Maschio e femmina li creò

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“E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra»” (Genesi 1,26-28).

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Condivido di seguito la Lectio biblica su Genesi 1,26-28 “Maschio e femmina li creò” tenuta dal biblista Mons. Mario Russotto, Vescovo di Caltanissetta [*] a Nocera Umbra il 26 aprile 2014 al Convegno Nazionale della Pastorale Familiare della Conferenza Episcopale Italiana nell’ambito della XVI Settimana Nazionale di studi sulla spiritualità coniugale e familiare, primo anno del biennio dedicato allo studio del tema: “…maschio e femmina li creò” (cfr.Gen 1,27): le radici sponsali della persona umana”.

Il Convegno CEI intendeva offrire, con un respiro multidisciplinare, i fondamenti teologici e la sapienza dell’antropologia cristiana evidenziando la ricchezza della differenza sessuale e le radici sponsali della persona umana. Veniva sottolineato che il corpo umano porta il segno della differenza sessuale non solo nell’apparato riproduttivo, ma nell’integralità di ogni aspetto della persona, cioè in tutto il suo essere, e particolarmente nella relazione con le altre persone.

A questa connotazione antropologica si collega anche quella ecclesiologica. È proprio la Famiglia di famiglie, che costituisce la comunità cristiana, il luogo privilegiato di umanizzazione per crescere come maschi e come femmine.

La Chiesa Cattolica insegna ad essere madre e Dio insegna ad essere padre. La famiglia va quindi custodita per svolgere il suo rimato educativo e accompagnare la maturazione dei propri figli in una chiara identità sessuata. Come afferma il Santo Padre Francesco nella Lettera enciclica “Lumen fidei” del 29 giugno 2013 (N. 52): “Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita”.

In questa luce il Convegno CEI ha posto un nuovo sguardo da offrire al contesto culturale contemporaneo in cui esprimere la ricchezza della differenza, la reciprocità fra il maschile e il femminile e i vari luoghi in cui tale bellezza può emergere.

Lectio biblica su Genesi 1,26-28 “Maschio e femmina li creò”
Nocera Umbra, 26 aprile 2014

Ho scelto di riflettere e meditare insieme a voi su un testo a tutti ben noto e, quindi, so di non avere nulla di nuovo da proporvi. Ma questo è il testo che dà il titolo al nostro convegno e dunque può essere utile tornare a farci illuminare da questi versetti del libro di Genesi.

1. Maschio e femmina

«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”» (Gen 1,26-28).

Genesi 1,26 recita: «Facciamo adam a nostra immagine e a nostra somiglianza … e domini sui pesci del mare». Traducendo in italiano il termine Adam con “uomo”, il traduttore ha dovuto mettere il verbo “dominare” al singolare, mentre in ebraico è plurale. E questo perché adam in ebraico è un singolare collettivo, che va meglio tradotto con “umanità”; e questa umanità è duale, è maschio e femmina. E allora dobbiamo letteralmente tradurre così: «Facciamo umanità a nostra immagine e a nostra somiglianza… e dominino…».

In Genesi 1,27 leggiamo: «Dio creò Adam a sua immagine; a immagine di Dio creò adam, maschio e femmina li creò». Secondo questo primo racconto di Genesi, l’umanità maschio e femmina è il culmine e il capolavoro della creazione, e riceve da Dio il compito di “dominare”, cioè di portare a perfezione il creato. Senza umanità maschio e femmina non c’è “cosmo”, non c’è creazione ordinata, perché adam maschio e femmina, che odora di terra e di rosso sangue è “infuocato” (è il significato ebraico di ish-ishah), è custode e liturgo del creato.

Adam maschio e femmina è selem e demut, che noi traduciamo con “immagine e somiglianza”. Selem e demut in ebraico indicano qualcosa di molto simile all’originale e, nello stesso tempo, assai distante e differente dall’originale. Pensiamo, ad esempio, alla statua del re posta al centro della città perché lo rappresenti. La statua richiama l’immagine del re, ma non è il re! È un po’ come una mia foto: io la guardo e dico: «Questo sono io», ma non intendo dire che io sono un pezzo di carta.

Quindi in adam maschio e femmina c’è qualcosa di molto simile a Dio Creatore che, nello stesso tempo, è distinzione e differenza.

Adam è maschio e femmina, in ebraico zakar e nekebah, termini che letteralmente andrebbero tradotti con “puntuto e svuotata”, oppure “pene e vagina”. L’umanità, dunque, è immagine di Dio in quanto duale. E questa dualità si evidenzia in quanto adam-umanità è puntuto e svuotata. Zakar e nekebah si riferiscono ai genitali che costituiscono e distinguono adam-umanità in maschio e femmina.

2. A immagine e somiglianza

Rileggiamo Genesi 1,27: «Dio creò adam a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Nel progetto di Dio adam-umanità non è pensata a sé stante, chiusa nella solitarietà della mascolinità o della femminilità. Difatti anche Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem ha scritto: «L’uomo in sé non è l’umanità perché l’uomo si costituisce tale solo dinanzi al “tu” della donna, che è l’altro “io” nella comune umanità» (MD, n. 6). Quindi nessun essere umano in sé è “umanità” se non nella relazione con l’altro da sé: questa è la vocazione originaria dell’uomo e della donna. Pertanto, possiamo sinteticamente affermare che l’identità e il fine di adam maschio e femmina è l’amore come relazione.

Sì, la vocazione originaria e originante, inscritta da Dio in adam maschio e femmina, è la relazione, cioè l’essere dono per l’altro/a da sé. E precisamente: il “puntuto” per la “svuotata” e viceversa. Essere immagine di Dio è un dono esclusivo del Creatore all’adam maschio e femmina. Nessun altro essere nel cosmo è creato a immagine di Dio. Ciò che rende adam immagine di Dio non è l’intelligenza, né l’anima, ma la relazione nella distinzione maschio e femmina, cioè l’alterità relazionale nella comune umanità, quale compatibilità accogliente nell’irriducibile incompatibilità di due differenti unicità. La Bibbia, dunque, con immagini semplici ci dice che se noi adam maschio e femmina possiamo vivere il dono di essere immagine di Dio, è perché siamo fisicamente complementari nell’irriducibile incompatibilità.

Insegnava ancora Giovanni Paolo II: «Nell’unità dei due l’uomo e la donna sono chiamati sin dall’inizio non solo ad esistere “uno accanto all’altra” oppure “insieme”, ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l’uno per l’altra… Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale» (MD, n. 7). Ma mi permetto di affermare che alla luce della pienezza della Rivelazione in Cristo Gesù c’è molto di più. L’Antico Testamento e lo stesso Cantico dei Cantici sono superati o, meglio, portati a pienezza. Essere l’uno per l’altra nel contratto d’amore di reciprocità cede il passo all’essere l’uno nell’altra nel contatto d’amore di intimità.

Infatti nei vangeli Dio non dice più, come affermava più volte nell’Antico
Testamento o nel Cantico dei Cantici, «Io per voi… Voi per me…», ma «Io in voi e voi in me»: c’è un contatto di intimità sponsale. Soprattutto in nel vangelo di Giovanni, Gesù afferma: «Rimanete in me e io in voi… Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto… Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi… Rimanete nel mio amore» (Gv 15,4-9); «Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola… Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità» (Gv 17,21-23).

Il testo ebraico di Genesi 1,26 letteralmente recita: «Dio creò adam a sua immagine, verso la sua somiglianza lo creò». Essere immagine di Dio è un dono, diventare sua somiglianza è la risposta di adam maschio e femmina al dono ricevuto. Allora tutta l’umanità, in quanto maschio e femmina nell’intimità della relazione, deve tendere verso la somiglianza di Dio. Se leggiamo la Bibbia attraverso questa “chiave della somiglianza”, ci accorgiamo come tantissime volte si parla dell’umana tensione ad imitare il Signore per essere sua somiglianza nella storia. Vi cito a mo’ di esempio tre testi: «Siate santi perché Io, il Signore vostro Dio, sono Santo» (Lv 11,45); «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5); «Padre, che siano uno come noi…» (Gv 17,22). Vivere l’unità nella relazionalità dei distinti significa tendere verso la somiglianza di Dio: è questa la nostra risposta al Creatore, che ci ha fatti a sua immagine.

3. Aiuto simile

Nell’altro racconto della creazione in Genesi 2 leggiamo: «Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile… ma (l’uomo) non trovò un aiuto che gli fosse simile» (Gen 2,18-20).

È opportuno intanto precisare che Dio non dice: «Non è bene che l’uomo sia “singolo”»; questa traduzione tradisce la Parola di Dio, distorce e malamente “legge” il significato del termine ebraico, come dirò più avanti. Ecco, Dio scava nell’uomo una sete di comunione, di amore, di incontri, di occhi. Sete di qualcuno che gli sia kenegdô, di fronte al suo volto, di qualcuno a cui dire: «Veramente tu sei ossa delle mie ossa, carne della mia carne» (Gen 2,23).

Proprio nella sua Parola Dio ci rivela che Lui da solo non basta all’umanità maschio e femmina e che nessuno può arrivare a Dio se non per mezzo dell’altro/a da sé. Dio solo non basta! Perché la relazione è squilibrata, è dal basso verso l’alto, è sempre un dialogo fra diseguali. Allo stesso modo non basta una relazione dell’uomo dall’alto in basso con gli animali. L’uomo cerca una relazione-aiuto kenegdô: di fronte al suo volto.

E questo perché… «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). In realtà il testo ebraico recita: «Non è bene che l’uomo sia con la sua stessa parte», cioè con l’altro da sé come se stesso. Il termine ebraico lebadô, che in italiano traduciamo «solo», lo troviamo applicato a Giacobbe al guado di Iabbok dopo il sogno della lotta con Dio.

Il testo dice: «Si trovò solo nella lotta» (Gen 32,25), ma dovremmo meglio tradurre: «Si trovò appoggiato nella sua stessa parte». Dopo lotta, infatti, Giacobbe si ritrova zoppo perché Dio l’aveva colpito al nervo sciatico.

Ritroviamo lo stesso termine (lebadô) in Gen 42,38, dopo che i figli di Giacobbe avevano venduto il loro fratello Giuseppe… «Beniamino rimase solo», cioè ripiegato in se stesso, col suo stesso lato. E ancora nel primo Libro dei Re si racconta che Elia, stanco e sfiduciato, per tre volte dichiara: «Sono rimasto solo» (1Re 18,22; 19,10; 19,14), perché è scoraggiato e ripiegato in se stesso.

ltri due brevi passaggi in questa veloce riflessione. In Genesi 2,18 la donna viene definita ezer kenegdô, in italiano «aiuto simile». Ma in ebraico ezer è un termine che si riferiscw a chi sa insegnare la strada e guidare accompagnando. Questa è la donna! Nel libro di Giobbe ezer viene applicato a chi soccorre il povero, l’abbandonato, il misero. E allora, quando Dio vede che l’uomo ripiegato sul suo “stesso lato” è zoppicante, gli crea la donna capace di insegnargli a camminare accompagnandolo, di indicargli la strada e di soccorrerlo. Perché l’uomo è come un povero abbandonato a se stesso.

Ma c’è di più: nei Salmi (cfr. Sal 118; 119; 121) ezer è Dio stesso: «Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore» (Sal 121,1-2).

Ecco il compito della donna nei confronti dell’uomo: essere “alterità” che sa accompagnare e indicare la strada… come Dio! La donna permette all’uomo di camminare dritto e spedito, di non essere zoppo e ripiegato sulla sua stessa parte. La donna, come altra da sé, genera nel creato l’alterità nell’unità della relazione dei distinti.

E per concludere: dopo aver creato la donna, Dio «la condusse all’uomo» (Gen 2,22).

Ma il testo ebraico recita letteralmente: «Dio la fece entrare nell’uomo». Di solito avviene il contrario: è l’uomo ad “entrare” nella donna. Ma la Bibbia dice che la donna viene fatta entrare nell’uomo. Lo stesso concetto con lo stesso verbo ebraico ba’ah lo troviamo altre due volte nell’Antico Testamento. La prima volta quando Labano, zio di Giacobbe, «prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei» (Gen 29,23); la seconda volta in occasione delle nozze di Tobia con Sarah: «Poi Raguele chiamò la moglie Edna e le disse: “Sorella mia, prepara l’altra camera e conducila dentro”. Essa andò a preparare il letto della camera, come le aveva ordinato, e vi condusse la figlia» (Tb 7,15).

† Mario Russotto
Vescovo di Caltanissetta


[*] Mario Russotto è nato a Vittoria il 23 luglio 1957. Ha svolto gli studi per la preparazione al sacerdozio nel Seminario diocesano di Ragusa ed è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1981 nella basilica San Giovanni Battista a Vittoria dal Vescovo Angelo Rizzo. Ha conseguito la Licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico nel 1986.
Dal 1981 al 1987 è stato vicario cooperatore presso la chiesa madre di Comiso. Dal 1981 al 1983 è stato assistente diocesano di Azione Cattolica per il settore giovani, direttore dell’Ufficio diocesano di Pastorale giovanile e direttore dell’Ufficio diocesano per le vocazioni. Dal 1985 è stato canonico mansionario del Capitolo della cattedrale di Ragusa. Dal 1987 al 1991 è stato assistente diocesano della FUCI, vice-rettore ed economo del Seminario Vescovile, Vicario episcopale per la vita consacrata, membro del Consiglio presbiterale e Delegato episcopale per i “ministri istituiti lettori”. Dal 1991 al 1998 è stato assistente ecclesiastico centrale della FUCI. Dal 1983 al 2017 è stato Padre spirituale dell’Ordine del SS. Salvatore di Santa Brigida, tenendo numerosi corsi biblici e teologici nei Paesi scandinavi, nel nord Europa, USA, Messico e Cuba. Dal 2004 al 2014 è stato membro della commissione episcopale della CEI per la famiglia e i giovani e delegato episcopale della CESI per i giovani e la famiglia di Sicilia. Attualmente è delegato episcopale della CESI per la vita consacrata.
Tra i suoi incarichi: docente di ebraico, greco e Sacra Scrittura all’Istituto Teologico e all’Istituto superiore di Scienze religiose di Ragusa; docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia; direttore del Centro regionale “Madre del Buon Pastore” per la formazione permanente dei presbiteri e dei diaconi di Sicilia; direttore della Segreteria pastorale della Conferenza Episcopale Sicilia e Segretario aggiunto della CESi.
Il 2 agosto 2003 San Giovanni Paolo II lo ha nominato Vescovo di Caltanissetta e Amministratore apostolico della collegiata di Calascibetta. È stato consacrato vescovo il 27 settembre successivo nella cattedrale di Caltanissetta dal Cardinale Salvatore De Giorgi, Arcivescovo metropolita di Palermo, co-consacranti il Cardinale Salvatore Pappalardo, Arcivescovo emerito di Palermo e dall’Arcivescovo (poi Cardinale) Paolo Romeo, Nunzio apostolico in Italia.

Foto di copertina: Gustav Klimt, Il Bacio, 1907-1908, olio su tela, 180 x 180 cm. Vienna, Österreichische Galerie Belvedere.

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