Coronavirus, proteste e democrazia: un invito alla responsabilità

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Chi soffia sul malessere sociale nelle città? E’ una bella domanda a cui occorre rispondere seriamente in questi giorni di aumento di contagio solo per ‘propaganda ideologica’, che hanno portato alla distruzione di vetrine e di locali, che devono affrontare la chiusura. Violenze inaudite e gratuite, che hanno messo a ‘ferro ed a fuoco’ città, approfittando dello sconforto dei cittadini.

Per gli analisti del Viminale, gli atti capaci di trasformare il dissenso di piazza in una ‘guerriglia urbana’ erano ‘attacchi preordinati, organizzati, inaccettabili e da condannare’. La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, è convinta che si tratti di gesti che “nulla hanno a che fare col dissenso civile e con le legittime preoccupazioni di imprenditori e lavoratori legate alla difficile situazione economica”.

Venerdì scorso, prima della manifestazione, il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, aveva twittato: ‘Scendiamo in piazza col vigore tipico della nostra gente. Che si accenda a Napoli la prima scintilla di rivoluzione contro la dittatura sanitaria’.

Sulla rivista ‘Città Nuova’ il dott. Spartaco Mencaroni, medico specialista in Igiene e Medicina Preventiva, ha parlato di ‘estate sprecata’: “Anzitutto, nel periodo dopo il primo picco, era semplice capire che alcune aree del Paese, fino a quel momento preservate dalla diffusione del virus, andavano protette dalla diffusione di micro-focolai, che avrebbero serpeggiato come braci sotto le stoppie per tutta l’estate, pronte ad esplodere in autunno: ma è stato scelto di correre questo rischio per consentire al turismo di ripartire; ciò è comprensibile, visto il costo sociale ed economico delle chiusure generalizzate.

Ma abbiamo permesso alle persone di comportarsi in modo irresponsabile. Anche quando i contagi secondari, generati dall’ondata di spensierata follia estiva, si sono allargati come tante piccole macchie d’olio, nessuno voleva sentir parlare di numeri in risalita, di comportamenti di prevenzione e di igiene personale (grazie ai quali è sempre possibile proteggersi dal contagio, pur preservando la vita di relazione). In troppi hanno preferito liberarsi da ogni impedimento e godersi l’estate senza pensieri, anche a costo di mettere in pericolo i propri cari e le proprie comunità”.

Ed ha concluso l’articolo affermando che occorre tenere alta la ‘guardia’: “In alcuni settori non si riesce a capire (nemmeno ora, nemmeno di fronte all’evidenza della più banale matematica) che ogni 1.000 nuovi casi abbiamo 60 nuovi ricoveri e 5 nuovi malati in terapia intensiva. E’ di pochi giorni fa la dichiarazione mediatica di un collega che, riferendo percentuali simili a queste, diceva: ‘basta con la paura’.

Ebbene, pensare che ogni giorno 20.000 persone si ammalano e che il 5% di esse andranno a ricovero, a me fa venire la pelle d’oca. Perché vuol dire che ogni giorno, considerando la media di aumento di ricoverati nelle ultime 2 settimane, in Italia serve aprire un nuovo ospedale grande con 600 posti letto. Oggi ne servono più di 900. Letti che devono essere affidati a medici e infermieri, ammesso che se ne trovino disponibili, e sottratti ad altre malattie e ad altre emergenze”.

Mentre dal sito nazionale dell’Azione Cattolica Roberto Gatti, già presidente della Società italiana di Filosofia politica, di cui ora dirige il sito on line (www.sifp.it), ha scritto di uno ‘spirito individualistico’: “Sembra che nel gesto di chiudere le saracinesche, di ritirarsi in casa saltando l’aperitivo, di fare a meno della passeggiata serale, della ‘movida’ notturna e così via, conti solo il sacrificio, il danno che Tizio o Caio subiscono, la retroazione negativa, la perdita che deriva dalle disposizioni governative.

Assente appare, invece, l’eco interiore che dovrebbe essere suscitata dalla consapevolezza che, obbedendo a tali disposizioni, si offre (o si dovrebbe offrire), da parte di ciascuno, un contributo al bene comune, consistente in questo caso nel considerare la tutela della salute e della vita come l’imperativo principale ed essenziale da perseguire”.

Ed ha  concluso con l’invito a ricostruire la socialità: “La pandemia ha portato a galla una metamorfosi antropologica di portata che non sarebbe esagerato definire epocale. Al di là e al di sopra delle questioni strutturali che la pandemia c’impone di risolvere, c’è questo fattore, che richiede un gigantesco sforzo di ricostituire una socialità che sia coerente con il dettato costituzionale e con l’etica pubblica della democrazia. Per questo motivo l’educazione alla vita democratica non può non essere l’obiettivo fondamentale delle forze politiche e sociali fin d’ora perché il tempo perso è enorme e ora come mai fa sentire il suo terribile peso”.  

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