Il Concilio “sine glossa” per ripopolare il deserto

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“I Padri conciliari- ha detto nella omelia- volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità.”

Ecco, la messa sembra non essere più  una cosa essenziale. Certo la mattina di un giorno feriale non è facile radunare una grande folla. Si lavora, si studia. Ma penso proprio agli studenti, quelli delle scuole cattoliche, perchè non lasciare i banchi per un giorno con professori e religiosi ed essere tutti in piazza con il Papa per ricordare che la fede è la roccia su cui si basa ogni verità?

Certo il deserto spirituale di cui parla il Papa si è diffuso non solo nel mondo secolarizzato, ma fino a dentro le parrocchie e i movimenti, che pure tanto offrono ai credenti e non credenti. Sembra essersi diffusa soprattutto l’idea che la celebrazione dell’ Eucaristia non è centro e cuore della vita di fede, della vita in assoluto.  Che a messa si va quasi di nascosto per proprio conto, che forse sono altri i momenti di aggregazione per un cattolico, i momenti in cui si dice al mondo: io credo.

Il Concilio è ancora tutto da scoprire per le generazioni che non lo hanno vissuto, ma anche per molti che lo hanno respirato come un soffio. Racconta Papa Benedetto XVI che il Concilio “fu un momento di straordinaria attesa. Grandi cose dovevano accadere. I concili precedenti erano stati quasi sempre convocati per una questione concreta alla quale dovevano rispondere. Questa volta non c’era un problema particolare da risolvere. Ma proprio per questo aleggiava nell’aria un senso di attesa generale: il cristianesimo, che aveva costruito e plasmato il mondo occidentale, sembrava perdere sempre più la sua forza efficace. Appariva essere diventato stanco e sembrava che il futuro venisse determinato da altri poteri spirituali.”

Il testo è stato scritto dal Papa come introduzione al volume che  l’editore tedesco Herder pubblica a novembre con gli scritti conciliari di Joseph Ratzinger, Zur Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils. Due volumi curati dall’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Scrive Benedetto XVI: “la percezione di questa perdita del presente da parte del cristianesimo e del compito che ne conseguiva era ben riassunto dalla parola “aggiornamento”. Il cristianesimo deve stare nel presente per potere dare forma al futuro. Affinché potesse tornare a essere una forza che modella il domani, Giovanni XXIII aveva convocato il concilio senza indicargli problemi concreti o programmi. Fu questa la grandezza e al tempo stesso la difficoltà del compito che si presentava all’assemblea ecclesiale.”

Una difficoltà che sembra ancora più grande oggi perché sembra sia andato perso il depositum fidei che però il Concilio non ha mai messo al centro della discussione. Questo è forse il più grande equivoco del periodo post conciliare. Cambiare il metodo non significava cambiare il contenuto. Invece alla fine si è fatto il contrario: si è cercato di “modificare” i principi e, in fondo, non si è cambiato metodo. Il clericalismo ha preso a volte la forma di terzomondismo o di tradizionalismo,  a scapito della Fede.

Anche per questo forse oggi i cattolici stanno dimenticando che al centro della vita della fede ci sono i sacramenti e non le assemblee, i convegni, i campi scuola.

La ricetta l’ha data per decenni Giovanni Paolo II che ha portato il Vangelo in ogni viaggio nel mondo, ma che forse è stato grandemente frainteso, e la ripropone oggi Benedetto XVI che invita tutti a rileggere i documenti del Concilio “sine glossa”.

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