Riaffermare il diritto a rimanere nella propria terra. Presentato il Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante

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Ogni persona ha il diritto di emigrare, stabilendosi dove ritiene più opportuno “per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti”, ma nell’attuale contesto socio-politico va anzitutto riaffermato “il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”. È una delle riflessioni contenute nel Messaggio di Benedetto XVI per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebrerà il 13 gennaio 2013 sul tema “Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza”. Il Papa addita queste due virtù come “binomio inscindibile” che riempie il “bagaglio” di tantissimi migranti. In essi vi è infatti “il desiderio di una vita migliore”, e spesso “la profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature”, che “rende più tollerabili le ferite dello sradicamento e del distacco”.

 

Il Pontefice riconosce che “ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune”, ma deve sempre assicurare “il rispetto della dignità di ogni persona umana”. Oggi – si specifica nel Messaggio – molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, mancanza dei beni essenziali, calamità naturali, guerre e disordini sociali. Accade così che invece di un “pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza”, la migrazione divenga “un «calvario» per la sopravvivenza”. E se ci sono migranti che “raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente”, molti altri si ritrovano “in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento”, oppure “adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono”. Il cammino di integrazione comprende pertanto diritti e doveri: “attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa”, ma anche “attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono”. Non può essere infatti sottaciuto il problema dell’“immigrazione irregolare”, che può assumere i tratti del “traffico” e dello “sfruttamento” delle persone, con gravi rischi per donne e bambini.

La Chiesa, ricorda il Papa, da una parte attua “interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze” e alleviare povertà e sofferenza, grazie all’impegno di “associazioni di volontariato e movimenti, organismi parrocchiali e diocesani”. Dall’altra è attenta alle “buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici”, per favorire la “promozione umana”, la “comunione spirituale” e “l’autentica integrazione” dei migranti, che possono contribuire al benessere dei Paesi dove arrivano con le loro competenze e abilità professionali e donare impulso alle comunità cristiane con la loro testimonianza di fede.

Nel presentare il messaggio alla stampa. il cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha citato il Rapporto 2011 dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, sottolineando che “circa un miliardo di esseri umani, cioè un settimo della popolazione globale, sperimenta oggi la sorte migratoria” (214 milioni i migranti internazionali, 740 milioni quelli all’interno di uno stesso Paese). Secondo il porporato, le migrazioni possono divenire “occasione d’interscambio per le nazioni che accolgono i migranti”, in quanto questo fenomeno “obbliga al confronto con differenti stili di vita e diverse culture, stimolando la costruzione di nuovi rapporti”. Il cardinale Vegliò ha quindi insistito sul “ruolo importante” che la Chiesa può svolgere nel processo d’integrazione, attraverso “la raccomandazione a tutelare le minoranze, valorizzando le loro culture, (…) l’importanza del dialogo e del confronto all’interno della società civile, della comunità ecclesiale e tra le diverse confessioni e religioni”.

Monsignor Joseph Kalathiparambil, segretario del Pontificio Consiglio, si è soffermato invece sulle migrazioni forzate, premettendo che sono molti coloro che “devono abbandonare le loro terre a causa delle innumerevoli violazioni dei diritti umani, e della crudeltà di sanguinosi conflitti”, come in Siria, nel Mali e nella Repubblica Democratica del Congo. Ciascuno cerca di salvare la propria vita in diversi modi: camminando per settimane, o via mare, o nascondendosi nei camion. Ma il destino di rifugiati e richiedenti asilo è incerto: alcuni saranno accolti nei campi profughi, altri in “contesti urbani nuovi e precari” dove è estremamente difficile “ricevere le cure mediche di base e l’educazione scolastica”. A volte si affidano ai contrabbandieri, che appena giunti a destinazione diventano “trafficanti di persone” e approfittano di loro in diversi modi, “ad esempio nel lavoro forzato e nello sfruttamento sessuale”. Monsignor Kalathiparambil ha poi notato che nell’Unione Europea le misure restrittive introdotte da alcuni Paesi per ostacolare l’accesso al territorio hanno incentivato le attività dei contrabbandieri, oltre a pericolose traversate in mare.

Secondo il vescovo occorre piuttosto sostenere un “processo di integrazione”, in vista di “un futuro comune” per quanti vivono in un Paese, sia nativi che immigrati. Riguardo questi ultimi, lo Stato deve promuovere “politiche adeguate per il loro benessere e la garanzia dei loro diritti”, ma c’è anche bisogno di “un atteggiamento socievole e disponibile” delle persone nei loro confronti. La Chiesa, che in accordo al Vangelo caldeggia “l’accoglienza e l’ospitalità”, ricorda che il prossimo è in grado di arricchire la società che lo accoglie e va “considerato come una persona e non un numero, un caso, o un carico di lavoro”.

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