L’ideologia del bergoglismo e non solo… “Fratelli tutti” simile al tipo di dialogo di San Paolo ad Atene, di ampio respiro che Francesco predilige. Lo stesso destino

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Condivido, dopo averci riflettuto per un bel po’ – il discernimento… – due testi di analisi di “Fratelli tutti”, la terza Lettera enciclica (non dico scritto da, ma) firmato Francesco (e non Franciscus PP. come fecero i suoi predecessori), nato Jorge Mario Bergoglio (Buenos Aires, 17 dicembre 1936), il 13 marzo 2013 eletto Vescovo di Roma, 266º Papa della Chiesa Cattolica Romano, 8º Sovrano dello Stato di Città del Vaticano, Primate d’Italia, oltre agli altri titoli propri del Romano Pontefice (anche se quelli più importanti li ha derubricato a solo “titoli storici”, per me era, è e rimarrà il Vicario di Cristo… a prescindere da “Fratelli tutti” e le due Lettere encicliche precedenti), di nazionalità argentina.


La copia della Lettera enciclica “Fratelli tutti” firmata da Francesco ad Assisi il 3 ottobre 2020 (Foto Ufficio Stampa del Sacro Convento di Assisi).

1. Il primo testo – preceduto da un commento a “Fratelli tutti” di Franco Angeli, editorialista di questo “Blog dell’Editore” – è di Marcello Veneziani pubblicato su La Verità del 6 ottobre 2020: “L’ideologia della fratellanza in Bergoglio”.

2. Il secondo testo è un’analisi di “Fratelli tutti” di Phil Lawler [1] su CatholicCulture.org dell’8 ottobre 2020, preceduto da una nostra traduzione italiana. L’Editore di Catholic World News si domanda: “Per quanto tempo ancora cattolici ragionevoli possono sostenere che Papa Francesco sta semplicemente cercando di sviluppare – piuttosto che cambiare – gli insegnamenti della Chiesa cattolica?”. Inoltre, osserva che “tra 43.000 parole di sconcertante, speculativo, e irrilevante commentario- che anche il più determinato lettore deve chiedersi quale messaggio il Papa vuole davvero trasmettere”. Sostiene che nell’attuale pontificato “è diventato semplicemente impossibile far quadrare le dichiarazioni del Papa con quelle dei suoi predecessori” e ne offre “solo alcuni esempi degni di nota”: pena di morte, guerra giusta e proprietà privata. La nuova enciclica di Francesco ignora la precedente dottrina sociale, osserva Lawler: “Papa Leone XIII dice che il diritto alla proprietà privata è inviolabile; Papa Francesco dice che non è inviolabile – e inserisce l’affermazione falsa che il magistero non ha mai suggerito diversamente”. E poi: “Altri Pontefici hanno sottolineato l’importanza cruciale di matrimoni sani e famiglie forti come base per una società sana. Fratelli tutti non menziona mai il matrimonio, e quando compare la parola ‘famiglia’, è invariabilmente un riferimento all’intera famiglia umana, non al nucleo familiare. Mentre la mancata invocazione dei precedenti Pontefici è un difetto di Fratelli tutti, è solo un segno del vizio fatale dell’enciclica: l’assenza di una prospettiva tipicamente cattolica. La parola ‘nuovo’ appare due volte più spesso del nome ‘Gesù’. Si parla poco o nulla della preghiera, del Vangelo o dei sacramenti. Papa Francesco scrive molto sull’economia del mercato, molto poco sull’economia della salvezza”.
Lawler conclude che non a caso San Paolo “ha avuto molto più successo nell’evangelizzare i Corinzi che nei suoi precedenti sforzi ad Atene, dove ha tentato il tipo di dialogo di ampio respiro che Papa Francesco predilige. Gli Ateniesi dell’Areopago trovarono Paolo interessante, ma presto la loro attenzione venne meno. Fratelli tutti è destinato a un destino simile”.

3. Infine, c’è una postilla con un Tweet di @Pontifex, al limite dell’utopia, che è seguito da un brevissimo commento, di Franco Angeli.

1. Il commento di Marcello Veneziani

Francesco firma “Fratelli tutti” sulla tomba di San Francesco nella Cripta della Basilica Inferiore del Sacro Convento di Assisi, 3 ottobre 2020.

L’analisi di Marcello Veneziani [che segue] è lucida. E uno dei punti sostanziali è la difficoltà di accettare questo concetto di Padre, sostituendolo con l’orizzontalismo del Figlio-fratello. Sappiamo che tutto il concetto di nevrosi ruota attorno al principio di autorità. L’Edipo non è altro che il tentativo di sostituirsi al Padre. Il movimento sessantottino è vissuto di questo delirio. D’altronde la riscoperta della Nouvelle Theologie è coerente alla apertura al soggettivismo contemporaneo anti autoritario. E come non ricordare che anche la sconfitta dell’Arianesimo ad opera di Sant’Atanasio non fu altro che l’opporsi a questa visione di cesura tra il Padre e il Figlio.
La sofferenza di Gesù sulla Croce con quella invocazione al Padre non è rivendicazione di ruoli distinti. Il Mistero della Trinità ci chiarisce che non esiste nessuna dialettica polemica tra Padre e Figlio e la Resurrezione chiarirà definitivamente questo concetto. Esiste solo un richiamo raffinatissimo alla fragilità umana che si riconosce di fronte al Padre. Ma è un richiamo che vale per gli uomini, ma non scalfisce, non incide sulla dimensione trinitaria di Gesù.
Come si vede concetti assai complessi che dovevano risultare ostici ai barbari depositari della dottrina ariana. Ma ostici anche ai moderni arianesimi, intrisi di umano pragmatismo. A prima vista queste dottrine apparentemente libertarie abbagliano per un fascino tanto vacuo quanto inconsistente.
La Lettera enciclica “Fratelli tutti” di Francesco è tanto fuorviante quanto teologicamente eterodossa.

Franco Angeli

L’ideologia della fratellanza in Bergoglio
di Marcello Veneziani
La Verità, 6 ottobre 2020

“Fratelli tutti” è il manifesto ideologico del bergoglismo. Non c’è più teologia ma ideologia, seppur impregnata di moralismo. Ci sono i suoi temi e i suoi teoremi, e riguardano la cittadinanza universale, il popolo dei migranti e il dovere di accoglierli, il mondo senza muri e senza confini, l’ambiente da salvare. E ci sono i suoi nemici: il nazionalismo, il populismo e il liberismo. Il contagio è attribuito al degrado ambientale e al dissesto ecologico, che è certamente un male da denunciare e da curare, ma col Covid c’entra davvero poco. L’accusa di Francesco, in linea con la sua santa Chiara, Greta Thunberg, sottende un solo, grande colpevole: l’egoismo capitalistico e invece mai come in questo caso le responsabilità sono nelle mostruosità alimentari, negli incroci di mercato o di laboratorio, nella spregiudicatezza e nelle omertà di un paese sotto un regime comunista, la Cina. La parola comunismo è dimenticata da Bergoglio, anche se alcune sue eredità appaiono in lui, a cominciare dall’attacco alla proprietà privata. Ed è rimosso il pericolo cinese, una minaccia per la civiltà cristiana e per il mondo, ben più imponente e invasiva dei “nazionalismi” e dei “populismi”.

Ma partiamo dal cuore dell’Enciclica, il tema della fratellanza. Bergoglio si ripara sotto la tonaca di San Francesco, parla in suo nome e battezza la sua enciclica ad Assisi; ma la fratellanza a cui allude Papa Francesco è il terzo principio della Rivoluzione Francese, dopo libertè ed egalitè. È una tesi che sostengo da tempo e che ho ritrovato ieri anche in Massimo Cacciari in un’intervista su la Repubblica. Il Papa si richiama all’illuminismo nella versione rivoluzionaria e usa più volte la triade libertà, uguaglianza e fratellanza, ossia – parola di Cacciari – “il fulcro di quel pensiero laico storicamente opposto alla Chiesa”. L’ideologia di Bergoglio cerca un posto alla Chiesa postcristiana nella modernità laica in nome della fratellanza, col sottinteso che altri movimenti civili, politici e sindacali si siano occupati della libertà e dunque dei diritti civili, e dell’uguaglianza e dunque dei diritti sociali, ma sia rimasto invece trascurato il terzo principio, la fratellanza. E lui la riprende, inserendo la chiesa dentro il mondo moderno, ateo e laicista, disceso dalla Rivoluzione francese e cercando ispirazione anche da altre religioni come l’Islam (la fratellanza islamica ne è una conseguenza politica). Scrive: “mi sono sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmin Al Tayyeb”. Ma questa consonanza con l’imam sgomenta meno di tutto il resto.

Perché la sua fratellanza ha poco a che vedere con la fraternità francescana? Perché Francesco d’Assisi, mistico e innamorato di Dio, ama nell’uomo e nel creato il riflesso divino, la sua è una fratellanza nel Padre. Bergoglio invece, compie un percorso inverso, partito da Cristo arriva alla religione dell’umanità. Bergoglio rimuove la figura del Padre, converte interamente alla storia e all’umanità la figura del Figlio e vota la Chiesa alla fratellanza universale che il suo esegeta o il suo megafono di Civiltà Cattolica, il gesuita Padre Antonio Spadaro, traduce legittimamente in cittadinanza globale, senza confini. L’esperienza della vita ma anche della storia dimostra che ogni fratellanza priva di un Padre degenera in fratricidio o scema nella retorica: è stato il destino del giacobinismo come del comunismo, e di ogni altra frateria (un discorso a parte la massoneria, di cui il bergoglismo a volte pare la versione pop). È il Padre a garantire l’unità dei fratelli prima che il reciproco riconoscimento, è la Madre a soccorrerli prima che intervenga il diritto di cittadinanza; e dal Padre al figlio scorre il filo d’oro della Tradizione. Che Bergoglio spezza, omette, lascia nel dimenticatoio, ritenendo che il Cristianesimo possa ridursi a tre tappe essenziali: l’avvento di Cristo e dunque il cristianesimo delle origini, Francesco e la sua missione di fraternità, il Concilio Vaticano II e il cedimento al proprio tempo. E in mezzo millenni di oscurantismo, superstizione, sopraffazione o epoche che è meglio tenere nel buio, dimenticare, coi loro santi, papi, martiri e riti, simboli, liturgie.

Per lui “la legge suprema è l’amore fraterno”, per S. Francesco invece, l’amore supremo è Dio. La Fratellanza, separata da Dio, è la fraternité, è lo spirito comunardo. Ideologia umanitaria, laica, rivoluzionaria.

Bergoglio situa poi l’ideologia della sua Chiesa come terza via, nel mezzo tra due finti opposti: liberismo e populismo. Lo rimarca un altro suo esegeta e megafono, Andrea Riccardi, patron della Comunità di Sant’Egidio (“la terza via del papa tra liberismo e populismo”, Corsera). In realtà il sottinteso dell’ideologia bergogliana è l’esatto contrario: liberismo e populismo, capitalismo e nazionalismo non sono opposti ma per lui sono affini; anzi sono la stessa cosa. Da Trump in giù. E a questo proposito la scelta filocinese della Chiesa di Bergoglio conferma il pensiero di Del Noce sui catto-progressisti. Meglio la Cina atea e comunista che l’America cristiana e conservatrice. La Chiesa di Giovanni Paolo II, e di molti suoi predecessori, predicava davvero la terza via ma gli opposti da avversare erano il capitalismo individualistico e il comunismo liberticida ambedue nemici di Dio. E le nazioni, l’amor patrio, rientravano per quel papa a pieno titolo nel legame paterno e materno con la terra dei padri e la madrepatria.

Poi la sua attenzione privilegiata ai migranti, trascurando i restanti che sono miliardi e spesso sono più bisognosi e più poveri di chi ha le risorse per partire e non vogliono lasciare la loro terra, i loro cari, i loro vecchi.

Boutade. Con la scusa del contagio nella Chiesa di Bergoglio si scambieranno il segno della pace col pugno chiuso…

2. L’analisi di Phil Lawler

La nuova enciclica del Papa ignora il precedente insegnamento sociale
di Phil Lawler [1]
CatholicCulture.org, 8 ottobre 2020

Nostra traduzione italiana dall’inglese (segue testo originale]


Per quanto tempo ancora cattolici ragionevoli possono sostenere che Papa Francesco sta semplicemente cercando di sviluppare – piuttosto che cambiare – gli insegnamenti della Chiesa cattolica?

Con l’uscita di Fratelli tutti questa settimana abbiamo assistito a un modello di copertura mediatica che ora è familiare. Innanzitutto ci sono titoli che suggeriscono che il Papa abbia scritto qualcosa di nuovo e radicale. Poi l’analisi più sobria, sostenendo che questa nuova dichiarazione papale è in linea con le tradizioni cattoliche. Gli analisti che rilasciano tali rassicurazioni discutono sempre in salita, non solo perché i titoli dei media originali lasciano un’impressione duratura, ma perché lo stesso testo papale contiene tante prove del desiderio del Papa di promuovere il cambiamento.

Sì, in questa enciclica si può trovare solido insegnamento cattolico tradizionale. Ma ci sono anche passaggi preoccupanti in cui Papa Francesco sembra chiaramente ripudiare le dichiarazioni e gli scritti dei suoi predecessori. Inoltre, le dichiarazioni più significative sono galleggianti su un tale enorme mare di verbosità- tra 43.000 parole di sconcertante, speculativo, e irrilevante commentario- che anche il più determinato lettore deve chiedersi quale messaggio il Papa vuole davvero trasmettere.

Un’enciclica è, in teoria, una lettera del Romano Pontefice alle Chiese del mondo. Ma in Fratelli tutti, Papa Francesco si rivolge non solo ai suoi compagni cattolici, ma al mondo in generale. Quindi non può presumere che i suoi lettori abbiano familiarità con il genere dell’enciclica papale. Né fa nulla per ricordare ai lettori che questo documento è in alcun modo diverso da qualsiasi altro commento sugli affari mondiali. (Il fatto che la versione autorevole sia scritta in italiano, una lingua senza uno status speciale nel cattolicesimo, è solo un’indicazione stilistica del suo approccio.)

Questi problemi con la presentazione dell’enciclica – la sua lunghezza stessa, l’assenza di focalizzazione, la mancanza di un chiaro senso dell’uditorio – contribuiscono alle difficoltà di interpretazione. È una sfida anche per un esperto separare il metallo dalle scorie, e fin troppo facile per il lettore opportunista trovare una pepita che sembri supportare la sua ideologia preferita.

Per essere sinceri, gli stessi problemi di interpretazione sono diventati comuni nell’insegnamento magisteriale, risalendo almeno – e certamente includendo – i documenti del Vaticano II. Gli interpreti liberali trovano passaggi che sembrano supportare le loro opinioni, suggerendo che gli insegnamenti della Chiesa sono cambiati. I conservatori insistono sul fatto che questi passaggi devono essere compresi nel contesto più ampio della tradizione cattolica. Ma quando il contesto non è chiaro, e i passaggi chiave sono innegabilmente in contrasto con le precedenti dichiarazioni magisteriali, i fautori dell’“ermeneutica della continuità” sembrano combattere una battaglia di retroguardia senza speranza contro l’inevitabile.

Nell’attuale pontificato, sostengo, è diventato semplicemente impossibile far quadrare le dichiarazioni del Papa con quelle dei suoi predecessori. Questo problema è diventato acuto con il rilascio di Amoris laetitia; è aggravato in Fratelli tutti. Prendiamo solo alcuni esempi degni di nota:

Pena di morte. La mia copia del Catechismo, edizione 1994, afferma che “l’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto come fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di punire i malfattori mediante pene commisurate alla gravità del crimine, non escludendo, in casi di estrema gravità, la pena di morte”. Papa Giovanni Paolo II ha modificato quella sezione, per dire che i casi che giustificano la pena capitale “sono molto rari, se non praticamente inesistenti”. Ma quella formula prevedeva ancora la possibilità che l’esecuzione potrebbe essere garantita; non contraddiceva le precedenti autorevoli affermazioni che riconoscevano il diritto dello Stato di invocare la pena ultima. Ora Papa Francesco fa un ulteriore passo avanti, dicendo che l’esecuzione è “inammissibile” e chiedendo uno sforzo mondiale per abolire ciò che una volta la Chiesa cattolica aveva dichiarato giusto.

Così facendo il Papa non affronta gli argomenti tomisti a favore della giustizia retributiva, ma basa il suo appello esclusivamente sul dovere dello Stato di proteggere i cittadini dai criminali. Sostiene (n. 267) che “è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone”. (Nota che se riesci a immaginare circostanze che richiedono l’esecuzione per proteggere vite innocenti – e io certamente posso; non è vero? – allora l’argomento del Papa cade.)

Guerra giusta. Il Catechismo delinea anche le condizioni in cui una guerra limitata può essere moralmente giustificabile. Ma Papa Francesco – in una sezione sottotitolata “L’ingiustizia della guerra” – scrive (n. 258): non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”.

La maldestra formulazione “probabilmente sempre” rende difficile capire come il Pontefice possa emettere una condanna generalizzata di ogni azione militare. Una strategia attentamente limitata non potrebbe minimizzare i rischi che menziona? Papa Francesco pensa di no. “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato”, scrive (n. 261). Ma se ogni guerra è sempre ingiustificata, allora sembra che la Chiesa – che per secoli ha insegnato la giustizia in guerra – abbia cambiato il suo insegnamento.

Proprietà privata. In paragrafo 120 Papa Francesco scrive che “la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata”. È vero, la Chiesa non ha mai accettato che la proprietà privata implichi un diritto assoluto; la dottrina sociale cattolica è chiara sulla destinazione universale dei beni del mondo e sul “mutuo sociale” sulla proprietà. Ma Papa Leone XIII ha scritto nella Rerum novarum (n. 12): “Nell’opera di migliorare le sorti delle classi operaie, deve porsi come fondamento inconcusso il diritto di proprietà privata”.

Ecco una chiara contraddizione: Papa Leone afferma che il diritto alla proprietà privata è inviolabile; Papa Francesco dice che non è inviolabile – e getta nell’affermazione ovviamente falsa che il magistero non ha mai suggerito diversamente.

In Fratelli tutti, Papa Francesco mostra una chiara ostilità verso la proprietà privata, l’economia di mercato, e il capitalismo. A dire il vero, precedenti Pontefici hanno spesso commentato i limiti del mercato, insistendo sul fatto che una società sana richiede una base morale più forte di quella che una prospettiva strettamente economica può fornire. Ma Papa Francesco raramente invoca gli argomenti esposti dai Papi precedenti. (Più della metà delle citazioni in questa enciclica sono di suoi lavori precedenti [2]). Altri Pontefici hanno sottolineato l’importanza cruciale di matrimoni sani e famiglie forti come base per una società sana. Fratelli tutti non menziona mai il matrimonio, e quando compare la parola “famiglia”, è invariabilmente un riferimento all’intera famiglia umana, non al nucleo familiare.

Mentre la mancata invocazione dei precedenti Pontefici è un difetto di Fratelli tutti, è solo un segno del vizio fatale dell’enciclica: l’assenza di una prospettiva tipicamente cattolica. La parola “nuovo” appare due volte più spesso del nome “Gesù”. Si parla poco o nulla della preghiera, del Vangelo o dei sacramenti. Papa Francesco scrive molto sull’economia del mercato, molto poco sull’economia della salvezza.

E davvero, cosa ha la Chiesa cattolica per contribuire a una discussione sui problemi economici e sociali, a parte la saggezza contenuta nel Vangelo. San Paolo disse ai Corinzi che “ho deciso di non sapere nulla tra voi tranne Gesù Cristo e Lui crocifisso”. Non a caso, ha avuto molto più successo nell’evangelizzare i Corinzi che nei suoi precedenti sforzi ad Atene, dove ha tentato il tipo di dialogo di ampio respiro che Papa Francesco predilige. Gli Ateniesi dell’Areopago trovarono Paolo interessante, ma presto la loro attenzione venne meno. Fratelli tutti è destinato a un destino simile.

[1] Philip F. Lawler, autore e attivista, scrive su CatholicCulture.org di cui è il Direttore, Editore di Catholic World News, il primo servizio di notizie cattoliche in lingua inglese operante su Internet, da lui fondato nel 1995. CWN fornisce notizie quotidiane sulla cultura cattolica sito, dove offre regolarmente anche analisi e commenti.
Nato e cresciuto nell’area di Boston, Phil ha frequentato l’Harvard College e si è laureato in filosofia politica presso l’Università di Chicago prima di intraprendere una carriera nel giornalismo. In precedenza è stato Direttore degli studi per la Heritage Foundation, Editore della rivista Crisis e Editore della rivista mensile internazionale Catholic World Report.
È l’autore o l’editore di dieci libri su argomenti politici e religiosi. I suoi saggi, recensioni di libri e colonne editoriali sono apparsi su oltre 100 giornali negli Stati Uniti e all’estero.
Sposato dal 1979 con Leila Marie Lawler (che cura un popolare blog per giovani madri, Like Mother, Like Daughter). Padre di 7 figli, nonno di 9.
Residente nel Massachusetts, attivo negli affari civici locali. Un attivista pro-vita e veterano di molte campagne politiche, era candidato per il Senato degli Stati Uniti nel 2000, correndo contro il Senatore Ted Kennedy.
Apicoltore, tennista, amante della musica, sciatore di fondo, fan dei Red Sox.
Phil Lawler è su Twitter.

[2] “I just finished tabulating Fratelli Tutti, and we have a new record for papal self-citations: 60%!” [Ho appena finito di tabulare Fratelli tutti, e abbiamo un nuovo record di autocitazioni papali: 60%!] (Sharon Kabel – Twitter, 4 ottobre 2020). Auto-citarsi il 60% delle volte è certamente un primato da Guinness World Records. Anche se, ovviamente è comprensibile, visto che diversi altri hanno scritto la Lettera enciclica che il Papa ha firmato ieri. Ne ha parlato anche Mons. Ics su Stilum Curiae (Santità, ma non le sembra di autocitarsi troppo)?

3. La Postilla

3.1. Una visione sessantottina

Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli! #FratelliTutti” (Francesco @Pontifex_it – Twitter, 6 ottobre 2020).

Parole certamente suggestive alla ricerca di quello spirito di giustizia che tutti i regimi mostruosi del ‘900 hanno posto in essere. Dando ai soprusi delle gerarchie bolsceviche o naziste quella legittimazione che ha oscurato la verità. L’utopia di una fratellanza senza conflitti, mai realizzata, è possibile solo nel rispetto e nella obbedienza a una autorità superiore, il Dio Cristiano, che ci obbliga ogni giorno ad una introspezione critica. La visione bergogliana ripropone le orge sessantottine culminate nell’autoritarismo di quei ragazzi, poi cresciuti colmi di ricchezze materiali e di frasi vuote. In una parola il caos attuale del relativismo.

Franco Angeli

3.2. La cattedra di Pietro
Per il ricollocare il ministero petrino nella sua verità

7 maggio 2005 – Solenne presa di possesso di San Giovanni in Laterano.

“Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile. Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire. Per questo occorre un mandato più grande, che non può scaturire dalle sole capacità umane. Per questo occorre la voce della Chiesa viva, di quella Chiesa affidata a Pietro e al collegio degli apostoli fino alla fine dei tempi.Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. Lo fece Papa Giovanni Paolo II, quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabile l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù. Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode” (dall’Omelia di Sua Santità Benedetto XVI nella Celebrazione Eucaristica e insediamento sulla Cathedra romana del Vescovo di Roma Benedetto XVI, Basilica di San Giovanni in Laterano, sabato 7 maggio 2005).

Testo integrale originale in italiano (con link per le traduzioni in tedesco, inglese, spagnolo, portogese e francese): QUI.

* * *

Pope’s new encyclical ignores previous social teaching
by Phil Lawler
Catholicculture.org, 8 October 2020

How much longer can sensible Catholics maintain that Pope Francis is merely trying to develop— rather than to change— the teachings of the Catholic Church?
With the release of Fratelli Tutti this week we have seen a pattern of media coverage that is now familiar. First there are headlines suggesting that the Pope has written something new and radical. Then the more sober analysis, arguing that this new papal statement is in line with Catholic traditions. The analysts who issue such reassurances are always arguing uphill— not only because the original media headlines leave a lasting impression, but because the papal text itself contains so much evidence of the Pope’s wish to promote change.
Yes, there is solid, traditional Catholic teaching to be found in this encyclical. But there are also troubling passages in which Pope Francis appears clearly to be repudiating the statements and writings of his predecessors. Moreover, the most significant statements are floating on such an enormous sea of verbiage— amid 43,000 words of puzzling, speculative, and irrelevant commentary— that even the most determined reader must wonder what message the Pope really does want to convey.
An encyclical is, in theory, a letter from the Roman Pontiff to the churches of the world. But in Fratelli Tutti, Pope Francis is addressing not only his fellow Catholics but the world at large. So he cannot assume that his readers will be familiar with the genre of the papal encyclical. Nor does he do anything to remind readers that this document is in any way different from any other commentary on world affairs. (The fact that the authoritative version is written in Italian, a language with no special status in Catholicism, is just one stylistic indication of his approach.)
These problems with the presentation of the encyclical— its sheer length, the absence of focus, the lack of a clear sense of audience— contribute to the difficulties of interpretation. It is a challenge for even an expert to separate the metal from the dross, and all too easy for the opportunistic reader to find some nugget that seems to support his own favored ideology.
To be candid, the same problems of interpretation have become common in magisterial teaching, stretching back at least to— and certainly including— the documents of Vatican II. Liberal interpreters find passages that seem to support their views, suggesting that Church teachings have changed. Conservatives insist that these passages must be understood in the larger context of Catholic tradition. But when the context is unclear, and the key passages are undeniably at odds with previous magisterial statements, proponents of the “hermeneutic of continuity” seem to be fighting a hopeless rear-guard battle against the inevitable.
In the current pontificate, I submit, it has become simply impossible to square the Pope’s statements with those of his predecessors. This problem became acute with the release of Amoris Laetitia; it is exacerbated in Fratelli Tutti. Take just a few noteworthy examples:
The death penalty. My copy of the Catechism, the 1994 edition, says that “the traditional teaching of the Church has acknowledged as well-founded the right and duty of legitimate public authority to punish malefactors by means of penalties commensurate with the gravity of the crime, not excluding, in cases of extreme gravity, the death penalty.” Pope John Paul II amended that section, to say that cases justifying capital punishment “are very rare, if not practically non-existent.” But that formula still allowed for the possibility that execution could be warranted; it did not contradict the prior authoritative statements that acknowledged the state’s right to invoke the ultimate penalty. Now Pope Francis takes a step further, saying that execution is “inadmissible,” and calling for a worldwide effort to abolish what the Catholic Church once declared just.
In doing so the Pope does not address the Thomistic arguments for retributive justice, but bases his appeal exclusively on the state’s duty to protect citizens from criminals. He argues (#267) that “it is impossible to imagine that states today have no other means than capital punishment to protect the lives of other people from the unjust aggressor.” (Notice that if you can imagine circumstances that require execution to protect innocent lives— and I certainly can; can’t you?— then the Pope’s argument falls.)
Just war. The Catechism also outlines the conditions under which limited warfare may be morally justifiable. But Pope Francis— in a section subtitled “The injustice of war”— writes (#258):
We can no longer think of war as a solution, because its risks will probably always be greater than its supposed benefits. In view of this, it is very difficult nowadays to invoke the rational criteria elaborated in earlier centuries to speak of the possibility of a “just war.”
The awkward formulation “probably always” makes it difficult to understand how the Pontiff could issue a blanket condemnation of all military action. Couldn’t a carefully limited strategy minimize the risks that he mentions? Pope Francis thinks not. “Every war leaves our world worse than it was before,” he writes (261). But if every war is always unjustified, then it seems the Church— which for centuries taught of justice in warfare— has changed her teaching.
Private property. In paragraph 120, Pope Francis writes that “the Christian tradition has never recognized the right to private property as absolute or inviolable, and has stressed the social purpose of all forms of private property.” True, the Church has never agreed that private property involves an absolute right; Catholic social teaching is clear on the universal destination of the world’s goods and the “social mortgage” on property. But Pope Leo XIII wrote in Rerum Novarum (n. 15): “The first and most fundamental principle, therefore, if one would undertake to alleviate the condition of the masses, must be the inviolability of private property.”
Here is a flat contradiction: Pope Leo says the right to private property is inviolable; Pope Francis says it is not inviolable— and tosses in the obviously false claim that the magisterium has never suggested otherwise.
Throughout Fratelli Tutti, Pope Francis shows a clear hostility toward private property, the market economy, and capitalism. To be sure, previous Pontiffs have frequently commented on the limitations of the marketplace, insisting that a healthy society requires a stronger moral base than a strictly economic outlook can provide. But Pope Francis rarely invokes the arguments set forth by previous Popes. (More than half of the citations in this encyclical are of his own previous works.) Other Pontiffs stressed the crucial importance of healthy marriages and strong families as forming the basis for a healthy society. Fratelli Tutti never mentions marriage, and when the word “family” appears, it is invariably a reference to the whole human family, not the nuclear family.
While the failure to invoke previous Pontiffs is a defect in Fratelli Tutti, it is just one sign of the encyclical’s fatal flaw: the absence of any distinctively Catholic perspective. The word “new” appears twice as often as the name “Jesus.” There is little or no mention of prayer, the Gospel, or the sacraments. Pope Francis writes a great deal about the economy of the marketplace, very little about the economy of salvation.
And really, what does the Catholic Church have to contribute to a discussion of economic and social problems, apart from the wisdom contained in the Gospel. St. Paul told the Corinthians that “I decided to know nothing among you except Jesus Christ and Him crucified.” Not coincidentally, he was far more successful in evangelizing the Corinthians than in his previous efforts in Athens, where he tried the sort of broad-based dialogue that Pope Francis favors. The Athenians at the Areopagus found Paul interesting, but their attention soon wandered. Fratelli Tutti is destined for a similar fate.

Foto di copertina: Francesco, Visita Apostolica nella Repubblica di Corea Sud (13 al 18 agosto 2014), Santa Messa Conclusiva per la VI Giornata della Gioventù Asiatica (nella diocesi di Daejeon), 17 agosto 2014, Castello di Haemi Castle, Seosan-si, Chungcheongnam-do (Foto di Jeon Han/Korea.net/Korean Culture and Information Service).

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