Campagne denigratorie delle facce di tolla, in Campania come in Lombardia. La polemica sui posti di cura intensiva
Il 20 ottobre l’aveva scritto il Governatore della Campania Vincenzo De Luca: «Dopo una campagna di aggressione mediatica tendente ad accusarci di avere sprecato risorse pubbliche per aver realizzato terapie intensive che non erano utilizzate [nella foto di copertina, la costruzione dell’Ospedale di Mare a Napoli, V.v.B.], oggi abbiamo una campagna di aggressione mediatica opposta: perché non si attivano le terapie intensive?
La risposta è semplice: le terapie intensive, che grazie a Dio abbiamo realizzato, vanno attivate sulla base delle esigenze concrete. Perché quando si attiva un reparto di terapia intensiva bisogna organizzare i turni, e siccome gli anestesisti non ci sono in nessuna parte d’Italia – sono professionalità preziose – bisogna utilizzarle quando vi è la necessità.
Quindi, i posti letto sono quelli che abbiamo programmato negli ospedali modulari, ma saranno utilizzati pienamente sulla base delle esigenze».
Oggi, il Governatore della Campania è ritornato a parlare dei posti letti, a seguito di un Caffè Di Massimo Gramellini sul Corriere della Sera: “Diversamente da quanto sostenuto da Massimo Gramellini, si conferma che la Campania ha posti letto sufficienti (posti letto di degenza Covid attivati fino alla giornata di ieri: 1.500 – posti letto di degenza Covid occupati: 1.118), soprattutto per le terapie intensive (posti letto di terapia intensiva Covid attivati fino alla giornata di ieri: 227 – Posti letto di terapia intensiva Covid occupati: 105) per far fronte all’attuale emergenza.Per il resto si conferma, da parte degli epidemiologi, che è in crescita la gravità delle condizioni dei pazienti Covid. Ho mostrato la Tac di un paziente, semplicemente per rendere chiaro a tutti la serietà del problema che abbiamo di fronte. La proposta di misure restrittive che avanzo è legata alla valutazione dell’Unità di crisi e ha l’obiettivo di frenare l’espansione dell’epidemia a tutela dei nostri concittadini. Ogni altra interpretazione è francamente gratuita” (Vincenzo De Luca).
E ieri, l’amico e collega Renato Farina su Libero ha focalizzato l’attenzione sulle polemiche delle facce di tolla [*] contro il Governatore della Lombardia Attilio Fontana, in riferimento alla riapertura dell’Ospedale anti-Covid alla Fiera di Milano, realizzato a suo tempo in tempo di record grazie a Guido Bertolaso. Esatte copie delle facce di bronzo contro il Governatore della Campania Vincenzo De Luca per la non riapertura (ancora) dei posti di cura intensive da campo, però criticato a sua tempo per la costruzione. Meno male che oggi i posti di cura intensiva extra ci sono, dopo anni di smantellamento della sanità pubblica, a favore di quella privata.
[*] Tolla: latta, lamiera. Faccia di tolla, di persona sfrontata e impudente. Come per dire: faccia di bronzo.
Lezione ai gufi. Alla Fiera di Milano riapre l’ospedale. E la sinistra ora tace
Torna operativa la struttura allestita a tempo di record: meno male che Fontana non ha dato retta alle balle dei detrattori
di Renato Farina
Libero, 23 ottobre 2020
Apre, anzi riapre, l’Ospedale anti-Covid alla Fiera di Milano. Non è una festa, ci mancherebbe. Ma è un sollievo che esista questo polmone in più per chi adesso e nei giorni che verranno si sentirà strozzare il fiato. Se Attilio Fontana ha deciso di riattivare questa struttura intanto per 143 posti dotati di respiratori di ultima generazione è perché – maledizione – vuol dire che la prima e la seconda linea lombarda di letti a terapia intensiva si prevede non bastino. Ed è tempo di aprire lo “scolmatore” – sia benedetto – della terza linea. Per prima e seconda linea si intendono, nei piani regionali predisposti per la nuova ondata virale, i reparti di rianimazione dei 18 ospedali-hub dove finora sono stati condotti quanti tra i contagiati manifestano sintomi gravi di polmonite bilaterale. Brutta storia. Gli assalti del virus con espansione crescente impongono di impiegare la riserva strategica nel combattimento. E dunque ecco la terza linea. E’ come la golena che si protende molto lontano dagli argini del Po, per trattenere le acque qualora ci sia una piena. Possiamo dire “meno male che c’è”? E magari aggiungere: grazie Fontana, grazie Bertolaso, grazie ai donatori che hanno finanziato quest’opera, e in particolare ai lettori di Libero e del Giornale? La generosità non è stato oro buttato nel tombino come i detrattori hanno sostenuto con un sentimento così vicino alla goduria, con parolette spiritose da gag oratoriana, mentre giravano i camion con le bare, e nell’epicentro dell’abisso si cercava di appoggiare delle scalette di emergenza per consentire a più condannati possibile di uscirne vivi. Così nacque la struttura (detta Astronave) al Portello della Fiera in Milano e il padiglione tirato su dagli Alpini e dagli artigiani orobici a ridosso del Papa Giovanni di Bergamo. Prima di lasciare entrare i primi malati in questi luoghi salvavita c’è un lavoretto igienico da ausiliari alle pulizie che ci assumiamo con questo articoletto: provvedere a ripulire dagli sputi le facce di Fontana e di Bertolaso, e dai reparti il fango rovesciato dalla macchinetta che funziona sempre dalle nostre parti e che aveva per scopo di attivare le inchieste della procura (prontamente accorsa peraltro).
L’ossigeno
Una premessa. Come molti ultra-sessantenni lombardi, ricordo la sirena delle ambulanze e i dialoghi intessuti fuori dalla posta e dal giornalaio-tabaccaio, in coda tremula e con la mascherina, per pagare un vaglia o fingere di comprare le sigarette. Si vedeva in lontananza l’Ospedale San Gerardo di Monza. Arrivavano voci strane su condannati a morte per la colpa inverosimile di avere più di 65 anni, figuriamoci se più di 70. Per loro niente ossigeno. Dai giornali letti ad alta voce si apprendeva sui dibattiti etici sul modo di selezionare i candidati alla sopravvivenza e persino certe associazioni di anestesisti avevano evocato una specie di Monte Taigete di Sparta da cui gettare per una volta non i neonati “deformi” ma i vecchi con la polmonite. In quel momento vivemmo con un sollievo assoluto la notizia che si aprivano spazi di salvezza per tutti. Percepimmo che qualcuno era dalla parte anche degli scartati da chi implorava l’eroismo della gente canuta: ed erano gli alpini che ebbero l’idea e la realizzarono del prefabbricato bergamasco (onore anche al sindaco Gori), e per una volta la capacità organizzativa e la voglia di rischiare la faccia e le consuete denigrazioni e denunce da parte della giunta lombarda, che pensò bene di ingaggiare come costruttore di cattedrali ospedaliere Guido Bertolaso. Già il fatto che si mettesse mano a questa impresa tirò su il morale. Si chiama fisiologia dell’ottimismo. Sapere che le autorità lombarde – appoggiate peraltro dal ministro della Salute Roberto Speranza – provvedevano a estirpare qualche zanna al mostro cinese, consentì di stabilire un nesso di fiducia tra gente comune e livelli politici regionali, d’accordo entrambi non fosse il caso di usare il Corona come una grande scopa per ringiovanire l’età media.
Il fango
Gli sputi? Il fango? Una macchinetta giornalistica è entrata subito in azione. Il Fatto quotidiano si tirò subito avanti con il lavoro di character assassination, come dicono quelli bravi. Già il dieci marzo a lavori appena accennati ecco il titolo dell’editoriale “Disguido Bertolaso”. Una semina di odio preventivo. Che comincia a manifestarsi a ospedale fatto, trattato come operazione propagandistica tipo battaglia del grano di Mussolini. Due giorni dopo l’inaugurazione del 31 marzo la butta sul ridere, con la classica satira mortuaria, specialità della casa. Mette a confronto il numero dei morti e dei malati gravi con la “misera cifra” che “il prode assessore Gallera” annuncia come disponibilità iniziale. Il titolo del 2 aprile è classificabile nella categoria delle battutone: “Miracolo a Milano” per spiegare che era una finta, una pinzillacchera. Lo chiama “ospedalino”. Accuserà dopo pochi giorni “la giunta lombarda (di) tentare goffamente di nascondere dietro le parate e le trombette il record mondiale di morti della Lombardia”. Propone pure il commissariamento della Regione, prendendo a pretesto proprio questa opera: “Solo chiacchiere e propaganda, incluso il Bertolaso Hospital che doveva creare alla Fiera ‘600 posti letto’ e, a due settimane dall’inaugurazione e a una dall’apertura, ospita 10-12 malati con 50 medici e infermieri rubati agli ospedali pubblici”. Invece di essere contento che non c’è bisogno di stiparlo come un uovo si lamenta. Si provvede dunque immediatamente a intervistare un immunologo di stanza in Germania, Luciano Gattinoni, un samaritano che a quanto pare soccorre i ricchi, il quale fornisce questo titolo: “L’ospedale in fiera? Fa ridere i polli”. Aggiunge: “Quella non è medicina, è politica”. Il 16 aprile ecco un dossier: “Un bluff per quattro gatti”, anche se magari erano persone morenti, per chi attacca il centrodestra qualsiasi modo per denigrare va bene.
Infine con due poderosi articoli ecco Gianni Barbacetto. La cui trama è presto detta: soldi buttati per pochi sfigati, meno male che ora interviene la Guardia di finanza. Poi il finale da salotto alto borghese: “Il trio Fontana-Gallera-Cajazzo (dirigente della Regione, ndr) ha fatto invece l’ospedale glam della Fiera, che sarà studiato come case history della disfatta nella nuova Milano da bere”. Qualunque cosa voglia dire fa la sua scena.
Ed ecco che pochi giorni fa dalla Gruber opportunamente Alessandro Sallusti chiede conto a Travaglio di questa campagna denigratoria, mica che desideri chiedere scusa. Marchetta-per-Conte-Travaglio risponde: “Le critiche all’ospedale in Fiera? Le hanno fatte i medici, non io”. Premio Faccia di Tolla.