Domani sul canale YouTube “Ritorno a Itaca” si parla del Rapporto McCarrick. Un manufatto alla carlona

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Non vi è dubbio che lo scandalo dell’ex Cardinale Theodore McCarrick ha tenuto banco su tutti i media per molto tempo e ancora è destinato a far discutere [La Santa Sede diffonde il Rapporto McCarrick. National Review: “Insabbiamento con un meschino racconto burocratico”. Arcivescovo Viganò: “Mistificazioni e falsità. La fiction continua” – 11 novembre 2020]. La Santa Sede ha reso pubblico il “Rapporto McCarrick” promesso più di due anni fa, mettendo in luce la propria versione dei fatti, con responsabilità che apparentemente vanno indietro nel tempo. Da più osservatori viene evidenziato come questo Rapporto è fatto alla carlona.

Anche se non sembra, lo è, con quella furbizia grossolana, marchio della sciatteria imperante, che nasconde male una radicata cattiveria fisiologica. La maniera raffazzonata (mettere insieme qualcosa in fretta, alla meglio) con cui è stata composta rende alquanto sospetto il tanto tempo trascorso tra il momento in cui il Segretario di Stato ha annunziato che era pronto e il momento della pubblicazione.

Si tratta di un Rapporto che viene usato vergognosamente in modo strumentalizzato, per deviare l’attenzione dal Papa regnante e dagli altolocati collaboratori (che ne hanno tutto l’interesse) suoi e dei suoi due diretti predecessori e di spostare la colpa – di promozioni e omissioni nel riguardo dell’abusatore omosessuale seriale – sui due Papi precedenti.

Viene in questo modo anche lanciata una sfida alle tesi espresse dall’Arcivescovo Carlo Maria Viganò – menzionato più di 300 volte nel Rapporto, per di più mettendolo in cattiva luce e quindi sarebbe stato più onesto averlo chiamato “Rapporto Viganò” [La Santa Sede non convocò Arcivescovo Viganò a testimoniare per il Rapporto McCarrick – definito “una farsa grottesca” – nonostante viene menzionato più di 300 volte – 13 novembre 2020].

Le tesi di Mons. Viganò sono state raccolte e documentate a cura di Aldo Maria Valli nel volume “Nell’ora della prova”, non a caso ai primi posti della classifica Amazon nell’ultima settimana. Parleranno di questo, domani mercoledì 18 novembre alle ore 21.00, i giornalisti Aldo Maria Valli e Giuseppe Rusconi, e lo storico Massimo Viglione. Modera Aurelio Porfiri, editore del volume. Il programma può essere seguito live sul canale You Tube RITORNO A ITACA.

Perché si dice “fare le cose alla carlona”?

Ecco, la risposta con la parola del giorno per oggi, l’aggettivo femminile “carlona”. Si tratta di un adattamento italiano dal francese antico “Charlon”, caso obliquo di “Charle” (Charles, Carlo), con riferimento a Charlemagne (Carlomagno). La parola è appare solo nella locuzione avverbiale “alla carlona”, che si usa soprattutto nell’area lombarda, sia nel linguaggio parlato che in quello scritto. “Fare qualcosa alla carlona” è un detto proverbiale per indicare lavori o simili che andrebbero curati di più, in riferimento a cose che vengono fatte con poca cura o diligenza, con trascuratezza, in modo rozzo, superficiale, sbrigativo, in fretta e male, come viene viene, alla buona, in modo grossolano ed espressioni simili: vestire, scrivere, parlare, costruire alla carlona (la cosa è fatta alla carlona, è stato organizzato alla carlona, è un lavoro tirato giù alla carlona).

“Se vossignoria vuol prendersi il divertimento di sentir questa povera gente ragionar su alla carlona, potrà fargli raccontar la storia a lui, e sentirà” (Manzoni, Promessi Sposi).

Parole di questo tipo custodiscono la squisita sorpresa dell’oggetto prezioso trovato al meratino delle pulci. Sotto l’immediatezza di un uso colloquiale e di una sonorità espressiva, protette nel bozzolo di una locuzione cristallizzata, parole come questa testimoniano una continuità culturale ultramillenaria.

Qui non ci dobbiamo domandare chi sia la giunonica signora in questione, la Carlona. La carlona che troviamo nell’espressione “alla carlona” ed è infatti “la maniera di Carlone”, un modo di dire che risale ai tempi del Sacro Romano Impero, quando a regnare era il grande Imperatore Carlo Magno (742-814), soprannominato “Carlone”.

Ma perché “carlona”? Non siamo alla presenza di un accrescitivo. Solo, la grammatica dell’antico francese conservava le declinazioni — in una veste più semplice rispetto a quelle latine, con soli due casi. Nel caso retto (con le funzioni di nominativo, accusativo e vocativo) il nome del re era Charle, in quello obliquo (con tutte le altre funzioni logiche) Charlon. Ed è la sua eco che ci è qui giunta.

Julius Schnorr von Carolsfeld, Carlomagno tra i paladini dal ciclo di affreschi con scene dell’Orlando furioso), 1820-26, volta stanza dell’Ariosto, Casino Giustiniani Massimo al Laterano.

La vera domanda è: perché il signore che ha conquistato l’ambito onore del rinnovato Impero romano dovrebbe ispirare il significato di una maniera raffazzonata, superficiale, senza cura? Non è un po’ irriverente, pur dopo dodici secoli? Ebbene lo è, e guai a chi parla in questi termini dell’Imperatore che teneva poco alle apparenze.

Come accade tutti gli uomini di potere, anche intorno alla figura di Carlomagno nacque una tradizione parodistica, da cui è nata la celebre espressione “fare le cose alla carlona”.

Alcuni poemi cavallereschi di epoca tarda descrivono Carlomagno come uomo bonario e semplice, con modo di fare goffo, un po’ rozzo e grossolano, che amava indossare abiti non pregiati ma caratterizzati da stoffa rozza. Inoltre, alcune rappresentazioni del teatro rinascimentale lo dipingono come un personaggio pasticcione, imbranato, malaccorto e incostante nelle sue azioni. Si racconta che anche quando Carlomagno doveva essere ritratto, indossava sempre vestiti inadatti al suo rango, usando uno stile non consono ad un imperatore, ma uno stile più vicino a quello di un plebeo. Da qui, nasce l’espressione “fare le cose alla carlona” per indicare un atteggiamento negligente e malaccorto.

Nel “Morgante“, un poema cavalleresco del Quattrocento, Luigi Pulci attinge al ciclo carolingio, ma lo fa con un ribaltamento giocoso. I paladini franchi vengono profondamente trasformati e si comportano spesso da bricconi e furfanti. Primo fra tutti, il re Carlomagno, descritto come una sorta di vecchio rimbambito.

Di Carlo non m’incresce rimbambito,
Che sempre ogni segreto ti ragiona,
E non s’accorge d’essere schernito,
Mentre che sente in capo la corona;
E non si crede al cacio rimanere,
Se non sente la trappola cadere

La leggenda narra che l’Imperatore Carlomagno, ad una battuta di caccia, si presentò tra lo stupore generale dei partecipanti, che indossavano per l’occasione abiti da caccia e sfarzosi, con un abito dimesso, fatto di ruvida stoffa indossata solitamente dai contadini. L’Imperatore, accortosi dello stupore dei presenti, disse a quel punto che il suo abbigliamento un po’ rozzo non era casuale, serviva alla bisogna. Difatti di lì a poco, si scatenò un violento temporale e Carlomagno fu l’unico a passare indenne alla tempesta. Gli eleganti cacciatori si inzupparono tutti i loro abiti preziosi che furono ridotti in pessimo stato. A questo punto, l’Imperatore fece notare ai partecipanti alla battuta di caccia, di essere totalmente asciutto grazie ai suoi abiti umili e di stoffa grezza. Da quel giorno in poi, si cominciò ad usare il modo di dire “essere vestiti alla carlona”.

Fonte: Unaparolalgiorno.it, Treccani.it.

Foto di copertina: Albrecht Dürer, Carlomagno con insegne reali e la corona imperiale, 1514, Deutsches Historisches Museum, Berlin.

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