La nuova minaccia di pulizia etnica azera-turca contro gli armeni cristiani nel Caucaso meridionale e le sue implicazioni geopolitiche

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È forte la preoccupazione per la situazione umanitaria, politica, culturale e religiose degli armeni in Artsakh (Nagorno-Karabakh). Dal Caucaso meridionale le notizie arrivano in modo serrato, quindi l’Europa e l’Occidente in futuro non potranno dire “non abbiamo saputo”. Oggi condividiamo un’analisi delle notizie riguardante l’aggressione militare azera-turca-jihadista nella Repubblica di Artsakh (Nagorno-Karabakh), a firma di Victor Gaetan del National Catholic Register, preceduta da notizie diplomatiche e degli appelli, che si moltiplicano di fronte al rischio concreto che si cancelli la millenaria presenza armena in Artsakh (Nagorno-Karabakh) – come in Turchia dopo il genocidio armeno compiuto dai Turchi ottomani del 1915-1923 – affinché l’UNESCO faccia sentire forte la sua voce e intervenga per la protezione dei secolari beni culturali-religiosi armeni.

Ieri sera si è diffusa anche la notizia in Armenia è arrivata una Delegazione governativa russa di alto livello, guidata dal Ministro degli Esteri della Federazione russa e che si parlerà oggi sicuramente della situazione in Artsakh (Nagorno-Karabakh).

Le ultime discussioni pubbliche sullo status della Repubblica di Artsakh, così come le dichiarazioni provocatorie della leadership dell’Azerbaigian, riaffermano la necessità di un riconoscimento internazionale dell’indipendenza dell’Artsakh come la via d’uscita più ottimale ed efficace dalla situazione derivante dall’aggressione armata contro la Repubblica di Artsakh da parte dell’Azerbaigian con il sostegno della Turchia e dei terroristi internazionali trasportati dalla Turchia, ha detto in una dichiarazione il Ministro degli esteri della Repubblica di Artsakh Masis Mayilian.

Apparentemente la situazione nel Caucaso meridionale potrebbe sembrare solo una questione di supremazia territoriale da parte azera-turca: vincono la guerra e distruggono tutto ciò che rappresenta il nemico. In realtà c’è una ideologia più di fondo ed è la stessa che ha portato i turchi ottomani a cancellare le tracce armene nell’Armenia storica. Poiché la narrazione azera-turca è che nella regione del Nagorno-Karabakh (la “Montagna del Giardino Nero”) gli Armeni sono arrivati solo da poco, cercano di eliminare tutto ciò che possa riferirsi alla civiltà armena ed essere datato più indietro nei secoli. Hanno provato far passare le chiese e i monasteri armeni come appartenenti al popolo degli Albani del Caucaso meridionale, ma con scarso successo. Hanno distrutto migliaia di khachkar a Julfa. Ecco perché gli azeri-turchi sono pericolosi.

Il gruppo “Iniziativa italiana per il Karabakh” ha pubblicato una “Lettera aperta all’UNESCO”. Si tratta di un gruppo di studio, attivo dal novembre 2010, che ha l’obiettivo di far conoscere all’opinione pubblica italiana la Repubblica di-Artsakh (Nagorno-Karabakh), la sua storia, la sua cultura, il suo territorio. Ma soprattutto vuole far conoscere il suo diritto all’autodeterminazione ed i principi giuridici e politici che ne sono alla base. Attraverso la comunicazione “Iniziativa italiana per il Karabakh” vuole far giungere anche alla opinione pubblica italiana la voce dell’Artsakh armeno cristiano e dare una mano alla sua gente affinché i propri diritti vengano riconosciuti. È un dovere morale per ogni europeo stare dalla parte dell’Artsakh: per l’Europa dei piccoli popoli, per una democrazia costruita dal basso e partecipata, contro la guerra e per un futuro di pace.

Lettera aperta all’Unesco

A seguito dell’intesa per la cessazione delle ostilità dello scorso 9 novembre, il Governo dell’Armenia ha concordato il ritiro delle proprie forze dislocate a difesa delle popolazioni armene dalla regione dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh e la consegna di diversi distretti all’Azerbaigian.
Lì, in mezzo ai boschi, inerpicati sulle montagne, vi sono secoli, millenni di storia. I conventi e le chiese di pietra dell’Artsakh testimoniano la millenaria presenza armena nella regione e fanno parte del patrimonio culturale di questo popolo.
Mi rivolgo a voi come Istituzione che ha a cuore la cultura, la sua custodia e la sua trasmissione alle generazioni future: questi punti di riferimento della storia e dell’identità armena rischiano di sparire per sempre, a causa del nuovo scenario che si è venuto a creare.
Il motivo è semplice. La loro esistenza è sufficiente a smontare, senza alcun dubbio, l’indifendibile versione del Governo dell’Azerbaigian, secondo cui gli armeni sono presenti nella regione da solamente 200 anni. Una tesi che viene propugnata come unica e indiscutibile verità ai giovani Azeri nei libri di storia che sono costretti, loro malgrado, a studiare.
Negare la presenza millenaria degli Armeni nella regione equivale a commettere il duplice crimine di dipingerli come invasori di terre altrui, fomentando quindi l’odio nelle menti degli Azeri, e di declassare la ricchissima e antica storia armena al livello di menzogna e fantascienza.
La colpa dei conventi e delle chiese armene incastonati tra le montagne dell’Artsakh consiste nel contraddire tramite la loro mera presenza la propaganda del Presidente azero Aliyev e del suo Governo. Se non verranno prese misure per fermarli, costoro non esiteranno a realizzare il triste scenario profetizzato da George Orwell nel suo libro, 1984: ”Tracciare la storia dell’intero periodo sarebbe stato assolutamente impossibile, dal momento che una versione dei fatti diversa da quella esistente non era mai stata citata, né per iscritto, né a voce”. Continua Orwell: “Giorno per giorno, minuto per minuto la storia veniva aggiornata. In questo modo, si creavano le prove documentali necessarie a dimostrare che ogni dichiarazione del Partito era corretta. […] La storia non era nient’altro che un palinsesto, e come tale veniva cancellata e riscritta tutte le volte che fosse necessario farlo. In nessun caso sarebbe stato possibile, una volta effettuata la correzione, provare che alcuna falsificazione fosse mai avvenuta”.
Le nostre paure non sono infondate, ma traggono origine dallo spaventoso precedente di Julfa. Questo crimine, rimasto inspiegabilmente impunito, ha comportato la distruzione delle migliaia di khachkar presenti nella zona. I khachkar non sono solamente croci scolpite nella roccia. Sono testimonianze di una presenza millenaria, quella armena, e rappresentano con ogni probabilità il simbolo più armeno di tutti.
Della distruzione delle migliaia di khachkar di Julfa siete ampiamente a conoscenza, dato che questi reperti storici di inestimabile valore erano stati dichiarati protetti proprio dall’UNESCO, e avevate realizzato diversi appelli per la loro protezione. Tali appelli furono platealmente ignorati dalle autorità azere.
Purtroppo, come i tragici eventi delle ultime settimane hanno dimostrato, gli odiosi crimini contro gli armeni saranno destinati a ripetersi, se non verranno prese delle azioni concrete e credibili dalle istituzioni che ne hanno la responsabilità.
Il patrimonio culturale rappresenta l’origine delle comunità. Sono parole vostre, ben visibili nel vostro sito. Su questo siamo tutti d’accordo: le comunità non sarebbero tali se non avessero un proprio patrimonio comune in cui riconoscersi, e grazie a cui spiegare la propria origine e la propria storia.
UNESCO, vi chiedo di fare il possibile per garantire la protezione e la salvaguardia del ricchissimo patrimonio culturale armeno, sparso per le montagne dell’Artsakh, prima che arrivino i bulldozer e la dinamite. La sua distruzione sarebbe una catastrofe non soltanto per il popolo armeno, ma per tutto il genere umano.
La protezione del patrimonio culturale degli Armeni è una condizione necessaria e non negoziabile per la loro sopravvivenza come comunità.
Guido Colantonio

Lettera aperta di studiosi di cultura armena al governo italiano e alla Santa Sede

(Agenzia Sir) – Un gruppo di studiosi di cultura armena hanno indirizzato una Lettera aperta con un appello al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, ai Presidenti delle Commissioni esteri di Senato e Camera e al Segretario di Stato di Sua Santità, sulla situazione politica, umanitaria e culturale di Artsakh (Nagorno-Karabakh), affinché vengano compiuti gli sforzi necessari per evitare la cancellazione della millenaria presenza armena in Artsakh (Nagorno-Karabakh) “come è avvenuto in Turchia dopo il genocidio del 1915”, si ci attivi per una soluzione pacifica nella Regione “in rispetto della loro autodeterminazione” e si intervenga sull’Azerbaigian “per evitare che nelle zone conquistate nel corso del conflitto si ripeta la distruzione di monumenti armeni avvenuta nel Nakhichevan”.
La lettera è firmata da 42 studiosi, professori di Università, Istituti e Accademie non solo Italiani, ma anche spagnoli, francesi, svizzeri, belgi e statunitensi. “Al termine della guerra, scatenata il 27 settembre dall’Azerbaigian con il fondamentale sostegno della Turchia – scrivono -, l’Armenia e soprattutto il Nagorno-Karabakh (Artsakh) si trovano in una situazione difficilissima. Il cessato il fuoco raggiunto il 10 novembre con l’intervento della Russia ha posto fine alle ostilità, ma buona parte del territorio del Nagorno-Karabakh è stata conquistata dall’esercito azero e gli abitanti armeni hanno abbandonato in gran numero la regione”. La lettera dà voce ad una preoccupazione: “Nonostante il dispiegamento di truppe russe, esiste il rischio concreto che la millenaria presenza fisica e culturale armena possa essere cancellata per sempre dal Nagorno-Karabakh come è avvenuto in Turchia dopo il genocidio del 1915 e nella regione del Nakhichevan, dove negli ultimi decenni l’intero patrimonio artistico armeno è stato distrutto dalle autorità azere”. Da qui l’appello al governo italiano: “Come studiosi della cultura armena, ma anche come cittadini italiani ed europei, chiediamo pertanto alle autorità del nostro Paese di impegnarsi in concerto con la comunità internazionale affinché si giunga a una soluzione politica che riconosca agli armeni il diritto di vivere in questo territorio in piena sicurezza e nel rispetto della loro autodeterminazione. Chiediamo inoltre al Governo italiano di intervenire su quello dell’Azerbaigian per evitare che nelle zone conquistate nel corso del conflitto si ripeta la distruzione di monumenti armeni avvenuta nel Nakhichevan”.

L’UNESCO propone di inviare una missione in Artsakh (Nagorno Karabakh)

Durante un incontro con i rappresentanti di Armenia e Azerbaigian presso l’UNESCO, il Direttore Generale dell’organizzazione Audrey Azoulay ha proposto di inviare una missione in Nagorno Karabakh al fine di redigere un inventario dei beni culturali più significativi, come prerequisito per una protezione efficace del patrimonio della regione.
Il Direttore Generale ha ricordato le dichiarazioni rese dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, che aveva espresso il suo sollievo e ha accolto con favore l’accordo su un cessato il fuoco totale e la cessazione delle ostilità dentro e intorno alla zona del conflitto del Nagorno-Karabakh.
Il Direttore generale ha inoltre ribadito la dimensione universale del patrimonio culturale, come testimone della storia e come inseparabile dall’identità dei popoli, che la comunità internazionale ha il dovere di tutelare e preservare per le generazioni future, al di là dei conflitti del momento.
Il Direttore generale ha desiderato ricordare le disposizioni della Convenzione del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato e dei suoi due protocolli, di cui sono parti sia l’Armenia che l’Azerbaigian e che si basano sulla convinzione degli Stati parti, che “il danno a beni culturali appartenenti a qualsiasi persona, di qualsiasi natura, significa danno al patrimonio culturale di tutta l’umanità”.
Il Direttore generale ha ricordato inoltre la risoluzione 2347 (2017) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che sottolinea che “la distruzione illegale del patrimonio culturale, il saccheggio e il contrabbando di beni culturali in caso di conflitto armato, anche da parte di gruppi terroristici e i tentativi di negare le radici storiche e la diversità culturale in questo contesto, può alimentare ed esacerbare i conflitti e impedire la riconciliazione nazionale postbellica, minando così la sicurezza, la stabilità, la governance e lo sviluppo sociale, economico e culturale degli Stati colpiti”.
Il Direttore generale dell’UNESCO ha ribadito il suo appello del 9 ottobre per la protezione del patrimonio in questa regione e l’assoluta necessità di prevenire ulteriori danni.
Durante questi incontri, il Direttore Generale ha formalmente proposto il supporto tecnico dell’UNESCO, che fino ad oggi non è stato in grado di visitare queste zone nonostante i tentativi passati e che potrebbe, con l’accordo di tutte le parti interessate, svolgere una missione preliminare sul campo, in al fine di redigere un inventario dei beni culturali più significativi, quale presupposto per un’efficace tutela del patrimonio della regione.
Con questo in mente, l’UNESCO lavorerà con tutti i partner interessati per creare le condizioni per una tale missione. Sono state avviate consultazioni ad alto livello con gli Stati che co-presiedono il gruppo di Minsk.

Il Ministro degli Esteri russo e il Direttore Generale dell’UNESCO hanno discusso la soluzione della situazione umanitaria in Artsakh (Nagorno-Karabakh)

Il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in un conversazione telefonica ha discusso con il Direttore generale dell’UNESCO Audrey Azoulay l’uso del potenziale dell’organizzazione nella protezione dei monumenti culturali e dei siti religiosi nella zona del conflitto del Nagorno-Karabakh, ha comunicato il Ministero degli Esteri russo. “Particolare attenzione è stata prestata alle possibilità di utilizzare il potenziale dell’UNESCO per assistere nella risoluzione della situazione umanitaria nella zona del conflitto del Nagorno-Karabakh, in particolare nell’ambito della protezione dei monumenti culturali e dei siti religiosi colpiti da ostilità e atti di atti di vandalismo, così come nel campo del ripristino dei sistemi educativi nella regione “, ha detto il Ministero degli Esteri russo. La Russia ha espresso sostegno all’iniziativa di Azoulay di inviare una missione preliminare nella regione per esplorare le prospettive pratiche di lavoro nelle aree sopra menzionate in coordinamento con le parti interessate.

Il Primo ministro armeno e il Ministro della Difesa russo hanno discusso della missione di mantenimento della pace russo in Nagorno-Karabakh

Il Primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha ricevuto oggi il Ministro della Difesa della Federazione Russa Sergey Shoygu e la sua delegazione. Durante l’incontro è stata discussa un’ampia gamma di questioni relative alla situazione in Nagorno Karabakh, cooperazione militare e tecnico-militare tra Armenia e Russia.
“Questa è una visita molto importante. Vorrei sottolineare che durante la guerra abbiamo sempre sentito il sostegno della Federazione Russa, del Presidente russo, del Primo ministro russo, del vostro sostegno personale. Voglio ringraziarla per questo”, ha detto il Primo ministro Pashinyan nel dare il benvenuto al Ministro della Difesa russo. Certo, ha detto, i tempi sono stati difficili anche prima della guerra, ma ora è un periodo più difficile. “Ci auguriamo che durante questo periodo potremo approfondire la nostra cooperazione con la Federazione Russa, anche nel campo della sicurezza, non solo sicurezza ma anche cooperazione tecnico-militare”. “Ora, ovviamente, la situazione politico-militare nella nostra regione è diversa. È cambiata, tutti i parametri di quella situazione devono ancora essere studiati. E, naturalmente, sono sicuro che nel prossimo futuro, nel futuro strategico, le nostre relazioni continueranno ad approfondirsi, la nostra cooperazione diventerà più stretta e più strategica lo spirito del partenariato strategico Armenia-Russia e delle relazioni fraterne”, ha affermato il Primo ministro Pashinyan.
Il Ministro della Difesa russo, a sua volta, ha ringraziato per l’accoglienza e l’incontro e ha detto: “Siamo venuti qui con questioni concrete e specifiche. Sapete che dopo la dichiarazione firmata abbiamo invitato le forze di mantenimento della pace nei termini più rapidi e abbiamo completato il dispiegamento l’altro ieri. In questi giorni abbiamo schierato forze praticamente in tutto il territorio del Karabakh con 23 posti di osservazione, controlliamo la strada che porta a Stepanakert, il Corridoio di Lachin, provvediamo al movimento, al ritorno dei profughi che avevano lasciato le loro case”. Shoygu ha aggiunto che in futuro ci si aspetta molto lavoro per stabilire una vita pacifica in Karabakh. “Naturalmente, il nostro compito principale è prevenire lo spargimento di sangue, un compito che ci è stato assegnato dal nostro comandante in capo, e noi, senza dubbio, intendiamo portarlo a termine. Inoltre, intendiamo discutere questioni relative alla vita e al lavoro futuri dei nostri operatori di pace e ciò che è necessario per questo. E, naturalmente, per discutere tutte le questioni relative alla nostra cooperazione, sia nella direzione militare che in quella tecnico-militare. Siamo venuti qui con un vasto programma, speriamo di realizzarlo. Grazie”, ha concluso.

La Russia ribadisce il sostegno al fraterno popolo armeno

Il Primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha ricevuto una Delegazione governativa della Federazione russa ad alto livello, guidata dal Ministro degli Esteri Sergey Lavrov. La delegazione comprende i Vice primi ministri della Federazione russa Alexei Overchuk e Alexei Novak, il Ministro della salute Mikhail Murashko, il capo del V dipartimento del Servizio di sicurezza federale russo Sergey Beseda, il Capo del servizio federale di supervisione per la protezione dei consumatori Anna Popova, il Viceministro degli Esteri Andrey Rudenko, il Viceministro delle Finanze Timur Maximov e altri funzionari ministeriali.
Salutando la Delegazione governativa russa, il Primo ministro Pashinyan ha osservato: “Cari colleghi, vi do un caloroso benvenuto a Yerevan. Vorrei sottolineare che apprezziamo molto la vostra presenza nel nostro Paese. È molto importante per noi non solo continuare, ma anche tenere conto della specificità della situazione attuale, per rafforzare i nostri legami, la cooperazione, per superare la situazione che si è creata nel nostro Paese, nella regione in generale”. Ha ringraziato i colleghi russi per il loro sostegno non solo durante la crisi militare, ma anche nell’ambito dell’emergenza coronavirus. “Penso che tutti abbiamo sentito il sostegno della Federazione russa durante questo periodo e le relazioni amichevoli e alleate che tradizionalmente esistono tra i nostri paesi, soprattutto negli ultimi mesi”. “Abbiamo un programma di discussione piuttosto ampio, sono sicuro che arriveremo a risolvere molte questioni – non solo attuali, ma anche strategiche, perché la situazione politico-militare nella nostra regione è cambiata, tenendo conto delle circostanze ed eventi noti. Penso che dobbiamo ripensare la nostra visione strategica nel contesto del prossimo futuro strategico. Penso che a questo proposito abbiamo opinioni e programmi comuni e dobbiamo chiarirli durante i colloqui di oggi”, ha affermato.
A sua volta, il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha trasmesso i cordiali saluti e gli auguri del Presidente russo Vladimir Putin e del Primo ministro russo Mikhail Mishustin. “Siamo interessati a considerare l’intero quadro delle nostre relazioni, dopo che, a seguito di lunghi colloqui, i leader di Armenia, Russia e Azerbaigian hanno firmato una dichiarazione il 9 novembre, che ha posto fine allo spargimento di sangue e ha creato un’opportunità per stabilizzare la situazione in tutti i suoi contesti, incluso quello umanitario”, ha affermato Lavrov. Si tratta di tematiche legate allo sviluppo e all’approfondimento della cooperazione tra Armenia e Russia in vari ambiti, in particolare, energia, infrastrutture di trasporto, lotta al coronavirus e altre aree. Hanno anche fatto riferimento all’assistenza umanitaria diretta fornita al Nagorno Karabakh, nonché alle misure intraprese per lo scambio di corpi e prigionieri di guerra nel dopoguerra e per preservare il patrimonio culturale armeno. È stata sottolineata l’importanza della loro coerenza.
Riferendosi al ruolo della Turchia nel mantenere il cessate il fuoco nella zona di conflitto del Nagorno-Karabakh, Sergey Lavrov ha sottolineato che il centro di monitoraggio russo-turco opererà esclusivamente a distanza. Hanno inoltre scambiato opinioni sulla situazione politico-militare nella regione e sulla cooperazione per la sua stabilizzazione.
Il Primo ministro armeno Pashinyan ha attribuito importanza alla ripresa della vita normale nell’Artsakh, al fatto che il popolo dell’Artsakh stia tornando alle proprie case e ha osservato che il governo armeno realizzerà programmi congiunti con il governo dell’Artsakh per ripristinare le infrastrutture e gli alloggi.

Il rifiuto dell’Azerbaigian di discutere lo status dell’Artsakh rimuove qualsiasi ostacolo al riconoscimento della sua indipendenza da parte di altri stati

Il Ministro degli esteri della Repubblica di Artsakh Masis Mayilian in una dichiarazione ha osservato che il rifiuto categorico dell’Azerbaigian di discutere la questione dello status di Artsakh (Nagorno-Karabakh), espresso al più alto livello, rimuove qualsiasi ostacolo affinché altri stati riconoscano l’indipendenza della Repubblica di Artsakh, che è il risultato dell’esercizio da parte del nostro popolo della loro diritto inalienabile all’autodeterminazione. “Se in passato gli Stati si sono astenuti dal riconoscere l’indipendenza dell’Artsakh per timore di ostacolare il processo di risoluzione pacifica del conflitto Azerbaigian-Karabakh, dopo l’aggressione armata contro l’Artsakh, l’occupazione di una parte significativa del suo territorio e il rifiuto pubblico di Baku per discutere la questione dello status, queste preoccupazioni hanno perso la loro rilevanza”, ha aggiunto il Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh. “Il riconoscimento internazionale dell’indipendenza e dell’acquisizione della personalità giuridica internazionale da parte della Repubblica di Artsakh creerà le condizioni più importanti per il ripristino della sua integrità territoriale con mezzi politici e diplomatici. La comunità mondiale non ha il diritto di riconciliarsi con una situazione derivante dall’aggressione armata di un’alleanza di due stati autoritari e genocidi, così come i terroristi internazionali le cui azioni non rientrano nelle norme legali e morali del mondo civilizzato “, ha dichiarato il Ministro Mayilian.

Saint-Étienne (Francia) sollecita il riconoscimento dell’Artsakh

Il Consiglio comunale di Saint-Étienne in Francia ha adottato una decisione, chiedendo alle autorità di riconoscere “immediatamente” la Repubblica di Artsakh e di stabilire relazioni diplomatiche con le sue autorità. Ha inoltre invitato il Governo francese ad agire con decisione, utilizzando tutti i mezzi diplomatici, per trovare una “soluzione pacifica” duratura attraverso negoziati graduali, garantendo la sicurezza della popolazione civile e respingendo così qualsiasi forma di soluzione militare. Il Consiglio comunale di Saint-Étienne ha deciso di stanziare 30.000 euro per il Fondo armeno di Francia, per i bisogni della popolazione civile nell’Artsakh.

Pisa riconosce la Repubblica di Artsakh

Anche Pisa si aggiunge alle città italiane che hanno riconosciuto l’indipendenza della Repubblica di Artsakh. Il Consiglio comunale di Pisa ha condannato fermamente l’aggressione contro l’Artsakh, ha espresso solidarietà al popolo armeno e preoccupazione per le invasioni espansionistiche.

Nagorno-Karabakh: commissione Esteri della Camera approva risoluzione

(Agenzia Nova) –
La commissione Esteri della Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità, con il consenso di tutti i gruppi parlamentari, una risoluzione sul Nagorno–Karabakh, presentata dal presidente Piero Fassino. Dopo aver ricordato i principali passaggi del conflitto, richiamato le Risoluzioni Onu e Osce e le iniziative per sedare il conflitto, riferisce una nota, la commissione Esteri sollecita le parti a rispettare il cessate il fuoco, a rispettare gli impegni assunti con l’accordo sottoscritto tra i presidenti della Russia e dell’Azerbaigian, rispettivamente Vladimir Putin e Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan, e ricercare soluzioni fondate su negoziati e non sull’uso della forza. Sollecita, altresì, ogni Paese terzo ad astenersi da ogni forma di interferenza, così come chiede a tutti gli attori della regione di contrastare ogni forma di presenza di miliziani estremisti. La commissione impegna il governo a sostenere le iniziative del Gruppo di Minsk, dell’Onu e dell’Ue per una soluzione condivisa di pace e stabilità. La risoluzione richiede poi a tutte le parti di garantire nei territori da loro controllati il rientro degli sfollati, la tutela dei diritti umani, il rispetto di ogni comunità e del pluralismo culturale e religioso, l’integrità e la preservazione del patrimonio storico. La risoluzione sottolinea anche la necessità di tutelare la popolazione armena del Nagorno–Karabakh e il patrimonio culturale e religioso, custode di una presenza millenaria del cristianesimo. Alla luce delle difficoltà ad esercitare un ruolo attivo nella crisi del Nagorno–Karabakh, la Commissione Esteri sollecita altresì l’Osce a verificare l’efficacia delle sue politiche e dei suoi strumenti. La risoluzione, infine, impegna l’Italia, insieme alle istituzioni europee e internazionali, a concorrere al sostegno umanitario alle popolazioni martoriate dalla guerra. La risoluzione è sottoscritta dal presidente Fassino, Cabras (M5S), Formentini (Lega) e dai Capogruppo Suriano (M5S), Quartapelle Procopio (Pd), Zoffili (Lega), Valentini (FI), Delmastro delle Vedove (FdI), Migliore (Iv), Palazzotto (Leu), Lupi (Misto).

Condividiamo di seguito un’analisi delle notizie riguardante l’aggressione azera-turca nella Repubblica di Artsakh (Nagorno-Karabakh) a firma di Victor Gaetan su National Catholic Register del 16 novembre 2020, in una nostra traduzione italiana dall’inglese.

Victor Gaetan è corrispondente del National Catholic Register, che si occupa di questioni internazionali. Scrive anche per la rivista Foreign Affairs, The American Spectator e il Washington Examiner. Ha contribuito per diversi anni al Catholic News Service. La Catholic Press Association of North America ha assegnato ai suoi articoli quattro primi premi, tra cui l’eccellenza individuale, negli ultimi cinque anni. Gaetan ha conseguito una licenza (BA) in studi ottomani e bizantini presso l’Università della Sorbona di Parigi, un master presso la Fletcher School of International Law and Diplomacy e un dottorato di ricerca. in Ideology in Literature presso la Tufts University. Il suo libro God’s Diplomats: Pope Francis, Vatican Diplomacy, and America’s Armageddon sarà pubblicato da Rowman & Littlefield nel 2021.

Sotto la copertura di una pandemia globale e beneficiata dall’egocentrismo degli Stati Uniti d’America durante le elezioni presidenziali, una battaglia che ha infuriato per 44 giorni contro una comunità compatta di Armeni [cristiani] – circa 150.000 persone racchiuse territorialmente dall’Azerbajgian [musulmana] – è terminata.

La regione sotto assedio è ampiamente conosciuta come Nagorno-Karabakh, ma i suoi cittadini hanno votato per chiamarla Repubblica dell’Artsakh nel 2017.

Descrivendolo come un “accordo indicibilmente doloroso”, il primo ministro armeno ha firmato il 9 novembre un accordo di cessato il fuoco con l’aggressore, l’Azerbaigian sostenuto dalla Turchia. A Yerevan, capitale dell’Armenia, la gente [Armeni] ha risposto con la rivolta, fino ad occupare il Parlamento, mentre la gente [Azeri] ballava per le strade di Baku, la capitale balneare dell’Azerbajgian.

Il Presidente russo Vladimir Putin ha mediato il cessato il fuoco dettagliato, che richiede all’Armenia di ritirarsi da circa un terzo della patria storicamente armena, fondamentalmente premiando l’Azerbajgian per un massiccio assalto militare sostenuto dalla Turchia.

Missili a lungo e corto raggio, bombe a grappolo vietate a livello internazionale, droni suicidi e mercenari portati dalla Turchia dalla Siria hanno sopraffatto la parte armena. Sono emerse prove di crimini contro l’umanità: soldati azeri si sono ripresi mentre sparavano un soldato ferito alla testa. Gli ospedali sono stati presi di mira, così come le chiese. Il Congressional Armenian Caucus [negli USA] il 10 novembre ha chiesto di accertare la responsabilità per i crimini di guerra commessi dall’Azerbaigian e dalla Turchia contro l’Artsakh e l’Armenia.

Papa Francesco ha invocato il dialogo tra i due Paesi dopo la preghiera dell’Angelus del 1° novembre, tre settimane dopo aver pregato per una tregua. Ma a quel tempo, gli aggressori non avevano ancora un ambito premio, la città di Shushi, che era stata assicurata dalla parte armena in un cessato il fuoco delle ostilità del 1994 che infuriavano per due anni.

L’8 novembre, l’Azerbaigian ha annunciato la conquista militare di Shushi, in posizione strategica, culturalmente pregiata e ancora segnata da un massacro istigato dalle truppe azere contro la comunità a maggioranza armena nel 1920. Fu allora che l’Azerbaigian smise di combattere.

Genocidio in corso?

Per gli osservatori attenti e per le vittime stesse, l’aggressione di quest’anno ha tutti i segni di un genocidio cristiano in corso: iniziato dai turchi ottomani nel 1895; intensificato dal Movimento dei Giovani Turchi tra il 1915 e il 1923; continuò contro i greci negli anni Cinquanta; e ora è riacceso come parte del sogno del Presidente turco Recep Tayyip Erdogaň di ripristinare il potere e il territorio ottomano.

Le prove del genocidio sono particolarmente pietrificanti per gli Armeni, perché suggeriscono che l’Azerbajgian e la Turchia non si fermeranno finché non avranno “ripulito” questa culla della cristianità dai suoi popoli indigeni.

La prova del collegamento è sorprendentemente palese: quando l’Azerbajgian ha sganciato una bomba l’8 ottobre attraverso la cupola della Cattedrale del Santo Salvatore Ghazanchetsots di Shushi, la più grande chiesa armena del mondo, hanno preso di mira un luogo sacro danneggiato nel famigerato attacco del 1920, quando i soldati azeri diedero fuoco alla metà armena della città, uccidendo, violentando e scacciando i suoi abitanti. Questo passato è nascosto, e l’annullamento intenzionale della cultura cristiana dell’Armenia negato, dalla potente famiglia che controlla l’Azerbajgian da due generazioni, gli Aliyev.

Per comprendere questa nuova minaccia di pulizia etnica e le sue implicazioni geopolitiche, il National Catholic Register ha consultato e ascoltato esperti riuniti da In Defense of Christians (IDF) un’organizzazione con sede a Washington D.C.

“Tripla unità” di aggressione

Robert Avetisyan, Rappresentante designato della Repubblica di Artsakh negli Stati Uniti d’America, descrive le forze schierate contro il nuovo stato come una “tripla unità” composta dal vicino Azerbajgian, dalla Turchia e dai terroristi internazionali trasportati dalla Turchia dalla Siria. Vede la Turchia, con il secondo esercito della NATO dopo gli Stati Uniti, come “istigatore di attacchi e spingendo l’Azerbajgian”, che si è preparata alla guerra spendendo i suoi “soldi, guadagnati facilmente con il petrolio, accumulando armi e droni all’avanguardia da usare contro di noi”.

Sebbene la Turchia non sia menzionata nell’accordo di cessato il fuoco, il Presidente Erdogaň ha dichiarato pubblicamente che la Turchia e l’Azerbajgian, entrambi facendo parte una volta dell’Impero Ottomano, sono “due stati, una nazione”, mentre l’Artsakh è uno tra i “territori occupati” che fanno parte dell’Azerbajgian.

Parlando al National Catholic Register per telefono dall’Artsakh, Avetisyan ha affermato che la Turchia ha portato mercenari estremisti dalla Siria “a migliaia” per combattere, rendendolo un conflitto “tra l’Artsakh e il terrorismo internazionale”. Ha detto che la popolazione ha resistito a un vero e proprio “blitzkrieg” di armamenti.

Un altro attore regionale nella mischia è Israele, il principale fornitore di armi all’Azerbaigian. Il mese scorso, l’Armenia ha ritirato il suo Ambasciatore in Israele per protestare contro il suo sostegno all’accumulo di armi azere. (Tra il 2016 e il 2019, Israele ha venduto armi per un valore di 625 milioni di dollari all’Azerbajgian, rispetto alle vendite della Turchia di 32 milioni di dollari). La convergenza di interessi tra Israele e Azerbajgian si spiega con il conflitto in corso tra Israele e Iran. L’Iran confina con l’Azerbajgian a sud e Baku ha dato a Israele accesso ai suoi aeroporti per un potenziale utilizzo contro l’Iran, secondo fonti israeliane.

Mentre il Congresso degli Stati Uniti l’anno scorso ha approvato in modo schiacciante una risoluzione che riconosce il genocidio armeno, Israele non l’ha riconosciuto. L’Azerbaigian e la Turchia negano categoricamente che sia mai accaduto.

Papa Francesco nel giugno 2016 è stato il primo papa a riconoscere pubblicamente l’omicidio di massa degli armeni come il “primo genocidio” del XX secolo.

Lavoro incompleto

Alla domanda sulle motivazioni della Turchia, l’analista della difesa dell’American Enterprise Institute Michael Rubin è schietto: “Principalmente, animosità verso gli Armeni come popolo e il cristianesimo come religione”. Rubin ha detto in una conferenza stampa di In Defense of Christians (IDF) che Erdogaň non ha alcuna pretesa storica sull’Artsakh e nessuna scusa di sicurezza per fomentare la guerra. Oltre ad essere anticristiano, le sue motivazioni sono politiche e nazionalistiche: “La Turchia è sul sentiero di guerra, e peggiorerà perché Erdogaň distoglie l’attenzione dalla sua economia fallimentare e si avvicina all’anniversario della Repubblica turca” fondata nel 1923.

Aram Hamparian, Direttore esecutivo del Armenian National Committee of America, ha riassunto: “La posta in gioco qui è che Erdogaň sta cercando di finire il lavoro del 1915”. Raccontando le perdite del popolo armeno per mano della Turchia come “due terzi del nostro popolo e nove decimi del nostro territorio”, Hamparian ha riformulato l’attuale situazione nel Caucaso meridionale come “non un conflitto ma un crimine”, richiedendo una risposta rapida da l’Occidente.

Un rappresentante della comunità greco-americana è d’accordo. “Ci stiamo avvicinando al centenario di una repubblica costruita sulle ossa e sul sangue delle minoranze cristiane. Oggi, l’Artsakh è un inconveniente per l’idea di dominio della Turchia nella regione”, ha affermato Endy Zemenides, Direttore esecutivo dell’Hellenic American Leadership Council.

Cosa fare?

Per Zemenides, il Governo degli Stati Uniti d’America dovrebbe imporre immediatamente sanzioni alla Turchia, innescate dalla violazione da parte di Ankara del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA). La legge del 2017 è direttamente correlata alla Russia, ma la Turchia ha violato la CAATSA quando ha preso in consegna un sistema di difesa aerea S-400 di fabbricazione russa nell’agosto 2019. “È ora di ritenere la Turchia responsabile perché, se non viene fatto, la Turchia crede di poter farla franca con tutto ciò che sta facendo in Artsakh in questo momento”, ha detto Zemenides al National Catholic Register. Il mese scorso, sette senatori statunitensi hanno introdotto una legislazione per indagare sulle violazioni dei diritti umani da parte di Azerbaigian e Turchia “in tutto il Caucaso meridionale”.

Hamparian ha detto che non solo gli Stati Uniti devono condannare i crimini dell’Azerbaigian, ma devono porre fine a tutti gli aiuti militari alla nazione canaglia: “Anche se le bombe stanno cadendo su Artsakh, stanno ricevendo aiuti!”. Diversi esperti hanno anche insistito sul fatto che la vasta rete di lobbisti di Washington altamente pagati, che lavorano per conto della Turchia e dell’Azerbaigian dovrebbe essere scoperta e svergognata. Zemenides li ha descritti come se seguissero la massima: “Qualsiasi denaro che non può comprare, più denaro può comprare”.

Riconoscimento per Artsakh?

Il funzionario dell’Artsakh Avetisyan ritiene che il riconoscimento dell’esistenza stessa della repubblica sarebbe molto vantaggioso, uno scenario paragonabile al riconoscimento statunitense del Kosovo come stato indipendente nel 2008, al fine di smussare i progetti della Serbia sulla sua distruzione. Rubin vede questo come un modo per dare al Governo degli Stati Uniti d’America un modello familiare. Il Rappresentante democratico della California Grace Napolitano ha chiesto il riconoscimento di Artsakh.

Ma i sostenitori hanno detto al National Catholic Register di essere incappati in un muro quando hanno cercato di convincere il Dipartimento di Stato degli USA a riconoscere il disastro in atto per gli Armeni nel Caucaso meridionale, con Washington occupato con le elezioni presidenziali.

Sebbene la Francia, la Russia e gli Stati Uniti abbiano rilasciato il mese scorso una dichiarazione congiunta che chiedeva di porre fine alle “ostilità” regionali, non era affatto convincente. Le tre nazioni compongono il triumvirato che ha mediato una tregua nel 1994, sotto gli auspici dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Infatti, l’accordo di cessato il fuoco di questo mese firmato da Russia, Azerbaigian e Armenia ha escluso Stati Uniti e Francia dalla futura partecipazione, de jure e de facto.

Diplomazia: la parola magica

Contro l’ipotesi che l’Iran si allinei con l’Azerbaigian sulla base della religione – l’Azerbaigian è uno dei pochi paesi in cui, come l’Iran, la maggioranza musulmana pratica una forma di islam sciita – è il fatto che l’Iran è sensibile alla cultura armena.

Rubin dell’American Enterprise Institute ha spiegato al National Catholic Register: “Quando vivevo in Iran, vivevo nel quartiere armeno di Isfahan. Gli armeni si stabilirono a Isfahan più di 400 anni fa, dopo che Shah Abbas I li trasferì con la forza. L’area era costellata di chiese armene, generi alimentari armeni e manifesti che segnano la commemorazione del Medz Yeghern [il grande crimine, come gli Armeni chiamano il genocidio del 1915-23]. Gli scià persiani o iraniani hanno sempre interagito con gli Armeni, hanno compreso e apprezzato la cultura armena e hanno persino preso importanti Armeni come loro fidati consiglieri. Allo stesso modo, Russia e Armenia hanno sempre avuto affinità culturali – e l’Armenia, ovviamente, ospita una base militare russa”.

“Teheran e Washington non hanno bisogno di essere amici o alleati per trovare un interesse reciproco nel contrastare l’aggressione di Baku”, ha continuato Rubin. “Aliyev ha mostrato la sua vera natura portando in Turchia e mercenari siriani sostenuti dalla Turchia. Ovunque vadano i mercenari siriani della Turchia, seguono al Qaeda e lo Stato islamico, e questo evidenzia l’interesse comune “.

Rubin ha aggiunto: “Iran e Stati Uniti potrebbero essere nemici, ma hanno anche fatto causa comune. Dopo la caduta dei talebani, ad esempio, sia Teheran che Washington hanno lavorato insieme per aiutare a stabilire il nuovo governo afghano. Anche l’Iran e gli Stati Uniti erano in gran parte dalla stessa parte nella lotta contro lo Stato islamico “.

“Quello che sto dicendo è che molti paesi possono vedere che ciò che sta accadendo in Armenia è sbagliato e lavorare per invertirlo, anche se non sono d’accordo su nient’altro. Questo è ciò che riguarda la diplomazia “, ha detto Rubin. Crede anche che all’interno dell’establishment politico americano, “la gente si sia svegliata davanti alla minaccia della Turchia”.

Per quanto riguarda l’Azerbaigian, l’analista dell’American Enterprise Institute ha spiegato: “L’Azerbaigian aveva da tempo amici a causa della sua cooperazione antiterroristica post-2001, ma il fatto che ora si colleghino con mercenari siriani per attaccare villaggi e chiese cristiane suggerisce che non sono più un partner per la sicurezza”.

Heydar Aliyev, membro del Politburo sovietico e alto funzionario del KGB (secondo la CIA), governò l’Azerbaigian dal 1993 fino alla sua morte nel 2003 (la prima repressione contemporanea contro gli armeni avvenne nel 1988). Suo figlio, Ilham, ereditò il paese – e una rete offshore di mega ricchezza costruita dalla corruzione, secondo l’International Consortium of Investigative Journalists. Tre anni fa, il Presidente Aliyev ha nominato sua moglie primo vicepresidente.

Rubin ha detto: “Non sono altro che un’altra dittatura a conduzione familiare in cui gli Stati Uniti non devono avere un interesse continuo”.

Victor Gaetan

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