Un pentito rientrato in Vaticano, un latitante e una rogatoria in Svizzera. L’Espresso e lo sconquasso pontificio nella Segreteria di Stato

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Leggendo giorno dopo giorno lo sconquasso pontificio con la retroscena degli scandali finanziari nello Segreteria di Stato, non si può che ricordare – nei giorni della ricorrenza della sua morte – una massima del compianto Comm. Camillo Cibin, Comandante del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano fino al 2006 [*]): “La fiducia è il valore più difficile da ottenere. Ci vogliono tanti anni per ottenere la fiducia. Ma è anche il valore più facile da perdere. Quello che si è ottenuto con fatica in tanti anni, si può perdere in un secondo”.

Continuando con le sue inchieste nello sconquasso dello scandalo finanziario nella Segreteria di Stato di Sua Santità, L’Espresso già da qualche giorno ha ben definito il motivo per il quale Mons. Alberto Perlasca ha fatto rientro nello Stato della Città del Vaticano e cioè per rendersi disponibile a fare “il pentito” e a svuotare il sacco, sicuramente al cospetto dell’Uomo che Veste di Bianco.

In principio era il caos in Vaticano. Obolo di San Pietro “opaco”. Mons. Perlasca indagato. Altri tremano – 19 febbraio 2020
Il tempo è galantuomo, restituisce tutto a tutti. E il meglio dello sconquasso deve ancora avvenire – 26 ottobre 2020

Chissà se Mons. Perlasca svuoterà il sacco (a pensarci bene, potrebbe essere piuttosto un Vaso di Pandora…) anche per gli inquirenti. Ma considerato che non è stato imbastito alcun regolare processo, è possibile e probabile si andrà avanti con la giustizia sommaria bergogliana, per la gioia degli ideologi e spin doctor del bergoglismo ad oltranza.

«Già, “in udienza” significa una cosa – per così dire – “preziosa”, mentre “ricevere” in senso generico ha tutt’altro significato! Un “uomo vestito di bianco” può essere: un cameriere, un medico, un imbianchino… e tutti possono ricevere: i commensali, i pazienti, i clienti…» (N.C.)

La chiamata “a rapporto” di Mons. Luigi Mistò nella giornata di ieri, assume confini più definiti e più chiari.

Visto che quando si tratto di protocollo, per quello che è ancora rimasto della vecchia Curia romana nel Palazzo apostolico, niente si fa a caso, è degno di nota la qualifica con cui Mistò fu inserito nella comunicazione istituzionale della Santa Sede: “Presidente della Pontificia Commissione per le attività del settore sanitario delle persone giuridiche pubbliche della Chiesa”.

Indica che il motivo della sua “convocazione” al cospetto dell’Uomo che Veste di Bianco era il pesantissimo (in questione di sterco del diavolo) settore della sanità “santa” e non quello del altrettanto pesantissimo (per lo stesso motivo) settore dell’economia “santa”, visto che non era menzionato con una tra le altre sue qualifiche (“Segretario della Sezione Amministrativa – Coordinatore ad interim della Segreteria per l’Economia della Santa Sede”).

Al riguardo, riproponiamo quanto abbiamo scritto l’11 ottobre 2020:

A questo punto, ricordiamo che il Consigliere del Bambino Gesù Mons. Luigi Mistò è Presidente (confermato per un’altro quinquennio dal Segretario di Stato il 16 giugno 2020 e lo è per questo preciso motivo) della “Commissione per le attività del settore sanitario delle persone giuridiche pubbliche della Chiesa” presso la Segreteria di Stato, istituita il 12 dicembre 2015, nonché Presidente del FAS-Fondo Assistenza Sanitaria dello Stato della Città del Vaticano, e dal 14 aprile 2015 anche Segretario della Sezione amministrativa della Segreteria per l’economia. Fino al 14 novembre 2019 ricopriva pure la carica di Coordinatore ad interim del medesimo organismo, dopo il congedo concesso il 29 giugno 2017 all’allora Prefetto Cardinale George Pell (Prefetto dal 24 febbraio 2014 al 24 febbraio 2019) per difendersi nei tribunali australiani, sostituito da Padre Juan Antonio Guerrero Alves, S.I., proprio mentre la Segreteria di Stato è investito dall’indagine penale della magistratura vaticana sull’uso di ingenti fondi riservati per discussi investimenti immobiliari di pregio a Londra, oltre che dall’imperativo categorico di far quadrare bilanci in forte deficit”.

Con l’occasione sottolineiamo che abbiamo mai ricevuto una risposta alla nostra domanda rivolta a Mons. Mistò, circa il motivo della sua presenza nel sopralluogo del 23 marzo 2015 a Londra per l’acquisto dell’immobile di lusso al numero 60 di Sloane Avenue, oggetto dell’investigazione giudiziaria vaticana. Domanda che abbiamo ripetuto il 22 luglio 2020: “Perché era presente al sopralluogo a Londra nell’ambito dell’acquisizione da parte della Segreteria di Stato del palazzo al numero 60 di Slaone Avenue, insieme a Mons. Alberto Perlasca, come indicato da Nuzzi nel 2019?”.

Ricordiamo anche quanto abbiamo scritto l’8 luglio [In merito alla Dichiarazione odierna del Presidente del Fondo di Assistenza Sanitaria SCV. Un chiarimento e delle domande]: «Considerato ciò, occorre chiarire che il nome di Mons. Mistò viene fatto nel libro di Gianluigi Nuzzi “Giudizio Universale” (Chiarelettere 2019). A pagina 80 del capitolo “Diavolo nei sacri palazzi” colloca Mons. Luigi Mistò il 23 marzo 2015 a Londra: “Ora, è pervenuta da parte della Cb Richard Ellis Spa, primaria società di intermediazione immobiliare inglese, una proposta particolarmente interessante. Tanto che in data 23 marzo 2015 monsignor Luigi Mistò, il professor Della Sega e monsignor Alberto Perlasca hanno compiuto un sopralluogo, prendendo diretta visione dell’immobile. Si tratta di un blocco immobiliare ubicato nel centro di Londra, con esterno in mattoni rossi, in buono stato di conservazione”. Finora non abbiamo messo in dubbio quanto dichiarato dal Card. Becciu circa i fondi dell’Obolo di San Pietro e non abbiamo motivo di mettere in dubbio la Dichiarazione odierna di Mons. Mistò circa i fondi del FAS. Visto che questa sua Dichiarazione include anche una velata minaccia di adire alle vie legali, sarebbe opportuno, che il Presidente del FAS rispondesse sul punto, cioè in merito alla sua presenza a Londra per il sopralluogo insieme a Mons. Perlasca, come è stato affermato da Nuzzi nel suo ultimo libro».

Chissà se l’Uomo che Veste di Bianco ha detto anche ieri: “Mi dicono che…”.

Inoltre, in merito alla latitanza del ex-funzionario della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi anche L’Espresso, come già fatto da noi in precedenza [60SA. Lo scandalo finanziario della Segreteria di Stato di Sua Santità. Il meglio deve ancora avvenire… – 19 ottobre 2020], conferma (senza indicare la fonte da chi l’ha saputo… è dal giugno 2020 che noi abbiamo dichiarato che latitante), che da quando è stato indagato e licenziato, Tirabassi ha fatto perdere le proprie tracce.

Wanted il Signor Fabrizio Tirabassi, ex pubblico ufficiale della Santa Sede, latitante.
Fu convocato dalle autorità giudiziarie vaticane al tempo delle perquisizioni in Segreteria di Stato, ma non si é mai presentato né per gli interrogatori degli inquirenti né per tornare al lavoro e dare spiegazioni ai suoi superiori. Convocato dagli inquirenti non si é reso reperibile facendo perdere le sue tracce. Quindi, di fatto si è sottratto alla giustizia vaticana rendendosi latitante.

Tirabassi è latitante sì e anche “wanted” dalla giustizia dello Stato della Città del Vaticano (prima o poi si saprà dove si è rintanata in modo “protetto”), ma pentito no, perché – come ha fatto sapere – “le carte che lui lavorava erano firmate da Becciu, Perlasca e persino dal Papa”, “dimostrando così – come osserva L’Espresso – di non temere nessuno scandalo o coinvolgimento”.

A questo punto posso aggiungere – a tema – che questa valutazione fatta da Tirabassi riguardante la sua posizione penale, mi confermò personalmente il Cardinale Angelo Becciu la sera del 12 maggio 2020 (quando mi chiamò, in una telefonata durata 21 minuti), quando non si poteva ancora immaginare che sarebbe caduto in disgrazia alcuni mesi dopo. Però gli disse (parlando ex professo, visto che sono stato pubblico ufficiale della Santa Sede per tre decenni), quello che Tirabassi ha fatto sapere dalla sua latitanza in atto, cioè che come funzionario con deleghe o comunque autorizzato dai superiori, difficilmente potrebbe essere tenuto penalmente responsabile (quindi, la responsabilità cadrebbe sull’Ufficio che rappresentava nei suoi atti), non escludendo però responsabilità personale che dovranno essere accertati dagli inquirenti (che per questo vogliono interrogarlo).

Infine, colui che fa uscire le carte coperte dal segreto istruttorio del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e le passa a L’Espresso è la stessa persona che ha dato a L’Espresso la disposizione firmata da Dott. Dominico Giani del 2 ottobre 2019 e che è stato usato come motivo per far cacciare il 14 ottobre 2019 dall’Uomo che Veste di Bianco il Comandante del Corpo della Gendarmeria e Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile dello Stato della Città del Vaticano (nei primi di agosto è stato anche sfrattato dal suo appartamento nella Città del Vaticano e ha perso la cittadinanza vaticana).

[Omissis] in esclusiva per L’Espresso scrive il 16 ottobre 2020 in un articolo dal titolo “Una associazione a delinquere contro la Santa Sede”: «Spunta anche l’ipotesi dell’”associazione a delinquere ai danni della Santa Sede”, nell’inchiesta vaticana sulle operazioni all’ombra della segreteria di Stato: “Un’ipotesi che non si può escludere”, scrivono gli inquirenti nella rogatoria che siamo in grado di pubblicare in esclusiva. Dopo un mese dalle dimissioni del cardinale Angelo Becciu, in seguito all’inchiesta dell’Espresso, le indagini procedono e i promotori di giustizia attendono i riscontri sulle rogatorie internazionali, trasmesse in Svizzera ormai quasi un anno fa, che ricostruiscono il sistema di potere che l’ex porporato di Pattada aveva creato per gestire le finanze della Segreteria di Stato: una rete composta da finanzieri, broker, faccendieri, dipendenti della segreteria di Stato, avvocati e consulenti in genere, i cui nomi abbiamo incontrato in queste settimane, da Enrico Crasso a Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi, Fabrizio Tirabassi, [Omissis] e Nicola Squillace. Tutti soggetti per cui gli inquirenti vaticani ipotizzano non soltanto i reati di abuso di autorità, peculato, corruzione e riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di proventi di attività criminose. La complessità e vastità dell’intreccio fa formulare agli inquirenti una ipotesi in più. Scrivono infatti: “Posto che i legami tra i vari personaggi interni ed esterni alla Segreteria di Stato si sono svolti lungo un arco temporale consistente, attraverso la predisposizione di articolati strumenti giuridici con sedi in diversi Paesi, anche di ‘black list’, e con la realizzazione di molteplici attività delittuose, viene inoltre configurato il reato di associazione a delinquere ai danni della Santa Sede”».

Ricordiamo inoltre quanto scritto da [Omissis] in esclusiva per L’Espresso il 2 ottobre, a seguito della lettera che il Cardinale Angelo Becciu avrebbe scritto all’Uomo che Veste di Bianco, con cui «“avrebbe fatto ammenda per i toni della conferenza stampa post-dimissioni, quando disse del Pontefice “spero non sia manipolato”. Ma non si è ancora presentato davanti a chi lo ha messo sotto accusa. (…) Una lettera che potrebbe segnare un cambio di strategia di Becciu: dopo una difesa iniziale improntata sull’ipotesi del complotto, complice anche il pentimento del suo collaboratore monsignor Alberto Perlasca, l’ex sostituto della Segreteria di Stato si ritrova in una crescente solitudine e con un impianto di accuse non ancora formalmente notificate molto ampio. Inoltre, nonostante la dichiarazione resa nella conferenza stampa all’Istituto Maria Bambina di venerdì 25 settembre, in cui assicurava piena volontà di collaborare con gli inquirenti, ad oggi l’ex porporato non si è ancora presentato davanti ai promotori di giustizia Giampiero Milano e Alessandro Diddi per spiegare la sua versione dei fatti. Un atteggiamento ricorrente da parte di molti uomini coinvolti all’interno del caso del Palazzo di Sloane Avenue: ad esempio Fabrizio Tirabassi, commercialista, licenziato lo scorso anno dalla Santa Sede, da allora non ha più messo piede all’interno delle mura leonine e, nonostante l’invito a comparire più volte avanzato dagli inquirenti, si è limitato alla consegna di una memoria difensiva. Proprio il profilo di Tirabassi è quello più significativo in questa vicenda sia per la piena conoscenza del meccanismo corruttivo che era alla base del “sistema Becciu”, sia per l’ingente quantità di denaro (in totale più di un milione e mezzo di euro) che nel corso del tempo è confluita sui suoi quattro conti correnti: due dello Ior, uno in una banca svizzera e l’ultimo a New York, al momento tutti sequestrati dalle autorità giudiziarie. Inoltre, nei giorni che hanno preceduto lo scandalo, a chi lo interpellava all’interno delle stanze vaticane circa i rischi cui lo esponeva la sua posizione, Tirabassi rispondeva con una caustica scrollata di spalle e con la specifica che le carte che lui lavorava erano firmate da Becciu, Perlasca e persino dal Papa, dimostrando così di non temere nessuno scandalo o coinvolgimento. Chi invece ha collaborato con gli inquirenti, sin dalle prime battute, è stata Alida Carcano, all’epoca dei fatti in quota Valeur Investment, società che ebbe un ruolo centrale nella creazione del fondo immobiliare che portò all’operazione di acquisizione del palazzo di Sloane Avenue. Fu proprio quell’affare a produrre la rottura tra lei e il suo ex socio, Lorenzo Vangelisti, perno centrale dei rapporti tra il finanziere Enrico Crasso, detentore della cassa vaticana, e Alessandro Noceti, ex Credit Suisse, facilitatore dei rapporti tra acquirenti e Segreteria di Stato. Questi ultimi continuano a non rispondere alle richieste di chiarimenti da parte delle autorità vaticane, nonostante penda una rogatoria internazionale con la Svizzera che in tempi rapidi farà chiarezza su conti e fondi di investimento. Un momento che in molti si aspettano, compreso Papa Francesco».

Foto di copertina

Una colomba della pace attaccata da un corvo in Piazza San Pietro, domenica 26 gennaio 2014. La storia della brutta fine delle due colombe liberate dall’Uomo che Veste di Bianco, aggredite dai rapaci di Roma. Di sicuro fu una scena inquietante. Se poi si vuole cercare anche un simbolismo dietro la brutta fine toccata alle colombe della pace liberate ieri da Papa Francesco e attaccate subito dopo da un corvo e da un gabbiano, allora è pure peggio: un presagio funesto e un malaugurio. L’Uomo che Veste di Bianco e i bambini innocenti che erano affacciati con lui a Piazza San Pietro dalla finestra dell’Appartamento pontificio (dove lui non vuole abitare, per motivi “psichiatrici”, come ha confessato lui stesso), liberando le due bianche colombe le consegnarono ad una morte tanto rapida quanto cruenta, che si è consumata davanti agli occhi attoniti dei fedeli radunati per l’Angelus.

Foto a modo di postscriptum

Il gabbiano – chissà se era quello diventato assassino il 26 gennaio 2014 – che mercoledì pomeriggio 13 marzo 2013 si era appollaiato sul comignolo della Cappella Sistina, mentre gli occhi del mondo erano in attesa della nuova fumata dal conclave, in cui fu eletto l’Uomo che Veste di Bianco attualmente regnante come Sovrano dello Stato della Città del Vaticano.

* * *

[*] Il compianto Commendatore Camillo Cibin, nato a Salgareda il 5 giugno 1926, entrò in servizio nell’allora Gendarmeria Pontificia (fondata il 14 luglio 1815 da Pio VII) il 1° maggio 1947. Quinid, ha servito sei Papi. Quando il 20 gennaio 1970 il corpo (anche detto Reggimento dei Veliti Pontifici e Carabinieri Pontifici) venne sciolto da Papa Paolo VI, Cibin venne nominato Vice-responsabile del nuovo Ufficio centrale di vigilanza dello Stato della Città del Vaticano. Ne divenne Responsabile il 1º agosto 1972, in gennaio 1982 Capo ufficio e poi Ispettore generale. Il 25 marzo 1991 si ebbe un nuovo cambio di denominazione in Corpo di vigilanza dello Stato della Città del Vaticano per poi assumere, con legge promulgata il 2 gennaio 2002 da Papa Giovanni Paolo II, l’attuale denominazione di Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano. Camillo Cibin è andato in pensione nel 2006 ed è morto il 25 ottobre 2009.

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