Mons. Pizzaballa è patriarca di Gerusalemme

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Sabato scorso papa Francesco ha nominato a patriarca di Gerusalemme dei Latini mons. Pierbattista Pizzaballa, finora Amministratore Apostolico sede vacante della medesima circoscrizione: “Sono stati anni di ripresa, di raccolta, di impegno intenso, non sempre agevole, talvolta faticoso. Quando pensavo che il mio mandato a Gerusalemme fosse concluso, mi è arrivato un nuovo invito di Papa Francesco che mi vuole patriarca. E così mi si chiede stavolta di restare”.

Così mons. Pizzaballa diventa il decimo patriarca da quando nel 1847 la Santa Sede ha ripristinato la sede di Gerusalemme dei latini. Dopo due presuli arabi (Michel Sabbah dal 1987 al 2008 e Fouad Twal dal 2008 al 2016) a guidare il patriarcato che ha giurisdizione su Israele, Palestina, Giordania e Cipro torna a essere un religioso italiano. Anche se padre Pizzaballa, in Terra Santa dal 1990, è una figura difficilmente incasellabile dentro a uno schema.

Nel saluto ai fedeli della Terra Santa mons. Pierbattista Pizzaballa ha rimarcato il valore del verbo ‘restare’: “Non posso sottrarmi alla suggestione e al ‘peso’ di questo verbo. E’ il verbo della pazienza matura, dell’attesa vigile, della fedeltà quotidiana e seria, non sentimentale e passeggera.

E’ innanzitutto l’invito del Signore ai suoi apostoli prima dell’Ascensione: a loro, ancora disorientati e perplessi, tentati di andarsene per la loro strada, o di risolvere tutto e subito, di forzare quasi i tempi di Dio, Gesù dice loro: ‘restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto’. Ed essi restarono, imparando che il compimento del Regno non era nelle loro mani, che esso viene dall’Alto, invocato e atteso nella pazienza della fede e della speranza”.

I verbi usati sono i verbi dell’amore, come è scritto nel Vangelo di Giovanni, usati da Gesù nel Cenacolo e al Getsemani: “E’ per me il significato più difficile. In un tempo caratterizzato sempre più dall’evasione e dalla fuga, dalla velocità e dalla ricerca di emozioni sempre più forti, sembra quasi un invito superato, vecchio, impossibile”.

Quindi ha esortato a non perdere il ‘passo’: “Ci affliggono, infatti, problemi antichi e nuovi: la politica dal corto respiro e incapace di visione e di coraggio, una vita sociale sempre più frammentata e divisa, un’economia che sta impoverendoci sempre di più, e da ultimo questa pandemia, con l’imposizione di ritmi lenti e contrari alla vita cui eravamo abituati.

Ma penso anche alle nostre scuole in sempre maggiori difficoltà, alle nostre comunità ecclesiali a volte così fragili e insomma ai tanti problemi dentro e fuori di noi, che già conosciamo. Tutto ciò ci sta però insegnando dolorosamente ma, spero, efficacemente, che altri devono essere i passi e i ritmi dell’uomo, se vuole salvare se stesso e il mondo”.

Infatti i problemi possono essere superati solo se non si tradisce la fedeltà: “So che ci attendono momenti difficili e scelte complesse, ma sono certo che uniti riusciremo a guardare al domani con fiducia, come è stato fino ad ora.

Assicuro perciò a tutti la mia volontà di servire ciascuno, la nostra gente e la nostra Chiesa, di amarla per quanto possibile con quello stesso amore del Cenacolo e del Getsemani, mettendo a Vostra disposizione quello che sono e che ho. E chiedo a Voi di rimanere con me nella stessa disponibilità, nella stessa decisione…

Lo Spirito ci invita a guardare al futuro di Dio che arriverà ‘tra non molti giorni’, che è anzi tra noi. Lasciamoci allora guidare dallo Spirito in questo nuovo inizio per la nostra amata Chiesa di Gerusalemme. E la nostra Patrona, la Regina della Palestina, interceda per tutti noi”.

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