Papa Francesco: il servo rischia

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Durante l’Angelus di questa domenica papa Francesco ha invitato a prendersi cura dei poveri, rispondendo alle critiche di chi dice che i preti devono parlare di vita eterna e non di poveri, nel ricordo di don Malgesini:

“Guarda, fratello e sorella, i poveri sono al centro del Vangelo; è Gesù che ci ha insegnato a parlare ai poveri, è Gesù che è venuto per i poveri. Tendi la tua mano al povero. Hai ricevuto tante cose, e tu lasci che tuo fratello, tua sorella muoia di fame? Cari fratelli e sorelle, ognuno dica nel suo cuore questo che Gesù ci dice oggi, ripeta nel suo cuore: Tendi la tua mano al povero. E ci dice un’altra cosa, Gesù: Sai, il povero sono io”.

Nel commentare il Vangelo odierno papa Francesco ha ribadito che Gesù dona a ciascuno i talenti secondo la propria capacità: “Durante l’assenza del padrone, i primi due servi si danno molto da fare, sino al punto di raddoppiare la somma loro affidata.

Non così il terzo servo, il quale nasconde il talento in una buca: per evitare rischi, lo lascia lì, al riparo dai ladri, ma senza farlo fruttare… Questa è un’abitudine che anche noi abbiamo: ci difendiamo, tante volte, accusando gli altri. Ma loro non hanno colpa: la colpa è nostra, il difetto è nostro. E questo servo accusa gli altri, accusa il padrone per giustificarsi. Anche noi, tante volte, facciamo lo stesso”.

Poco prima, durante l’omelia della celebrazione eucaristica, papa Francesco ha sottolineato che Dio si fida dell’uomo: “Ma Dio ce li ha affidati perché conosce ognuno di noi e sa di cosa siamo capaci; si fida di noi, nonostante le nostre fragilità.

Si fida anche di quel servo che nasconderà il talento: Dio spera che, malgrado le sue paure, anche lui utilizzi bene quanto ha ricevuto. Insomma, il Signore ci chiede di impegnare il tempo presente senza nostalgie per il passato, ma nell’attesa operosa del suo ritorno”.

Al centro dell’omelia il papa mette il servizio, ponendo alcune domande ai fedeli: “Il servizio è anche la nostra opera, quello che fa fruttare i talenti e dà senso alla vita: non serve infatti per vivere chi non vive per servire. Dobbiamo ripetere questo, ripeterlo tanto: non serve per vivere chi non vive per servire. Dobbiamo meditare questo: non serve per vivere chi non vive per servire. Ma qual è lo stile del servizio?”

A questa domanda papa Francesco ha risposto che secondo la parabola occorre ‘rischiare’: “Nel Vangelo i servi bravi sono quelli che rischiano. Non sono cauti e guardinghi, non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano. Perché il bene, se non si investe, si perde; perché la grandezza della nostra vita non dipende da quanto mettiamo da parte, ma da quanto frutto portiamo.

Quanta gente passa la vita solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere noi doni per gli altri”.

Chi serve è chiamato anche a rischiare: “E’ triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole e al rispetto dei comandamenti. Quei cristiani ‘misurati’ che mai fanno un passo fuori dalle regole, mai, perché hanno paura del rischio.

E questi, permettetemi l’immagine, questi che si prendono cura così di sé stessi da non rischiare mai, questi incominciano nella vita un processo di mummificazione dell’anima, e finiscono mummie. Questo non basta, non basta osservare le regole; la fedeltà a Gesù non è solo non commettere errori, è negativo, questo”.

Terminando l’omelia il papa ha precisato che tutta la realtà troverà compimento, secondo le parole di san Giovanni Crisostomo: “Alla fine della vita, insomma, sarà svelata la realtà: tramonterà la finzione del mondo, secondo cui il successo, il potere e il denaro danno senso all’esistenza, mentre l’amore, quello che abbiamo donato, emergerà come la vera ricchezza. Quelle cose cadranno, invece l’amore emergerà”.

Ed ha ricordato  don Roberto Malgesini: “Questo prete non faceva teorie; semplicemente, vedeva Gesù nel povero e il senso della vita nel servire. Asciugava lacrime con mitezza, in nome di Dio che consola. L’inizio della sua giornata era la preghiera, per accogliere il dono di Dio; il centro della giornata la carità, per far fruttare l’amore ricevuto; il finale, una limpida testimonianza del Vangelo.

Quest’uomo aveva compreso che doveva tendere la sua mano ai tanti poveri che quotidianamente incontrava, perché in ognuno di loro vedeva Gesù. Fratelli e sorelle, chiediamo la grazia di non essere cristiani a parole, ma nei fatti. Per portare frutto, come desidera Gesù”.

(Foto: Santa Sede)

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