Il sacco della cassaforte della Segreteria di Stato da parte “dei Robin Hood all’incontrario, rubando ai poveri per dare ai ricchi”. Continuano ad uscire carte dal Vaticano attraverso L’Espresso

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Non si ferma il flusso di informazioni che escono dai faldoni degli investigatori giudiziari dello Stato della Città del Vaticano, nell’istruttoria giudiziaria partita dall’inchiesta denominata 60SA, relativa all’acquisto del palazzo di lusso al numero 60 di Sloane Avenue a Londra e sfociata nell’attenzione puntata sulla gestione della cassaforte (composta da diversi fondi) della Segreteria di Stato di Sua Santità. Si tratta di documenti che finiscono nelle mani di determinati giornalisti, come [Omissis] che scrive su L’Espresso di ieri, 2 novembre 2020 (“Fabrizio Tirabassi, l’uomo di fiducia di Becciu, era nel cda della società di Gianluigi Torzi”), sul “tessuto di complicità ed omissioni incrociate che hanno permesso il più grande sacco della storia delle finanze vaticane, un sacco operato distraendo fondi all’Obolo di San Pietro, come dei Robin Hood all’incontrario rubando ai poveri per dare ai ricchi”.

“L’ultima figura su cui si è appuntata l’attenzione degli investigatori è quella di Fabrizio Tirabassi”, scrive [Omissis]. Questo ormai ex-funzionario della Segreteria di Stato di Sua Santità e latitante, perché si è reso irreperibile, come abbiamo dichiarato dal giugno 2020, era anche Direttore finanziario in un’azienda del broker Gianluigi Torzi. “E grazie a questo doppio ruolo ha offerto un contributo decisivo per realizzare l’estorsione che ha portato la Santa Sede a pagare 15 milioni di euro di fatture false. Tra i suoi conti, uno allo Ior di oltre un milione”. Coccia racconta il ruolo di Tirabassi, “uomo di fiducia di Becciu” e “titolare di svariati conflitti di interessi”: “Nel giugno del 2013 riceve la segnalazione da Credit Suisse Lugano di un parere negativo espresso intorno alla figura di Raffaele Mincione, parere che viene comunicato anche a Monsignor Alberto Perlasca e rafforzato in seguito da una informativa della Gendarmeria con ‘elementi reputazionali negativi’ a carico del finanziere di Pomezia. Ma nonostante tutto la Segreteria di Stato continua a fare affari col faccendiere, che le porterà in dote il broker molisano Gianluigi Torzi, il quale con la complicità dello stesso Tirabassi e di Enrico Crasso verrà presentato come il risolutore della controversa operazione londinese”.

L’informativa del Corpo della Gendarmeria SCV menzionato, come si evidenzia in un allegato, era a firma del Dott. Costanzo Alessandrini, il fidato braccio destro del Comandante del Corpo della Gendarmeria SCV Dott. Domenico Giani. Non a caso poniamo la lente su quella pagina di quella informativa, che non a caso è stato messo in evidenza da L’Espresso. Qui si può chiaramente leggere, che il Corpo della Gendarmeria SCV in una informativa del 2013 per mano di Alessandrini, sicuramente con il visto di Giani (e conosco ambedue, molto bene, avendo lavorato con loro per molti anni: poliziotti e investigatori pezzi da novanta), pone l’accento sulla figura opaca di Mincione. Questo è un elemento certo. L’Espresso indirettamente elogia l’operato del Corpo della Gendarmeria SV che già nel 2013 aveva capito chi era Mincione e aveva informato debitamente i superiori, superiori che non hanno preso assolutamente in considerazione tale informativa. Questo è un fatto limpido, che non deve essere dimenticato, ma analizzato come un elemento da aggiungere a tutti i pezzi del puzzle, che piano piano stanno emergendo. La domanda nasce spontanea, se Dott. Giani per mano di Dott. Alessandrini faceva bene il proprio lavoro nel 2013, molto probabilmente lo faceva bene anche nel 2019… A buon intenditor…

Prosegue L’Espresso: “Secondo le carte degli inquirenti, e le evidenze da noi riscontrate, il 27 novembre 2018 Fabrizio Tirabassi entra a far parte del consiglio di amministrazione della Gutt Sa, società dello stesso Torzi, fornendo così un contributo fondamentale per l’estorsione maturata nei confronti della Santa Sede”.

Rileva L’Espresso: “Secondo quanto riscontrato dagli investigatori, il palese conflitto di interessi di Tirabassi e la volontà quasi ossessivo di un altro impiegato della Segreteria di Stato, Monsignor Mauro Carlino, di chiudere l’affare del palazzo è rappresentato dalla necessità di concludere la pratica prima che la vicenda esploda pubblicamente, non solo perché il cardinale Becciu è ormai stato allontanato ma perché il processo di riforma della cassa della Segreteria di Stato appare imminente ed è quindi destinata a terminare quella rendita trentennale sia economica che gestionale di cui molteplici attori avevano beneficiato.
Ad esempio è da notare come lo stesso Tirabassi tra i numerosi conto correnti intestati ne abbia uno proprio presso lo Ior che non è mai stato movimentato ma per il quale ha aderito nel 2015 alla voluntary disclosure per cifre superiori al milione di euro.
Una ricchezza assai sospetta, per un semplice impiegato, e che ci fa comprendere come il pasticciaccio brutto del palazzo di Sloane Avenue sia avvenuto principalmente perché i tanti convenuti intorno al banchetto della cassa vaticana hanno rotto un equilibrio, per il timore di non godere più della copertura necessaria ma anche perché, come qualsiasi «associazione a delinquere» che si rispetti, l’ultimo colpo deve essere quello definitivo, quello in grado di sistemare tutti prima che sia troppo tardi”.

E con questo arriva una conferma inconfutabile di quanto abbiamo scritto il 31 ottobre: «Allora, puntiamo la lente sull’irreperibile Tirabassi. Questo cruciale (per le indagini) protagonista già aveva capito tutto e si era dato subito alla latitanza, poiché lui sa benissimo che nessuno Stato al mondo ha l’obbligo di estradizione per un cittadino straniero alla Stato della Città del Vaticano. Quindi, lui sarà libero di spassarsela dove ora si trova con i suoi conti offshore pieni di soldi della Segreteria di Stato, alla faccia dell’Obolo di San Pietro e di tutti i fedeli cattolici romani».

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