alla situazione vissuta dai nostri padri che, quasi quattro secoli or sono, a cominciare dal Doge e dal Senato della Repubblica Serenissima, decisero di rivolgersi alla Madre del Redentore – alla quale, in una circostanza simile all’attuale, già si erano rivolti – perché venisse in loro soccorso di fronte al terribile contagio (allora era la peste) che sterminava la popolazione di Venezia e di tante altre regioni”: lo ha affermato il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, nell’omelia della messa solenne celebrata ieri nella basilica veneziana di S. Maria della Salute.

Per il patriarca l’attuale situazione aiuta meglio a comprendere l’origine della festa, partendo dal brano evangelico delle nozze di Cana: “E’ un’invocazione che rivolgiamo con fiducia e speranza, accogliendo l’invito della Madre a guardare di nuovo a Gesù Suo Figlio (l’unico Signore e Salvatore) e ad ascoltare finalmente quanto ci dirà, come avvenne nell’episodio evangelico delle nozze di Cana.

Allora, per usare le parole del Vangelo, ci sarà dato il ‘vino buono’ della festa ritrovata, della gioia autentica, della rinascita e della vera ripresa che tutti auspichiamo e attendiamo; una ripresa non solo economica ma anche antropologica, ricordando il discorso di papa Francesco, rivolto alla Chiesa italiana riunita alcuni anni fa a Firenze ed incentrato sull’umanesimo cristiano, ossia evangelico”.

Il patriarca si è soffermato sulla crisi del lavoro, partendo dal gesto compiuto: “E pensando proprio alla difficile situazione economica, lavorativa e occupazionale della nostra città (che non è solo la città storica) e di tutto il Nordest, ho voluto dare un segno raggiungendo la Basilica in gondola perché vedo nei gondolieri non solo uno dei simboli di Venezia ma anche le attuali grandi fatiche dei lavoratori e delle loro famiglie.

Concretamente penso ai lavoratori dipendenti ed autonomi, agli esercenti, ai ristoratori, agli artigiani, alle piccole e medie imprese, da sempre tessuto connettivo del nostro territorio, senza tralasciare i liberi professionisti e il mondo variegato delle partite Iva”.

Il patriarca si è, quindi, soffermato su alcuni passaggi dell’ultima enciclica di papa Francesco ‘Fratelli tutti’, in particolare sul terzo capitolo che invita a ‘pensare e generare un mondo aperto’: “…sì, il pensiero ha in sé una forza generativa e, dunque, ‘pensare’ è sempre anche ‘generare’, Dio voglia sempre per il bene e mai per il male. Un mondo nuovo e aperto non è il risultato del caso ma di un ‘buon’ pensiero.

E non è, certamente, un cammino facile e scontato, anche perché ostacolato da tanti, troppi, ‘megafoni’ del pensiero unico dominante e del ‘politicamente’ corretto.

Molti stanno già ‘costruendo’ le tendenze culturali dei prossimi anni. Si tratta, come è facile comprendere, di una questione fondamentale perché significa disegnare quale uomo, quali diritti, quali doveri, quale economia, quale società e, quindi, decidere del ‘destino’ nostro e di tanti nostri fratelli. Guai, poi, se si cedesse ad una sterile elaborazione intellettuale”.

Quindi ha invitato a pensare ad un mondo ‘aperto’, in quanto l’enciclica “propone coraggiosamente un pensiero alternativo, mettendo in conto il rischio d’essere tacciati di ingenuità o fantasia, giacché non si tratta di operare qualche piccola correzione ma di assumere una logica differente, che risponde ad un altro paradigma mentale, fondato sulla inalienabile dignità di ogni uomo e sulla comune e filiale dipendenza di tutti, fratelli tra noi e figli del medesimo Padre”.

Ed è compito della Chiesa indicare una parola ‘nuova’: “La Chiesa possiede le risorse spirituali e culturali necessarie per immettere nella società del presente e del futuro un pensiero in grado di modificarne il suo corso inerziale.

D’altronde, da chi il mondo dovrebbe attendersi una parola ‘nuova’ se non anzitutto da chi è chiamato ad essere custode della Parola di Dio, del Vangelo che è per i piccoli e i poveri? A chi compete curare l’anima dell’umanità che giace malata se non, anzitutto, a coloro a cui Dio ha affidato la sua Parola di salvezza, assicurandovi l’efficacia indefettibile della Sua custodia?”

Davanti a tali domande per il patriarca occorre offrire un impegno: “Non si tratta di sottoporci a complicati sforzi intellettuali, anche se l’elaborazione del pensiero esige tempo, pazienza e tenacia che fanno dubitare delle facili scorciatoie a buon mercato o delle verità ridotte a slogan. Non si tratta nemmeno d’inculcare uno stile d’azione alternativo, di tipo ‘precettistico’ e che, comunque, avrebbe il fiato corto.

Il compito che spetta alla Chiesa nella costruzione di un mondo almeno in parte alternativo all’attuale (un mondo ‘aperto’) è più vasto e impegnativo. Più vasto, anzitutto, perché la medesima virtù teologale della carità ha numerose traduzioni nella vita; alcune sono affidate ai singoli nella vicinanza delle relazioni interpersonali, altre invece ad una pluralità di soggetti nell’impegno di una politica che, per il cristiano, è forma alta di carità”.

Lo sguardo che offre la Chiesa è originato dalla responsabilità: “Lo sguardo che consente di spendersi in modo generoso per il bene comune non è esito del caso. E’ il frutto di una responsabilità che sta alla base di opere e scelte e dialoga con ogni realtà presente sul territorio allo scopo di elaborare una cultura laica ma che proceda dal Vangelo. Solo così la fraternità e l’amicizia sociale troveranno sicuro fondamento e potranno ‘ispirare’ il consenso degli uomini e delle donne di buona volontà”.

L’omelia è chiusa dall’affidamento alla Madonna della Salute: “La Madonna della Salute ci ispiri e ci guidi in quest’opera culturale, educativa e antropologica di ‘pensare e generare un mondo aperto’ e rinnovato, orientato al bene di tutti, senza escludere o dimenticare nessuno.

Ci assista e ci protegga anche oggi, nelle nostre fatiche e difficoltà attuali, susciti e rafforzi soprattutto la fede, la carità e la speranza. A Lei poi affidiamo in modo particolare coloro che sono contagiati, i loro familiari, i medici, gli operatori sanitari, i volontari, chi decide del bene comune.

A Lei affidiamo anche quanti in questi mesi hanno, dolorosamente e spesso in solitudine, concluso il loro cammino terreno”.

(Foto: Patriarcato di Venezia)

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