L’Anticasta ha aperto il parlamento come una scatola di tonno: il tonno è sparito, è rimasto il residuo gelatinoso e al potere c’è la Feccia con i traffichini, al posto della Casta con i faccendieri

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Condividiamo l’analisi lucido di Marcello Veneziani [*] su come siamo arrivati ad essere governati oggi da un #brancodibalordi straccioni: «La feccia è emersa soprattutto sul terreno della politica travestita di populismo: quando vanno al potere gruppi e individui senza alcuna qualifica o formazione, alcun curriculum, alcuna storia e provenienza politica; quando il loro pregio è solo la verginità di esperienze e mestieri, immunità alla cultura, assenza di carriera politica e ruoli significativi nella società; quando uno vale uno, a tutti lo stesso reddito, nomine a sorteggio e Vaffa generale, si può dire che la feccia vada al potere. La feccia riguarda gran parte dell’attuale classe di governo, inclusi i loro nominati, e alcuni settori dell’opposizione. Non a caso il blocco sociale di riferimento della feccia non è costituito da ceti produttivi, lavoratori o professionisti, operai o commercianti, dipendenti, salariati o partite Iva; ma disoccupati e spostati, il popolo del reddito di cittadinanza. O quelli che furono definiti “scappati di casa”. Dovevano aprire il parlamento come una scatola di tonno: il tonno è sparito, è rimasto il residuo gelatinoso».

Dopo la Casta venne la Feccia
di Marcello Veneziani
Marcelloveneziani.com, 15 novembre 2020

Siamo passati dalla Casta alla Feccia; stavamo messi male, siamo finiti peggio. Tredici anni fa due giornalisti del Corriere della sera, Gianantonio Stella e Sergio Rizzo, pubblicavano la Casta, un libro che ebbe largo successo di pubblico e forte incidenza politica. Dove portò quel documentato atto di accusa contro la Casta? All’antipolitica, al populismo, a Beppe Grillo, alla Casaleggio & Associati e al Movimento 5Stelle. La denuncia del male propiziò l’avvento del peggio. Chi veicolò quel messaggio anticasta, usando quel libro, pensava a un passaggio di mano dai politici ai tecnici, tramite l’Europa, i magistrati e i protettorati economico-finanziari. Quel messaggio destabilizzante fu sposato dall’establishment per delegittimare la politica e uscire dall’era berlusconiana con un passaggio di mano. Ma il malumore popolare verso la classe politica era di vecchia data e “l’utilizzatore finale” di quella campagna contro la Casta fu il movimento grillino che poi andò al potere.
Certo, tra la Casta – che indicava più la prassi della Prima repubblica poi ripresa della Seconda – e l’Anticasta del grillismo c’è stato di mezzo il berlusconismo, che fu populismo antipolitico in versione soft (“mi consenta”); ci fu l’alternanza, lo sdoganamento della destra in funzione bipolare e la riduzione della sinistra comunista all’Ulivo di Prodi e al partito democratico. Però dopo la parabola berlusconiana, dopo la disastrosa parentesi dei tecnici e la veloce eclissi renziana, siamo arrivati a La Feccia, che potrebbe essere il titolo di una saga sull’era presente della politica, aggravata dal covid.
Cos’è la feccia? È il residuo melmoso che si deposita sui fondi del vino, le sostanze più grevi residue in barile. Nel gergo corrente e figurato indica la parte peggiore della società o di un mondo. Le fasce meno produttive della società, i meno preparati e meno competenti, i detriti di una società, i rimasugli di una categoria.
La feccia è emersa soprattutto sul terreno della politica travestita di populismo: quando vanno al potere gruppi e individui senza alcuna qualifica o formazione, alcun curriculum, alcuna storia e provenienza politica; quando il loro pregio è solo la verginità di esperienze e mestieri, immunità alla cultura, assenza di carriera politica e ruoli significativi nella società; quando uno vale uno, a tutti lo stesso reddito, nomine a sorteggio e Vaffa generale, si può dire che la feccia vada al potere. La feccia riguarda gran parte dell’attuale classe di governo, inclusi i loro nominati, e alcuni settori dell’opposizione. Non a caso il blocco sociale di riferimento della feccia non è costituito da ceti produttivi, lavoratori o professionisti, operai o commercianti, dipendenti, salariati o partite Iva; ma disoccupati e spostati, il popolo del reddito di cittadinanza. O quelli che furono definiti “scappati di casa”. Dovevano aprire il parlamento come una scatola di tonno: il tonno è sparito, è rimasto il residuo gelatinoso.
Ma la feccia riguarda anche altri ambiti e denota il degrado delle classi dirigenti: per esempio quel fondo melmoso, tra partigianeria, carrierismo e affarismo che ha portato alla luce nella magistratura il caso Palamara. Lotte di potere, sentenze pilotate, campagne orchestrate, cordate di clan. Quel mondo oscuro delle toghe è il rimasuglio di quel che era la magistratura ai tempi della civiltà giuridica. Ora sentenze politiche, indagini a orologeria, obbiettivi mirati, pressioni di tipo camorristico.
O altro esempio di feccia, quel sottobosco universitario fondato sugli stessi criteri emersi nella magistratura, in cui si fa carriera, si pubblica, si trovano padrinati per logiche, cartelli di appartenenza, affiliazioni di clan in cui il merito, la capacità, gli studi non contano nulla o contano poco; da quel mondo deriva l’attuale presidente del consiglio, non certo dalla tradizione prestigiosa dei giuristi prestati alla politica, come furono i Vassalli e i Giugni, i Rodotà e i Cassese, i Conso e i Bonifacio, solo per citarne alcuni, senza risalire ai padri costituenti. Ora, al tempo della feccia, abbiamo Conte…
O ancora, il potere mafioso delle organizzazioni culturali e dei gruppi che controllano e determinano i successi e gli insuccessi editoriali, al cinema, in tv. La feccia è pure in quel mondo di sotto che affianca l’odierna politica, ed è cresciuto a sua immagine e somiglianza, per esempio nell’informazione pubblica, e che ne è la prosecuzione nella società civile; o quel mondo in cui si fa carriera per meriti sessuali e omosessuali (le lobbies omosessuali in politica, nelle istituzioni e nell’informazione pubblica sono un’altra rappresentazione della feccia). Se la casta era circondata da faccendieri, la feccia è attorniata da traffichini, versione pezzente dei faccendieri.
La feccia è pure quel che resta della politica di un tempo, dopo la rottamazione, le scissioni e i ricambi peggiorativi; la feccia è il rimasuglio politico di epoche diverse; se togli alla politica le sue motivazioni alte, le sue giustificazioni più significative, la battaglia contro le ingiustizie sociali ed economiche, se la politica diventa solo gestione e conservazione con ogni mezzo e a prezzo di ogni dignità del potere acquisito, allora anche i residui della politica passata, a partire dalla sinistra di potere, sono la melma rimasta dopo che è finita la stagione delle passioni civili.
Il tempo della feccia non ha ideologi o intellettuali ma influencer e animatori, non ha esperti e ricercatori ma star e figurini da talk show, non ha eroi, al più vittime, non ha artisti o scrittori che giganteggiano ma palloni gonfiati e posatori. È tempo che qualcuno scriva il seguito a La Casta, o meglio il suo contrappunto. La Feccia.

[*] Marcello Veneziani (Bisceglie, 17 febbraio 1955), laureato in filosofia all’Università di Bari, inizia la carriera di giornalista nel 1977 collaborando al periodico Voce del Sud di Lecce. Nel 1979, entra nella redazione barese del quotidiano Il Tempo. È giornalista professionista dal 1982, dopo il praticantato ad Il Giornale d’Italia, il quotidiano romano diretto dal deputato democristiano Luigi D’Amato. Nel 1981, all’età di 26 anni, assume la direzione del gruppo editoriale Ciarrapico-Volpe-La Fenice, incarico che mantiene fino al 1987. Ritenuto uno tra gli intellettuali di spicco della destra italiana, Veneziani ha significativamente tentato di rivalutare, in diverse pubblicazioni, l’operato del pensatore tradizionalista Julius Evola. In diverse sue pubblicazioni Veneziani ha sviluppato una dura critica alla globalizzazione, incentrata in particolare sul profilo culturale: Veneziani sostiene la tradizione patriottica e cristiana dell’Europa contro la filosofia del mondialismo e quella che ha più volte definito “retorica dei diritti umani”. Scrive a lungo sul Giornale, collabora con Il Messaggero, La Repubblica, La Stampa, il Secolo d’Italia, L’Espresso, Panorama, Il Mattino, La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Giorno e La Gazzetta del Mezzogiorno. Redattore del Giornale Radio Rai di mezzanotte, prende parte a vari programmi televisivi e da vent’anni collabora come commentatore della Rai. Nel 1981 fonda a Roma Omnibus, mensile edito da Giovanni Volpe, che organizza il dibattito “La tolleranza nella cultura”; però la rivista naufraga dopo il primo numero. Dal 1985 al 1987 dirige il bimestrale Intervento. Nel 1988 fonda il mensile di cultura Pagine libere, che dirige fino al 1992. Successivamente fonda e dirige settimanali come L’Italia settimanale (1992-1995), periodo in cui parallelamente dà vita alla Fondazione Italia e Lo Stato (1997-1999), che poi si fonde con Il Borghese, del quale diventa Direttore editoriale insieme a Vittorio Feltri. Il sodalizio con Feltri, iniziato con L’Indipendente e nel 1994[Chiarire o correggere: inizia con Il Giornale, prosegue nel 2004 con Libero e dall’agosto 2009 di nuovo con Il Giornale fino a febbraio 2015. È stato membro del Consiglio di amministrazione della Rai durante la XIV legislatura e membro del Consiglio di amministrazione di Cinecittà. Dal 2016 al 2018 è stato editorialista del quotidiano romano Il Tempo. Attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama (Wikipedia).

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