Una catastrofe per gli armeni cristiani e loro patrimonio dopo il passaggio di parte dell’Artsakh sotto controllo azero-turco islamico, dopo sei settimane di aggressione

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In un lungo articolo ieri sera [L’Angelo di Ghazanchetsots distrutto dagli Azeri e il monastero di Dadivank abbandonato nelle loro mani. Con il cessate il fuoco gli Armeni cristiani dell’Artsakh non sono fuori pericolo] abbiamo riferito della situazione drammatica nelle zone della Repubblica dell’Artsakh passato sotto controllo azero-turco con le armi (come Shushi) o che passeranno con il cessato il fuoco (come il monastero di Dadivank, costruito tra il IX e il XIII secolo, nella Regione di Karvachar, zona che passa sotto controllo azero-turco, insieme alle Regioni di Aghdam e di Lachin secondo le clausole dell’accordo).

Gli azeri-turchi vogliono cancellare ogni traccia della presenza storica, religiosa e culturale armena cristiana nell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), come un secolo fa, nel 1920, quando massacrarono 20.000 armeni. La storia si ripete. Oggi riportiamo alcune foto condivise da Giulio Meotti sul suo account Twitter.

“A Strasburgo Erdogan costruisce la più grande moschea d’Europa. Santa Sofia l’ha appena riconvertita in moschea. Ora il turco si prende anche un pezzo di Armenia, terra di Bartolomeo, Taddeo e di capolavori cristiani. E qui non fiata nessuno. Siamo in piena pandemia di valori” (Giulio Meotti).

Tutto questo mentre le istituzioni dell’Unione europea proibiscono ogni riferimento alla matrice islamica del terrorismo che ci colpisce.

Soldati azeri distruggono le khachkar (tradizionali croci di pietra ornate armene) e le campane armene nelle zone dell’Artsakh appena conquistate. VIDEO.

Nell’Artsakh e in Armenia cresce la preoccupazione per il patrimonio storico, religioso e culturale del Nagorno-Karabakh (Repubblica di Artsakh), dopo un accordo di cessate il fuoco che sancisce la vittoria dell’Azerbaigian (e Turchia) e che ha ceduto 20% del territorio. “Al momento siamo incerti sul destino del patrimonio culturale dell’Artsakh”, ha detto Nariné Toukhinian all’AFP. “Nulla è detto su questo nell’accordo di cessate il fuoco. Ma sappiamo benissimo che abbiamo a che fare con chi odia tutto ciò che è armeno”, ha sottolineato il Viceministro armeno dell’Istruzione, della scienza e della cultura. Siamo estremamente preoccupati perché abbiamo già assistito alla profanazione e alla distruzione delle khachkar (tradizionali croci di pietra ornate armene) da parte degli azeri. Per proteggere i nostri monumenti storici e culturali, dobbiamo viverci”. “I preti armeni rimarranno dove rimarrà la popolazione armena. Ma è improbabile che i nostri sacerdoti possano rimanere nei territori ceduti all’Azerbaigian”, ha aggiunto.

Allāhᵘ akbar” [*]

“Allāhᵘ akbar” urlano i soldati azeri in cima e davanti ad una chiesa apostolica armena dopo la conquista di 20% del territorio dell’Artsakh. “Vergogna che qui nessuno fiati contro questa pulizia etnica e religiosa all’insegna della Mezzaluna turca” (Giulio Meotti). VIDEO.
“Terra bruciata… I cristiani armeni danno fuoco al Karabach prima di lasciarlo agli azeri e ai turchi. Fratelli tutti?” (Giulio Meotti). VIDEO.
“I cristiani armeni continuano a bruciare le proprie case nel Karabakh. Devono partire entro oggi. Dov’è la solidarietà della chiesa italiana con quella armena? Dove la copertura giornalistica? Dove la diplomazia? Dove i nostri intellettuali provvidi di firme per ogni minoranza?” (Giulio Meotti).
“L’anziana dice addio al villaggio, l’uomo bacia la casa, l’altrosalva i peluche dei figli prima di dare fuoco, il preside brucia la scuola, chi porta via le tombe… L’esodo armeno senza ritorno dal Karabakh. È la nostra sottomissione all’Islam che produce queste catastrofi” (Giulio Meotti).
“’Dissotterriamo i nostri morti, in modo che la storia non si ripeta e i cimiteri non siano distrutti dagli azeri come in passato. Ho appena portato alla luce la bara di mio figlio’. Nel Karabakh i turchi hanno progettato l’eliminazione dell’anima armena” (Giulio Meotti).
“Gli armeni bruciano le proprie case nel Nagorno Karabakh pur di non lasciarle nelle mani “turche”, come chiamano gli azeri. C’è chi trasla anche i morti dai cimiteri” (Giulio Meotti).

“Noi italiani dovremmo sentire particolarmente la tragedia armena del Karabach. Vediamo le stesse scene degli esuli istriani e giuliano dalmati 70 anni fa” (Giulio Meotti).

In un tweet pubblicato mercoledì, un funzionario azero ha affermato che il monastero di Dadivank, che lui indica con il nome azero di Khudavang, è “una delle migliori testimonianze dell’antica civiltà albanese-caucasica”. “Il complesso monastico di Khudavang è stato poi occupato dalle forze armate armene nel 1992 e vittima di alterazioni e falsificazioni per modificare le sue origini e il suo carattere, in violazione della Carta dell’Unesco del 1954”, ha assicurato Anar Karimov, Vice ministro e Ministro facente funzioni della Cultura a Baku.

Non è difficile prevedere cosa succederà a Dadivank e negli altri luoghi storiche della memoria armena cristiana nella Repubblica dell’Artsakh per mano azera-turca.

“Padre Hovhannés Hovhannisián ha fatto sapere che non abbandonerà il monastero di Dadivank agli Azeri. Rimarrà lì per custodire il patrimonio secolare, religioso e culturale della sua terra. Preghiamo per questo coraggioso pastore” (Don Salvatore Lazzara).

Il nostro cuore è negli altopiani di Shushi, la capitale culturale dell’Artsakh e nel monastero di Dadivank con Padre Ter Hovhannes.

Ter voghorm, Signore, abbi pietà con il tuo popolo di Armeni Cristiani e con l’Artsakh.

Perdonaci, Signore, per la totale indifferenza dell’Europa e degli Occidentali, di quello che una volta era la Cristianità, oggi invasa e sottomessa all’Islam.

++++ AGGIORNAMENTO +++

Seguono le parole testuali del Papa nel concludere la preghiera mariana oggi, che riportiamo tale quale, senza togliere (da aggiungere, però, c’è) alcunché.

Parla della calamità della distruzione del tifone in Filippine e esprime vicinanza alle popolazioni e solidarietà con le famiglie più poveri.

Pensa alle tensioni sociali e politiche in Costa d’Avorio, che hanno provocato numerosi vittime e prega per la concorda nazionale e esorta alla riconciliazione, ad una convivenza serena, alla fiducia reciproca, al dialogo a promuovere il bene comune.

Prega per i pazienti colpiti dal coronavirus morto in un incendio ospedaliero in Romania.

Chiede di far suonare nel cuore la voce della Chiesa a tendere la mano al povero.

Augura una buona domenica, di fare buon pranzo e di rivederci… e di pregare per lui.

Si rallegra, in particolare, per la presenza di un Coro di voci bianche dalla Germania.

Filippine, Costa d’Avorio, Romania, Germania… notizie dall’Artsakh (Nagorno-Karabakh) non pervenute.

Infatti, come lui stesse chiede e ripete sempre, non dimentichiamo di pregare per il Vicario di Cristo (anche se rifiuta platealmente quel titolo, lo è, almeno finché si considera un successore dell’Apostolo Pietro, primo Vescovo di Roma e primo Vicario di Cristo per nomina diretta).

Oremus pro Pontifice nostro Francisco
Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius.
Oremus.
Deus, omnium fidelium pastor et rector, famulum tuum Franciscum, quem pastorem Ecclesiae tuae praeesse voluisti, propitius respice: da ei, quaesumus, verbo et exemplo, quibus praeest, proficere: ut ad vitam, una cum grege sibi credito, perveniat sempiternam. Per Christum, Dominum nostrum. Amen.

Oggi preghiamo il particolare nostro Dio misericordioso, supplicandolo di avere pietà per suo Vicario e di farlo alzare la sua voce, la sua diplomazia, il suo sostegno morale, spirituale, orante e materiale in sostegno fativo dei nostri fratelli cristiani armeni apostolici perseguitati dagli azeri-turchi nell’Artsakh (Nagorno-Karabakh).

Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 591, 15 novembre 2020
Dopo l’Angelus
Cari fratelli e sorelle!
Sono vicino con la preghiera alle popolazioni delle Filippine, che soffrono a causa delle distruzioni e soprattutto delle inondazioni provocate da un forte tifone. Esprimo la mia solidarietà alle famiglie più povere ed esposte a queste calamità, e il mio sostegno a quanti si prodigano per soccorrerle. Il mio pensiero va poi alla Costa d’Avorio, che celebra oggi la Giornata nazionale della pace, in un contesto di tensioni sociali e politiche che, purtroppo, hanno provocato numerose vittime. Mi unisco alla preghiera per ottenere dal Signore il dono della concordia nazionale, ed esorto tutti i figli e le figlie di quel caro Paese a collaborare responsabilmente per la riconciliazione e una convivenza serena. Incoraggio, in particolare, i diversi attori politici a ristabilire un clima di fiducia reciproca e di dialogo, nella ricerca di soluzioni giuste che tutelino e promuovano il bene comune. Ieri, in una struttura ospedaliera in Romania, dove erano ricoverati vari pazienti colpiti dal coronavirus, è scoppiato un incendio che ha provocato alcune vittime. Esprimo la mia vicinanza e prego per loro. Preghiamo per loro. Saluto tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini provenienti da vari Paesi. Non dimenticatevi, oggi, che suoni nel nostro cuore quella voce della Chiesa: “Tendi la tua mano al povero. Perché, sai, il povero è Cristo”. Mi rallegro, in particolare, per la presenza del Coro di voci bianche di Hösel (Germania). Grazie per i vostri canti! A tutti auguro una buona domenica e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci

Ecco, Piazza San Pietro oggi, domenica 15 novembre 2020 all’Angelus Domini.

Però, gli Armeni c’erano in Piazza Piazza San Pietro, con la loro bandiera, rosso, blu e arancione, capovolta… un mondo all’incontrario.

Esistono molte interpretazioni sul significato dei colori della bandiera armena.
Secondo una spiegazone il rosso simboleggia il sangue versato dagli armeni nella difesa della propria nazione; il blu simboleggia il cielo; l’arancione la terra fertile dell’Armenia.
Un’alltra spiegazione è che il colore rosso simboleggia la continua lotta del popolo armeno per l’esistenza, il cristianesimo, l’indipendenza e la libertà; il colore blu rappresenta la volontà del popolo armeno a vivere in pace; il colore arancione simboleggia il potere creativo e l’impegno del popolo armeno.

Qui sopra è la bandiera della Repubblica dell’Artsakh, che riprende i colori della bandiera armena, con l’aggiunta di un disegno bianco dentato con nove gradini (quattro superiori, quattro inferiori e uno centrale di unione) che si sviluppa dall’angolo superiore destro, che raccorda l’ultimo terzo della bandiera e termina nell’angolo inferiore destro, che vuole, sia richiamare i tipici disegni dei tappeti locali, sia per rappresentare la separazione dall’Armenia, considerata come Stato madre.

[*] L’espressione araba “Allāhᵘ akbar” viene spesso e volentieri quasi esclusivamente associata all’estremismo islamico, perché viene pronunciata prima e durante degli attentati terroristici islamici. Quindi, che qualcuno abbia usato questa frase prima di un attentato viene considerato una garanzia del fatto che quell’attentato abbia motivazioni religiose. Cioè, è nata una sorta di automatismo: se sentiamo o sentiamo “Allāhᵘ akbar”, il primo pensiero che facciamo è rivolto di un attentato. Però, l’espressione che significa letteralmente “Dio è il più grande” non è esclusivamente legata al jihadismo e non è una specie di slogan esclusivo dei terroristi. Ha invece a che fare più generalmente con la religione ed è un’esclamazione di uso comune tra i musulmani.

“Allāhᵘ” è il nominativo di Allah, che vuol dire Dio. L’arabo classico segue le declinazioni come il latino: ci sono tre casi, nominativo, genitivo e accusativo. Il soggetto richiede la forma nominativa e la desinenza del nominativo viene indicata con il suono “u”.

“Akbar” non vuol dire semplicemente “grande”: è un’alterazione del grado positivo dell’aggettivo. “Akbar” è stato interpretato sia come un grado comparativo dell’aggettivo “grande” sia come un superlativo relativo: prevede cioè un termine di paragone, ma in entrambi casi le cose non tornano. Se si volesse dire “Allah è il più grande” sarebbe necessario, in arabo, l’articolo determinativo “al” prima di “akbar” che però non c’è. Dato che “al” non è presente sarebbe necessario esplicitare la comparazione: più grande, ma di che cosa? E questo qualche cosa dovrebbe seguire “akbar”.

L’interpretazione prevalente tra gli studiosi è dunque che l’intera frase sia ellittica. La traduzione risulta più problematica. “Dio è grande” potrebbe funzionare, ma non tiene conto del significato comparativo o superlativo che esprime la forma araba. Dire “Dio è più grande” lascerebbe in sospeso la domanda: “più grande di che cosa?”. Una buona soluzione, dunque, è dire “Dio è il più grande”.

L’espressione araba “Allāhᵘ akbar” – contenuta in un verso del Corano in cui si dice di magnificare Dio – è un “takbīr” (in arabo indica un’espressione generica della religione islamica, simile a quelle frasi ricorrenti presenti in altre religioni tipo “Dio Padre onnipotente” o “Lodate Dio”, cioè è un nome derivato che indica colui che compie un’azione, in questo preciso caso quella di essere il più grande) ed è una forma abbreviata della frase “Akbar min kulli shay” che vuol dire “Allah è più grande di ogni cosa”.

“Allah è il più grande”, per una religione monoteista come l’Islam, sta a significare che al di sopra di Dio non può esserci niente. Viene usata come invocazione per riconoscere i propri limiti di fronte a Dio, viene pronunciata dal muezzin per invitare alla preghiera, dai fedeli all’inizio delle preghiere, nelle cerimonie del pellegrinaggio, all’inizio dei riti religiosi. In generale viene usata dai musulmani in qualunque momento della loro vita per esprimere differenti sentimenti e anche come esclamazione per le situazioni più quotidiane.

Foto di copertina: l’Angelo Guardiano della pace della cattedrale del Santo Salvatore Ghazanchetsots di Shushi, distrutto nel bombardamento mirato degli azeri-turci dell’8 ottobre 2020. Un simbolo muto che parla alla nostra coscienza giudea-cristiana.

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