Mons. D’Ercole in Maghreb per pregare per le vittime della ‘cultura dello scarto’

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Sabato scorso mons. Giovanni D’Ercole è stato ricevuto da papa Francesco, ringraziandolo per il colloquio e la grande stima dimostrata in questo periodo, donandogli anche 300 rosari per i malati della diocesi, come ha scritto su twitter:

“Con l’incontro di questa mattina alle 11 con il Papa ho compreso ancor meglio questo passaggio imprevisto ma provvidenziale della mia vita. Da lunedì 16 novembre comincio la vita in monastero con i trappisti a Midelt su una delle montagne del Marocco e il mio compito sarà pregare e pregare per il Papa, per la Chiesa e per voi tutti che in questi giorni avete condiviso l’emozione e la fatica di questa libera ma sofferta decisione. Non so quanto durerà questo tempo ma lo vivrò intensamente.

L’abbraccio con il Papa e la sua benedizione sono il segno di speranza non solo per noi ma anche per chiunque abbisogna di un aiuto divino per affrontare le difficoltà del momento. L’aereo sta decollando e sento in me pace ma anche tristezza per il distacco.

Avverto chiaro che Dio ci conduce tutti in questo tempo di pandemia sanitaria umana e spirituale verso una luce che squarcia le nuvole della paura e dell’incertezza. Siamo tutti insieme anche se non sempre riusciamo a capirci e a volerci bene. La fatica è di tutti e dal deserto del monastero spero di poter fare quello che non riuscivo a compiere come vescovo di Ascoli Piceno”.

Quindi mons. D’Ercole è partito per il Marocco dove vivrà per un periodo nel monastero di Notre Dame de Atlas nel Maghreb, , del quale fa parte anche p. Jean Pierre Schumacher, di 94 anni, ultimo sopravvissuto e testimone del massacro di Tibhrine, in Algeria, del 1996, a seguito del quale il convento trappista è risorto dall’altra parte del confine, in Marocco.

Nella lettera ai fedeli ad ottobre mons. D’Ercole aveva spiegato la decisione presa: “Davanti a situazioni impreviste e cariche di fatiche e sconfitte umane, pur impegnando ogni sforzo, ho sentito che questo non basta. E’ necessario un aiuto supplementare di coraggio e di speranza che non viene da noi.

Mi è diventato sempre più chiaro il bisogno di fare qualcosa di più impegnativo per tutti coloro che sono vittime della ‘cultura dello scarto’, ogni tipo di scarto sociale e spirituale. In tempi drammatici come quelli che stiamo vivendo, è indispensabile seminare e testimoniare la ‘speranza affidabile’ di cui papa Benedetto XVI parla nell’enciclica Spe Salvi”.

Nella lettera ha ringraziato i fedeli della diocesi di Ascoli Piceno: “Tutti metto nelle mani del Signore perché vi ricompensi con il centuplo per il bene che mi avete donato in questi anni aiutandomi ad annunciare unicamente Gesù Cristo Crocifisso e Risorto in mezzo a voi”.

Eppoi ha precisato che la sua azione pastorale è stata guidata dall’espressione di papa Francesco: “Nel mio ministero, mi sono fatto guidare e ispirare dall’invito di Papa Francesco di fare della Chiesa ‘un ospedale da campo’ , di essere un vescovo con il cuore ferito dalla misericordia del buon Samaritano e dunque instancabile nell’umile compito di accompagnare l’uomo che ‘per caso’ Dio ha messo sulla mia strada , accogliendo, di fatto, ogni persona e curando con amore specialmente quelle più bisognose, nel pieno rispetto di tutti”.

Facendo proprio l’appello di san Pietro nella sua prima lettera mons. D’Ercole ha ribadito la necessità di essere sentinella: “Così, mi sono reso conto che, probabilmente, occorre qualcosa di più e di diverso! Davanti a situazioni impreviste e cariche di fatiche e sconfitte umane, pur impegnando ogni sforzo, ha sentito che questo non basta.

E’ necessario un aiuto supplementare di coraggio e di speranza che non viene da noi. E così in me è parso sempre più chiaro il bisogno di fare qualcosa per coloro che sono vittime della ‘cultura dello scarto’, ogni tipo di scarto sociale e spirituale”.

Per il vescovo è necessario testimoniare la speranza: “La povertà più struggente dell’epoca attuale non è quella materiale, ma la perdita della speranza dovuta all’assenza di Dio e per questo è importante offrire a tutti luoghi di accoglienza e di ascolto, ‘centri di rianimazione’ dello spirito e di ‘riabilitazione alla speranza’, per aiutare a incontrare l’unico vero medico delle anime che è Gesù Cristo, il Risorto!”

La lettera si conclude con un impegno verso la comunità, secondo lo spirito orionino: “Credo che in questo momento il soccorso debba venire proprio da Dio, implorato con intensa preghiera. Non abbandono quindi la vigna del Signore nella quale continuerò a operare con più interiore partecipazione, offrendo il mio sostegno alle nostre comunità in maniera più profonda e spirituale.

Nello spirito del santo fondatore, Luigi Orione, proseguirò poi, secondo quanto il Signore mi suggerirà, a dare la vita per il bene delle anime e nell’accoglienza di tutti, in particolare dei giovani e dei poveri, al servizio di Cristo e della Chiesa, a sostegno sempre dell’azione profetica del Papa e in piena comunione con lui”.

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