Nel mirino. Un’epitome per la Montagna del Giardino Nero, l’Artsakh

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Il titolo oggi è breve, come è breve – anzi quasi assente – la reazione dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente al tentativo di genocidio armeno cristiano in atto nel Caucaso da parte degli azeri-turchi. Questo breve titolo mette a fuoco, come un cecchino il mirino del suo fucile, una scena piuttosto incredibile, metaforica a volontà, che si è svolta in Nagorno-Karabakh, durante la visita del Presidente dell’Azerbajgian al ponte Khodaafarin, al confine tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Repubblica di Artsakh. Mentre Ilham Aliyev stava compiendo un giro vittorioso sulla scena delle battaglie appena concluse – per il momento – con la conquista di quasi un terzo del territorio della Repubblica di Artsakh si era fermato per posava per una foto ricordo, scattata dalla sua moglie e Vicepresidente. In quel istante la coppia presidenziale azera è stata presa nel mirino da un cecchino iraniano. Questo è il tipo di evento (e un tipo di foto) che spesso provoca degli incidenti diplomatici…

Ci sono diverse letture possibile. Innanzitutto, il fatto che le foto controverse sono state fatte trapelare dal Corpo delle guardie della rivoluzione islamica [1], porta a considerare la diffusione non come una fuga di notizie attraverso l’account Twitter di un giornalista turco (nel caso specifico, come esempio ma non solo, Mete Sohtaoğlu, giornalista, ricercatore ed esperto di movimenti jihadisti globali), ma per quello che è: un messaggio che Teheran (o almeno l’ala dura della Rivoluzione islamica) ha voluto inviare al Presidente azero.

Non va escluso certamente, che in contemporanea si è voluto inviare anche un messaggio alla minoranza azera dell’Iran: “Attenti a non schierarvi dalla parte del (futuro) perdente”.

Questo fatto fa pensare ad una spiegazione regionale della violenza politica, per cui l’assassino della personalità – come disse nel 1991 il Primo ministro iraniano Chapour Bakhtiar – è nell’ordine dell’habitus. Sarebbe bene, quindi, considerare con questo parametro il fatto nel mirino. E soprattutto, non chiamarlo una fake news.

Ci sono commentatori, specialmente sui social turchi e nel Caucaso – che hanno definito la diffusione delle fotografie come “imbarazzante”. Tuttavia, non si capisce davvero come queste sarebbero imbarazzanti. Indubbiamente trasmettono un messaggio, sicuramente forte, che richiama le linee rosse di Teheran. Questa storia fotografica singolare è l’epitome – cioè, il compendio di un’opera voluminosa, redatto a fini divulgativi e nel contempo didattici – di un comportamento assolutamente in linea con il modus operandi secondo l’habitus dell’Iran: “Possiamo raggiungerti. Possiamo far sfilacciare i tuoi soldati vicino ai nostri confini. Ti diciamo per l’ennesima volta di rispedire a casa i barbuti della Siria, altrimenti…”. Certamente, è poco probabile, come alcuni – sempre sui social turchi e nel Caucaso – hanno ipotizzato, ovvero che l’Iran volesse iniziare un conflitto spingendo l’Azerbajgian ad attaccare, con la provocazione. Ma perché poi?
Mentre non è difficile trovarne la motivazione, risulta difficile credere che Teheran fosse così ignorante sulla gestione della narrativa e della propria immagine, a non capire il messaggio che trasmettono queste fotografie. Non solo documentano una scena che si svolge in territorio finito sotto controllo azero con la forza delle armi, ma che riguardano lo stesso Presidente azero e sua moglie, nonché Vicepresidente.

Non c’è dubbio che ci sia un messaggio nascosto, anche se con ogni probabilità indirizzato in contemporanea a diversi destinatari. Comunque, il messaggio concepito dal grande pubblico è praticamente l’esatto opposto della realtà che l’Iran ha sofferto per anni. Sebbene il Paese non mostri inclinazioni aggressive nell’immediato, è esso stesso vittima di omicidi e di molteplici atti di guerra e di terrorismo. E non è da escludere una reazione militare in futuro.

Si potrebbe obiettare che non ci sono prove che si tratta di uno strumento da cecchino e ancor meno che il mirino fosse montato su un’arma da cecchino. Che sia uno strumento da cecchino o un teleobiettivo da fotoreporter non è importante, è il messaggio che conta. E il messaggio è chiaro. È come scattare una foto a un uomo che punta una pistola alla testa di un Presidente statunitense – per richiamare un genere molto in voga nel Medio Oriente – e difendersi sostenendo che era una pistola giocattolo. Certamente, lo scopo non è stato di dare una dimostrazione di forza o innovazione tecnica, come per esempio le immagini di silo scattate di recente. Non c’è alcuna abilità tecnica nello scattare delle foto con il teleobiettivo dalla sponda opposta di un fiume. Non necessità particolare abilità di intelligence scoprire un convoglio presidenziale o di riconoscerlo come tale. Non è che grandi SUV, con un tale dispiegamento di guardie del corpo fossero comune da quelle parti. E così, mentre signor e signora Aliyev scendono a sgranchirsi le gambe sulla sponda del fiume, frontiera con l’Iran e scattano le foto ricordo della gita trionfale, vengono ripresi dalla sponda apposta. Non c’è niente di sorprendente.

Invece, il fatto cruciale è, che le foto della coppia presidenziale azera, tenuta sotto tiro da un cecchino iraniano, il 17 novembre sono state rilasciate dal Corpo delle guardie della rivoluzione islamica della Repubblica islamica dell’Iran, per ricordare che l’Iran si oppone a qualsiasi ulteriore ambizione azera-turca nel Nagorno-Karabakh e che la presenza di jihadisti dalla Siria trasferiti dalla Turchia nel Nagorno-Karabakh è inaccettabile.

In precedenza, il 16 novembre il Portavoce del Ministero degli esteri iraniano Saeed Khatibzadeh ha affermato che dopo la firma dell’accordo di cessato il fuoco, dopo sei settimane di combattimenti nel Nagorno-Karabakh, vicino ai confini iraniani, non si sono verificati dei cambiamenti nei confini nord-occidentali dell’Iran. Ha sottolineato che l’Iran non accetterà mai altro che quello che è stato firmato dalle tre parti. Khatibzadeh ha aggiunto che il Corridoio di Nakhchivan, che è diventato controverso in questi giorni, è semplicemente una via di transito, il cui caso è strettamente monitorato dal Ministero degli esteri iraniano. Ha inoltre affermato che l’Iran accoglie con favore qualsiasi soluzione pacifica del conflitto come ha fatto negli ultimi tre decenni e che una soluzione pacifica del conflitto tra Azerbaigian e Armenia andrà a beneficio dell’intera regione. Ha ribadito che nessun cambiamento è avvenuto ai confini iraniani e non avverrà mai in futuro. Secondo la conoscenza del Ministero degli esteri iraniano, ha detto il Portavoce, i militanti siriani devono aver già lasciato la regione e, tuttavia, l’Iran non tollererà la presenza di elementi stranieri nella regione. Riguardo all’uccisione delle guardie di frontiera iraniane nella Regione nord-ovest dell’Iran, Khatibzadeh ha affermato che la risposta dell’Iran a tali misure è forte.

Anche un alto consigliere del Leader della Rivoluzione islamica, l’Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, ha affermato che non c’è posto per i militanti siriani vicino ai confini nord-occidentali dell’Iran. “Non c’è posto per i terroristi wahhabiti [2] e takfiri [3] tra la gente dell’Azerbaigian, che sono conosciute per il loro amore per la progenie del Profeta Muhammad e la storia di tali gruppi è molto desolante”, ha detto Ali Akbar Velayati in un discorso a un webinar tenuto per discutere le opinioni dell’Ayatollah Khamenei sulla regione del Nagorno-Karabakh. “Il popolo dell’Azerbaigian è in grado di liberare la propria terra e la presenza di terroristi wahhabiti a nord dei confini dell’Iran [con l’Azerbaigian] sarà inutile”.

Ancora prima, il 13 novembre l’agenzia di stampa Fars News Agency, affiliata al Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica della Repubblica islamica dell’Iran, ha pubblicato un articolo di analisi, definendo le recenti iniziative nel Caucaso “diaboliche”. L’articolo si occupa delle questioni in sospeso relative all’accordo di cessate il fuoco raggiunto tre giorni prima nel Nagorno-Karabakh, in particolare riguardanti il Corridoio di Nakhchivan, per cui l’Iran è estremamente a disagio, in particolare per l’esclusione della presenza della Turchia. L’articolo s’intitola: “Guerra economica. Conseguenze economiche dell’accordo Azerbajgian-Armenia per l’Iran. Perdita della striscia di confine tra Iran e Armenia. Una rapida occhiata alla mappa regionale mostra nuovi sviluppi semantici oltre alla quasi completa perdita della striscia di confine dell’Iran con la Repubblica dell’Armenia. In queste nuove circostanze, l’Iran è devenuto ai suoi confini settentrionali quasi interamente un vicino della Repubblica dell’Azerbaigian”. Con questo articolo la Fars News Agency riporta una Nota del suo corrispondente economico Ehsan Movahedian, docente universitario e ricercatore di relazioni internazionali, sulle conseguenze economiche del recente accordo di cessato il fuoco tra l’Armenia e l’Azerbaigian.

Riportiamo una nostra traduzione italiano dal farsi di questa Nota [4].

Della preoccupazione dell’Iran per la sicurezza sulla sua frontiera nord-occidentale abbiamo riferito già il 7 novembre, quando all’inizio di novembre l’esercito iraniano stava dispiegando unità corazzate al confine con l’Armenia e l’Azerbaigian. Il Comandante dell’Esercito iraniano della regione nord-ovest dell’Iran ha affermato che unità corazzate iraniane erano state dispiegate nella zona di confine con l’Azerbaigian e con l’Armenia. Il 6 novembre il Generale Ali Hajiloo ha sottolineato che l’Esercito della Repubblica Islamica dell’Iran ha la responsabilità di difendere le aree di confine del Paese da qualsiasi aggressione dei nemici. Riferendosi ai recenti conflitti tra le forze armene e azerbaigiane, ha affermato che le forze di terra dell’esercito nel nord-ovest dell’Iran hanno la missione di garantire la sicurezza e la pace della regione. Ha continuato dicendo che il Quartier generale dell’esercito iraniano nella regione nord-ovest aveva già inviato un certo numero di forze corazzate.
Giri come giri, le foto del Presidente azero preso nel mirino da un cecchino iraniano trasmettono, se non una minaccia esplicita, certamente un’avvertimento, rivolto direttamente al Capo di Stato del Paese limitrofe, che aveva scatenato una guerra di aggressione con il sostegno della Turchia, con mercenari jihadisti siriani reclutati e trasportati dalla Turchia, con alti ufficiali militari turche e pakistane, sulla frontiera nord-occidentale dell’Iran. Le foto – e soprattutto le modalità della loro diffusione – trasmettono un messaggio rosso fuoco inconfondibile.

In sostanza, per quanto riguarda il “conflitto” nel Caucaso, il problema non è una mancanza di informazioni, anche perché ambedue le parti, sia armeno cristiano, sia azero-turco islamico comunicano. Anzi, abbiamo a disposizione una ricchezza di informazioni. Il problema è diverso. Risiede nel trovare informazioni affidabili.

La minaccia – non con le parole ma di fatto, con le armi – di pulizia etnica azera-turca contro gli armeni cristiani non è solo e per primo una questione culturale-religiosa (con azioni di genocidio e di annientamento di un millenario patrimonio armeno cristiano) ma ha antiche e nuove implicazioni geopolitiche. Quindi, non è solo una questione armena-azera-turca, ma come da secoli mira direttamente alla Cristianità (a quello che ne resta…).

Da una parte, oggi sono ancora freschi i ricordi del genocidio per mano dei turchi ottomani di 100 anni fa. Secondo gli esperti, il “conflitto” tra Armenia e Azerbaigian è un genocidio di armeni cristiani con il pretesto della guerra. Sotto costrizione, l’Armenia ha firmato con l’Azerbajgian un accordo di cessato il fuoco mediato dalla Russia. Nella carta geografica che segue, il territorio in turchese, compresa la città di Shushi (in ovale grigio) è stato preso dalle forze militari azere-turche a novembre e mantenuto nell’accordo di cessate il fuoco del 10 novembre. Shushi fa parte da secoli della “culla della cristianità” armena. Non va dimenticato che l’Armenia ha adottato il cristianesimo anche prima di Roma.

E allora, la domanda è: perché l’Italia, l’Europa e l’Occidente hanno taciuto sull’aggressione azero-turco nel Nagorno-Karabakh? Perché hanno dato mano libera ad Aliyev e Erdogaň, voltandosi dall’altra parte, mentre di una guerra all’Occidente e alla Cristianità si tratta (come quando l’11 settembre 1683 fu tolto a Vienna l’assedio dell’esercito dell’Impero Ottomano e come quando il 7 ottobre 1571 fu sconfitta Lepanto la flotta dell’Impero Ottomano)?

Lasciamo da parte – per il momento – una visione escatologica del mondo, che non corrisponde proprio allo spirito degli avvenimenti nel Caucaso, anche se c’è una dimensione molto escatologica nei tempi che stiamo vivendo, che si scontra con i migliori strateghi quando ne ignorano l’effetto. Non basta vincere una tessera del grande gioco, è anche necessario misurare le questioni inscritte nelle profondità dell’essere degli uomini, per comprendere e analizzare la portata delle azioni sotto osservazione. I cristiani, questi non amati, anzi odiati a morte, dovrebbero ricordarsi che potrebbe arrivare il momento di smettere di inchinarsi, di abbassarsi a baciare le scarpe, di sottomettersi. Insomma, di abbandonare loro dhimmitudine [5].

Perché l’Italia, l’Europa e l’Occidente non hanno aiutato, non aiutano e non aiuteranno gli armeni cristiani nel Nagorno-Karabakh? Perché l’Italia, l’Europa e l’Occidente chiudono gli occhi davanti all’espansionismo dell’Azerbajgian della famiglia Aliyev e della Turchia del Sultano Erdogaň?

La risposta troviamo in un gasdotto, in cui scorrono sangue e silenzio. Il 15 novembre – 5 giorni dopo la firma dell’accordo trilaterale di cessato il fuoco dopo l’aggressione azera-turca contro la Repubblica di Artsakh – a quattro anni e mezzo dalla cerimonia inaugurale dei lavori di costruzione a Salonicco, la multunazionale Trans Adriatic Pipeline (TAP) ha annunciato che è operativo il Gasdotto Trans-Adriatico che approdando sulla costa adriatica della provincia di Lecce porterà in Italia e in Europa il gas dall’Azerbajgian e che “avvia le operazioni commerciali lungo gli 878 km che attraversano la Grecia, l’Albania, il Mare Adriatico e l’Italia”. “TAP – precisa la multinazionale in una Nota – è il tratto europeo del Corridoio Meridionale del Gas, un’infrastruttura in grado di trasportare 10 miliardi di metri cubi all’anno di nuove forniture di gas dall’Azerbaigian verso i mercati europei”.

Nel Nagorno-Karabakh l’aggressione armata degli azeri-turchi è stata premiata e la geopolitica prende il sopravvento. Dittatori e barbuti barbari per ora urlano, mentre gli armeni cristiani vivono di nuovi tempi amari e faticosi, come tante volte nella loro millenaria storia. Ma come altre volte risorgeranno con la loro forza ancestrale, la loro resilienza e la loro saggezza, ricostruiranno e andranno avanti dignitosamente avanti con orgoglio nazionale e religiosa. Noi preghiamo nostro Dio Misericordioso, che benedice l’Artsakh e l’Armenia. Loro non sperano e non debbono sperare nell’Italia, nell’Europa e nell’Occidente, in quello che una volta era la Cristianità, che fermò i turchi ottomani davanti alle porte di Vienna e nel mare di Lepanto. Gli Italiani, gli Europei e gli Occidentali pensano a riscaldarsi le chiappe con il gas azero, rosso di sangue armeno cristiano. Si sono venduti loro anima e loro libertà con loro silenzio, per i metri cubi di gas azero.

Intanto, coincidenza o no (comunque la diffusione delle foto è più mirata che per caso… il caso non esiste), Teheran ha inasprito i toni riguardante il conflitto nel Nagorno-Karabakh, chiedendo la “partenza immediata” dei mercenari barbuti trasportati dalla Siria dalla Turchia (e solo in parte rimpatriati, vivi o morti, come sembra).

Gli Iraniani stanno giocando una partita serrata, che ha anche ramificazioni a Washington. Abbiamo visto in diverse occasioni che è stata l’ossessione persofobica del governo Trump a spingere Teheran ad avvicinarsi a Baku, soprattutto quando due anni fa è stato firmato lo Statuto del Caspio, quando i due grandi bracci del Caspio, Russia e Iran, hanno ceduto. Per Teheran è senza dubbio stato una questione da mettere in parallelo con le sanzioni americane. Gli Iraniani necessitano di altre aperture economiche, in particolare un accordo con Baku sulla condivisione di alcuni giacimenti petroliferi a cavallo delle acque territoriali dei due Paesi. Per il noto effetto dei vasi comunicanti, una Presidenza di Biden, più iraniano compatibile del governo Trump, potrebbe portare ad un ulteriore irrigidimento di Teheran nei confronti dell’Azerbajgian, ora meno utile. Stiamo vedendo i primi segnali che gli iraniani stanno già scommettendo sull’arrivo di Biden alla Casa Bianca? Oppure, è arrivato il messaggio di Trump che a settembre si era detto pronto a iniziare a normalizzare le relazioni con l’Iran se rieletto? Si tratta di una notizia passata praticamente inosservata, ma sembrava un’inversione di tendenza (QUI). Comunque, “persofobia” dell’governo USA e non dello stesso Trump, che effettivamente a volte ha soffiato caldo e freddo nei confronti di Teheran. Però, i tenori della sua amministrazione (Pompeo, Bolton, Abrams) erano/sono totalmente contrari a qualsiasi riavvicinamento con l’Iran.

Da parte sua, anche Mosca ha – seppur leggermente – inasprito il tono. I numerosi crimini di guerra degli azeri-turchi e le loro imbecilli provocazioni contro le chiese armene “conquistate” hanno spinto Putin, durante una conversazione telefonica con il Presidente azero Aliyev, a insistere in particolare sul rispetto dei siti e del patrimonio religioso armeno cristiano. Tra il commovento addio delle comunità armene cristiani ai loro monasteri e il vittorioso “Allahᵘ akbar” urlato dall’alto delle chiese dai conquistatori islamici, Putin ha comprese molto bene il pericolo. Simbolicamente, è potenzialmente disastroso per l’immagine della Russia, che rischia di essere vista come complice in questa vicenda, quando era prigioniera delle sue passate posizioni e non poteva intervenire nel Giardino Nero [6].

Vale quanto vale ma, scorrendo i social, vediamo che le comunità cristiane della regione (Caucaso, Medio Oriente e Mediterraneo orientale), comunità che tradizionalmente guardano a Mosca come al loro salvatore e su cui la Russia può basare la sua politica, sono amareggiati e delusi dal “tradimento” del Cremlino e dal suo accomodamento con il Sultano di Ankara. È facile spiegare che, in virtù dei suoi impegni passati, la Russia era coinvolta nel conflitto del Nagorno-Karabakh (che Ankara aveva capito molto bene). Il simbolo a volte è più forte del ragionamento. Da qui, senza dubbio, il raddrizzamento di Aliev da parte di Putin di cui prima e che vedremo nel tempo se sarà seguita da effetti…

Va osservato per inciso che la Turchia, relativamente esclusa dall’accordo di cessato il fuoco dopo aver guidato la guerra, continua a fare pressione. Il parlamento turco ha appena votato la proposta di Erdogaň di inviare contingenti militari (sempre categoricamente respinti dalla Russia). Solo che non si capisce molto bene se sia nello stesso Nagorno-Karabakh o, per vie traverse, in Azerbaigian (il che sarebbe in contraddizione con l’Accordo del Caspio firmato nel 2018). Si sta parlando di alcuni funzionari inviati al centro di controllo del contingente di pace russo sul terreno (che Mosca ha rifiutato assolutamente a più riprese)? Questo apparentemente sarà a discrezione del Sultano di Ankara.

È da tener presente che l’eventuale arrivo – ufficialmente, perché alti ufficiali militari turchi erano presente nella recente guerra di aggressione dell’Azerbajgian nel Nagorno-Karabakh – questo potrebbe spingere l’Armenia ad accogliere contingenti militari degli Emirati Arabi Uniti. Come si sa, insieme all’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti sono il grande avversario della Turchia in Medio Oriente e, per caso, domenica scorsa il Presidente armeno Sarkisian è stato invitato ad Abu Dhabi… Se la questione non è emersa nelle discussioni, comunque questa possibilità non va esclusa del tutto. Ovviamente, Ankara non vedrebbe bene la creazione di una base militare per il suo rivale ai suoi confini. Ed è chiaro che Mosca, dopo aver messo piede nel Giardino Nero, con l’invio di un consistente contingente di pace, ovviamente non vorrebbe vedere il Medio Oriente precipitare nel Caucaso. Tutto ciò per il momento rimane ipotetico, ma vediamo che le ramificazioni di questo conflitto armeno-azero/turco sono molto più estese delle dimensioni del territorio in cui si è svolto.

Nella stessa Armenia, anche il Primo ministro Nikol Pachinian è nel mirino della sua stessa popolazione. Anche se la rivolta scoppiata a seguito della capitolazione è stata più o meno repressa, le manifestazioni continuano e Pachinian sarebbe addirittura sfuggito ad un attentato. Aumentano le richieste di dimissioni, anche dalla voce del Presidente Sarkissian che, appena rientrato dal suo viaggio in Medio Oriente, chiede elezioni generali. Diciassette partiti di opposizione, niente di meno, chiedono l’uscita dalla scena politica di Pachinian, sotto la pressione di tutte le parti.

È un luogo comune affermare che le difficoltà di Pachinian, la cui lealtà è sempre stata messa in dubbio, non devono dispiacere del tutto alla Russia. Quindi, ironia della sorte – e possiamo vedere quanto sia inestricabilmente complessa la situazione – assistiamo ad un riavvicinamento tra il Presidente russo e il Primo ministro armeno, poco prima ancora considerato improbabile dagli osservatori.

Le correnti che vogliono la testa di Pachinian rifiutano la resa e alcune desiderano continuare la guerra. Questo è ovviamente fuori discussione per Mosca, che è finalmente riuscita a installare i suoi soldati nel Giardino Nero e sta già lottando per allontanare le influenze straniere, turche o meno che siano.

Un interesse comune potrebbe quindi finire per unire Pachinian – che difende il suo bilancio e anche la sua testa – e il Cremlino – che difende la sua influenza – contro chi vuole riaccendere la scintilla…

Il 17 novembre il Presidente Putin ha spiegato in un’intervista, che un cessate il fuoco avrebbe potuto essere trovato già molto prima del crollo militare armeno e della caduta in mani azeri-turchi della strategica e simbolica citta di Shushi: «Il 19 e 20 ottobre ho avuto conversazioni telefoniche con i leader armeni e azeri. Ero riuscito a convincere il Presidente Aliev della necessaria cessazione delle ostilità, con la condizione che fosse permesso il ritorno dei profughi azeri, in particolare a Shushi. Con mia sorpresa, i nostri partner armeni si sono rifiutati e il Primo ministro Pashinian mi ha detto che lo vedeva come una minaccia per gli interessi dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh. Non vedo quale minaccia questo potrebbe rappresentare dato che erano civili pacifici, con gli Armeni che mantenevano il controllo della regione incluso Shushi, con inoltre la presenza dei nostri caschi blu che erano già stati accettati da ambedue le parti. Ma Pachinian mi ha detto: “No, resisteremo, combatteremo”».

Queste potevano sembrare delle parole devastanti, però, come abbiamo riferito ieri, I rapporti con il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan sono “abbastanza basati sulla fiducia e costruttivi”, ha detto il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin in nell’intervista andata in onda sul canale televisivo Russia 24. “Pertanto, questi accenni [di cambiamenti nell’atteggiamento di Mosca nei confronti di Yerevan] non mi sono molto chiari”, ha sottolineato il Presidente russo. Allo stesso tempo, Putin ha detto che “le accuse contro di lui [Pashinyan] su un qualche tipo di tradimento non hanno alcun fondamento”. Putin ha inoltre spiegato che Pashinyan ha valutato la proposta di ritorno dei rifugiati a Shushi come una precondizione per la cessazione delle ostilità, come “una minaccia per l’Armenia e il Nagorno-Karabakh” e quindi aveva detto che avrebbero continuato a combattere.

Putin parla mai per dire niente, perciò è molto probabile che questo che ha raccontato, sia successo veramente.

In ogni caso, trovandosi tra quelli che lo accusano di essere stato oltranzista in un momento in cui avrebbe potuto risparmiare più dei mobili e gli altri che lo rimprovereranno sempre per aver capitolato, se il destino di Pachinian se non è segnato, è incerto. Comunque, la posizione di Pachinian, sebbene suicida, è stato coerente. La colonizzazione è anche un’arma di guerra, ed è per questo che i palestinesi, ad esempio, chiedono a gran voce il “diritto al ritorno”. Quando si confrontano i dati demografici azeri e armeni, questo è un vantaggio formidabile per Baku. Le parole di Putin servono principalmente a chiarire questo principio, contro l’accusa di neutralità e di non tutela dei cristiani apostolici armeni.

Quindi, Pashinyan è deciso a difendere la sua testa. In un ampio post su Facebook, Pashinyan ha presentato una tabella di marcia delle azioni per superare la situazione creatosi nel Paese. “È ora di parlare di modi, metodi e programmi per superare la situazione attuale”, ha scritto. Pur accettando di essere responsabile delle situazioni attuali, Pashinayn ha anche affermato di essere responsabile del superamento della situazione e dell’instaurazione della stabilità e della sicurezza nel Paese. E ha proposto una tabella di marcia delle azioni, di cui abbiamo riferito ieri.

In assenza della comunità internazionale, la Russia sostiene che un cattivo accordo sia meglio di una guerra. Questo modo di dire non rende omaggio né alla giustizia né alla verità, quindi non è così sicuro che l’accordo trilaterale per il cessato il fuoco firmato nel Giardino Nero sia così buono per la Russia, quando introduce il sospetto di duplicità. La Russia ha costruito la sua reputazione negli ultimi trent’anni sulla fedeltà alle alleanze, ignorando o minimizzando l’impatto di un tale accordo sul profondo sentimento di abbandono che gli armeni cristiani sentono come un difetto. La Cristianità dell’Occidente (o quel che ne resta) li ha tradito sempre, li tradisce ogni giorno e continuerà a tradirli. Eppure senza la forza del Cristianesimo l’Occidente verrà ridotto al nulla, come sta per esserlo, mentre la Russia sembra sfuggire alla sindrome dell’ingratitudine verso il Benefattore Supremo.

Intanto, che il conflitto armato nel Giardino Nero sia tutt’altro che finito è palese, per diversi motivi:

– L’Azerbaijan non ha raggiunto i suoi obiettivi di guerra, che erano la conquista totale del Nagorno-Karabakh e questo nonostante un costo umano piuttosto elevato (per un morto armeno, da due a tre morti da parte azera), che ha spinto il Presidente Aliyev ad accettare la mediazione russa.

– Dopo il giubilo popolare, gli azeri iniziano a notare che i russi stanno tirando fuori le castagne dal fuoco con perdite quasi zero. E a Baku si sono svolte importanti manifestazioni anti-russe.

– Lo spirito di vendetta cresce a Yerevan, dove sono già in preparazione piani di riconquista (Con quale equipaggiamento militare? Con quali risorse economiche? Con quali soldati?).

– Per quanto riguarda il Sultano di Ankara, è probabile che non si fermerà su un percorso così buono verso la pace, questo è ovvio. Ed è questo che teme la Repubblica islamica dell’Iran, vedendo messo in pericolo la sua sicurezza e danneggiati gravemente i suoi interessi economici con l’Armenia e l’Europa.

[1] Il Corpo dei guardiani della rivoluzione islamica, meglio noto come Guardiani della rivoluzione o, dal farsi, Pasdaran, è un organo militare istituito nella Repubblica islamica dell’Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979.

[2] Il “wahhabismo” è un movimento di riforma religiosa sviluppatosi alla metà del XVIII secolo nel Najd, un’area desertica al centro della penisola Arabica, socialmente, culturalmente ed economicamente poco sviluppata rispetto ai principali centri del mondo islamico dell’epoca. Nel caso specifico, pensando ai rapporti sulla presenza di ufficiali pakistani nella guerra azera-turca nel Nagorno-Karabakh, va ricordato che il Pakistan da tempo gioca col fuoco wahabita. Il giorno prima dell’attacco alle forze indiane nel Kashmir, gli irregolari estremisti sunniti con base in e sostenuti dal Pakistan compivano un’aggressione contro un convoglio del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica, che viaggiava nel Sistan/Belucistan, molto vicino al confine pakistano. L’Iran non perse tempo nell’identificare i colpevoli, e le forze armate iraniane affermavano direttamente di credere che governo pakistano e ISI (e, quindi l’Arabia Saudita) ne fossero in ultima analisi i responsabili. È interessante notare che suggerirono anche l’entusiasmo statunitense/israeliano e il loro coinvolgimento nella lunga campagna contro l’Iran intrapresa da tali islamici (va ricordato che non esiste un monolitico “tutti i musulmani insieme, sempre”):
a) Israele negli ultimi anni si è anche impegnato a migliorare le relazioni col Pakistan, in particolare nell’ambito militare; e
b) Israele non ha avuto alcun problema nel collaborare con affiliati di al-Qaida nel recente passato, dove questi si oppone all’Iran, come al-Nusra, in Siria. Il coinvolgimento nordamericano cogli estremisti sunniti non finì coi mujahidin in Afghanistan, né coi tentativi recenti nello Yemen, di nuovo contro gli interessi iraniani, mostrando agli Stati Uniti di essere pienamente in grado di cooperare con al-Qaida e amici, quando si addice.
Va anche notato che gli statunitensi hanno una politica ufficialmente autorizzata di operazioni dirette dalla CIA contro Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica, da effettuare dai Paesi limitrofi, almeno dalla direttiva presidenziale del 2008.
Il Maggiore-Generale Qasim Sulaymani lo notava direttamente nel contesto dell’”avvertimento amichevole” ai pakistani che se continuano a “provocare l’Iran” arriverà la “vendetta” contro i perpetratori e complici di tali attacchi. Il suo collega, Generale Yahya Rahim Safavi, consigliere militare dell’Ayatollah Khamenei, non espresse entusiasmo, dichiarando l’intenzione iraniana di una “risposta schiacciante e giusta”. Sentimenti echeggiati dal Generale Mohammad Ali Jajari: “Il Pakistan dovrebbe anche sapere che d’ora in poi dovrebbe pagare il conto del sostegno dell’organizzazione pakistana a tali terroristi, e questo prezzo sicuramente sarà molto salato”. Lo stesso Maggior-Generale Sulaymani passò gran parte degli anni ’90 operando nella “zona di convezione” ai confini tra le sfere di influenza iraniana e pakistana, impedendo attivamente e combattendo in quel decennio le attività insurrezionali supportate da pakistani/sauditi/statunitensi.
La Guardia rivoluzionaria iraniana non scherza. Riferendosi ai loro successi in Iraq, Siria e Libano, hanno abbondantemente dimostrato la capacità di rimodellare in modo significativo gli eventi e persino interi Stati, secondo il loro piani (anzi, è stato riportato che Sulaymani svolse un ruolo strumentale nel garantire l’intervento russo diretto nel conflitto siriano). La semplice dichiarazione di Sulaymani a Islamabad ricorda uno dei messaggi che Tito mandò a Stalin dopo una serie di attentati alla sua vita: “Smetti di mandare qualcuno a uccidermi. Ne abbiamo già catturati cinque, uno con una bomba e un altro con un fucile… Se non interrompi l’invio di assassini, ne manderò uno a Mosca, e non dovrò inviarne un secondo”. Tuttavia, se i pakistani provavano qualcosa negli ultimi cinquant’anni circa, è che hanno un’estrema capacità di reagire in quella che è alla fine l’antitesi del proprio interesse personale. Nel caso degli sviluppi recenti, questo è forse parzialmente esplicitato dalla preferenza dell’azione contro gli interessi di altri Stati, i sauditi ed altri, come identificati dagli iraniani; e i cinesi e co. come tutti sanno. Senza dubbio, questo è il motivo per cui la RPC sembra saper evitare la “beneficenza” che affligge i vicini del Pakistan dell’estremismo d’oltre-frontiera che appare giorno dopo giorno. È deplorevole all’estremo – anche se non, suppongo, non comprensibile – che alcuni stati continuino a sfruttare la loro sorte con il perfido Pakistan. È vero che anche la Russia si è impegnata in una forma di riavvicinamento con Islamabad. Tuttavia, ciò vale poco se confrontato col duraturo rapporto diplomatico e soprattutto militare indo-russo. È vero che miliardi di dollari saudita svuotano le casse dello Stato riempiendo i libri paga delle “insurrezioni” pachistane, appoggiate in tutto il mondo. Proprio come accade da alcuni decenni, almeno da quando gli Stati Uniti decisero di “sostenere il diavolo” per cacciare i sovietici dall’Afghanistan. Ma come agirono questi, assolutamente “falliti”, contro gli oppositori che videro nella Siria e nello Yemen, e nell’India e Iran oggi. È anche vero, anche se molti si rifiutano ostinatamente di crederlo, che Israele. il cosiddetto “amico” dell’India. ha compiuto sforzi seri, magari a braccetto coi loro partner, insabbiando i crimini verso est, per migliorare la propria relazione col Pakistan. Compreso il coinvolgimento del trasferimento di tecnologia militare illecita e illegale. Tuttavia, non si dovrebbe mai escludere la capacità degli statunitensi di fare qualcosa di stupido e insensato, e in definitiva contro i loro stessi interessi a lungo termine. L’irrigidimento della posizione dell’Iran verso Islamabad, quindi, è di vitale importanza, in senso geopolitico, nel continuo isolamento e indebolimento del Pakistan. Proprio come l’Iran si prese l’indiscutibile vantaggio nella lotta agli estremisti sunnita, sotto forma di vettori di atrocità dalla penisola arabica e oltre (Curwen Ares Rolinson – Fort Russ News, 2 marzo 2019).

[3] Il “takfir” in arabo è la pronuncia islamica di kufra in arabo‎, ossia di “empietà massima” (spesso apostasia), rivolta a chi sia giudicato gravemente e imperdonabilmente empio. Nell’Islam classico questo autorizzava l’autorità costituita a infliggere la condanna a morte al reo, in mancanza di un suo repentino pentimento (che tuttavia non necessariamente comportava la sospensione della pena sic et simpliciter). Il termine è stato spesso tradotto con la parola “scomunica” ma questo non necessariamente implica l’idea di esecuzione capitale, anche se è corretta l’idea di espellere dalla comunità dei credenti il colpevole di gravissima empietà. La pronuncia del takfir era resa dalla magistratura di nomina pubblica, previo ascolto dei dotti (ulamā), e precisamente dei Muftī, unici legittimati a esprimersi in materia religiosa su fattispecie astratte.

[4] Nota del Prof. Ehsan Movahedian – Fars News Agency, 13 novembre 2020
Nei giorni scorsi è stata diffuso la notizia della firma di un accordo di pace tra Azerbaijan e Armenia, il cui riesame mostra le conseguenze di sicurezza ed economiche di tale accordo per la Repubblica islamica dell’Iran.
Mentre l’Iran ha difeso la liberazione dei territori appartenenti alla Repubblica dell’Azerbaigian nel Caucaso assumendo posizioni costruttive e sottolineando la tutela della sicurezza e dei diritti della Repubblica di Armenia, quanto accaduto in pratica mostra la mancanza di interessi iraniani e la cooperazione di Turchia e Azerbaigian con il regime sionista e i terroristi Takfiri [3] per minacciare la sicurezza e gli interessi economici e politici della Repubblica islamica dell’Iran. Allo stesso tempo, la Russia ha svolto un ruolo economico e politico in questo conflitto con un suo gioco complesso e paziente.
Per comprendere meglio la sicurezza e la sfida economica che è sorta ai confini settentrionali dell’Iran, dobbiamo prima rivedere le disposizioni della dichiarazione di cessato il fuoco congiunta tra Russia, Azerbajgian e Armenia. Secondo il comunicato, le due regioni di Aghdam e le terre della Repubblica dell’Azerbaigian nel Corridoio di Nakhchivan, che era sotto il controllo della Repubblica di Armenia, sono state cedute all’Azerbaigian e l’Armenia ha cederà le Regioni di Kalbajar e di Lachin alla Repubblica dell’Azerbaijan nelle prossime settimane. La sicurezza di questo importante corridoio di comunicazione è fornita dalla Repubblica dell’Azerbaigian. Inoltre, verranno creati nuovi linee di trasporto per collegare la Repubblica Autonoma di Nakhchivan alle regioni occidentali della Repubblica dell’Azerbaigian. Le forze russe avranno anche il pieno controllo e controllo su tutte queste aree.
Le cattive intenzioni della Turchia e le sue conseguenze
Una rapida occhiata alla mappa della regione mostra che i nuovi sviluppi non avranno significato se non per la quasi completa perdita del confine iraniano con la Repubblica di Armenia. In queste nuove circostanze, l’Iran è diventato quasi completamente un vicino della Repubblica dell’Azerbaigian ai suoi confini settentrionali. Le azioni dei governanti della Repubblica dell’Azerbaigian, che, con l’aiuto della Turchia, hanno aperto le porte al regime sionista e ai terroristi Takfiri con sede in Siria verso i confini settentrionali dell’Iran, sono state abbastanza preoccupanti da provocare una risposta militare dall’Iran. Con il trasferimento del controllo delle aree di confine che erano controllate dagli Armeni alla Repubblica dell’Azerbaigian, l’Iran deve affrontare la minaccia di infiltrazione e spionaggio da parte del regime sionista, dei terroristi Takfiri e della malizia dei pan-turchi sostenuti da Erdogaň, praticamente in tutte le parti del suo confine nord-occidentale, il male e l’interferenza che hanno portato a disordini in alcune città azere in Iran.
Ma oltre alle pericolose conseguenze sulla sicurezza, questo sviluppo ha anche importanti conseguenze economiche che potrebbero privare l’Iran di miliardi di dollari di potenziali entrate. Da un lato, con il controllo quasi completo dei confini nord-occidentali dell’Iran da parte dell’Azerbaigian e del suo vicino la Turchia, Ankara non ha più bisogno di una rotta di transito iraniana per raggiungere l’Azerbaigian. Ibrahim Karagul, giornalista estremista turco, ha scritto una nota sul quotidiano Yeni afak tre settimane fa, affermando che con l’attuale corso della guerra del Nagorno-Karabakh, l’Iran non ha più un confine con il Nagorno-Karabakh e il confine tra Iran e Armenia non dovrebbe rimanere. Questo collegamento deve essere tagliato e la strada per l’Asia centrale deve essere aperta.
Questo atto malvagio della Turchia completa il tradimento di Reza Khan nel consegnare alla Turchia una parte strategica dell’Iran in Ararat all’inizio del presente secolo. La regione di Qarasu, ceduta alla Turchia dal tradimento di Reza Khan Mirpanj nel 1302, comprende diversi punti strategici con il controllo completo sulle regioni nord-occidentali dell’Iran. Con il trasferimento di nuove terre all’Azerbaigian, la Turchia ha accesso diretto all’Asia centrale e al Caucaso. Il progetto dell’oleodotto Baku-Ceyhan doveva essere implementato più facilmente e Russia e Turchia avrebbero potuto facilmente escludere l’Iran dalle future equazioni di trasferimento di energia in Europa e intascare i miliardi di dollari di entrate di cui l’Iran avrebbe potuto beneficiare.
Il danno economico dell’Iran derivante da questo sinistro sviluppo va oltre. Con questa pericolosa manipolazione geografica, l’Iran ha ormai in gran parte perso il suo contatto diretto e l’accesso all’Armenia. L’Armenia è un importante partner economico dell’Iran e, oltre all’accordo sulla fornitura di elettricità e gas, ha beneficiato della presenza dell’Iran in progetti di costruzione di strade in diverse parti del Paese. L’Armenia è la parte più vitale del piano del corridoio Nord-Sud per collegare il Golfo Persico al Mar Nero e ai paesi del Caucaso e dell’Asia centrale, e se si realizza il sinistro sogno della Turchia di perdere l’accesso dell’Iran all’Armenia, la Repubblica islamica dell’Iran avrà perso la sua forza e il suo vantaggio geopolitico anche in questo senso. Il collegamento Nakhchivan-Karabakh-Azerbajgian porta alla distruzione del confine terrestre tra Iran e Armenia, e quindi il pieno controllo del commercio iraniano nel Caucaso ricade su Turchia e Russia. L’Armenia è una via di transito alternativa per l’Iran, in modo che la Repubblica islamica non dipenda esclusivamente dalla Turchia per lo scambio e il trasferimento di merci in Europa. Ma ora la Turchia può imporre i suoi interessi all’Iran, portando avanti i suoi pericolosi piani e distruggendo l’accesso dell’Iran all’Armenia.”

[5] Per usare è un neologismo, derivante dalla parola araba “dhimmi”, usato per definire l’attitudine dei non islamici a sottomettersi ai musulmani, che definisce lo status giuridico riconosciuto ai non-musulmani che vivono in un sistema politico governato dal diritto musulmano.

[6] “Karabakh” è una parola di origine turca e persiana, che significa “giardino nero”. “Nagorno” è una parola russa che significa “montagna”. Quindi, “Nagorno-Karabakh” significa “Montagna del Giardino Nero”. La popolazione di origine armena preferisce invece chiamare la regione “Artsakh”, il nome antico armeno.

Fonti: Southfront.org, Chroniquesdugrandjeu.com, Farsnews.ir.

Foto di copertina: la visita del Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev e consorte-Vice Presidente al ponte Khodaafarin, al confine tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Repubblica di Artsakh.

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