Il Vaticano rompe con gli Usa e apre al comunismo cinese: scelta libertaria o liberticida?

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Sono lontani i tempi in cui San Giovanni Paolo II saliva in cattedra in nome della lotta al comunismo. Lo sono altrettanto quelli di Benedetto XVI che a spada tratta difendeva i valori cristiani dell’Europa e in generale delle conquiste di libertà dell’occidentali.

Tutto cambiato: lo è l’agenda politica vaticana, i ruoli di rilievo d’Oltretevere e lo è l’approccio alle questioni legate ai rapporti tra Chiesa e società civile.

Una frattura netta, anni luce distante dai precedenti Pontefici. Basti pensare ai rapporti con gli Stati Uniti, incrinati per non dispiacere al regime comunista cinese.

Lo ha capito Mike Pompeo, segretario di Stato Usa, che in visita a Roma ha ricevuto un bel due di picche da Papa Francesco, il quale non ha neanche partecipato al Convegno sulla libertà religiosa organizzato dall’Ambasciata statunitense in Vaticano.

Lo ha capito il povero cardinale cinese Joseph Zen, anche lui rifiutato in udienza ma che tanto avrebbe da dire sull’accordo top secret che la Santa Sede ha siglato con Pechino per la nomina dei vescovi.

Un accordo che a detta anche di vescovi e cardinali locali, equivale a una resa incondizionata al regime totalitario cinese. Come dire, cancellare con un colpo di spugna i martiri cristiani cinesi che hanno sacrificato la vita a seguito delle barbariche persecuzioni del comunismo.

Non si capiscono neanche le motivazioni ufficiali per il mancato incontro con il governo americano. Secondo mons. Richard Gallagher, responsabile dei rapporti con gli Stati della Santa Sede, alla base del rifiuto da parte di Bergoglio ci sarebbe la volontà di non inficiare la competizione elettorale in Usa.

Una competizione che però non è stata inficiata quattro anni fa, quando proprio a ridosso delle presidenziali, il Pontefice regnate ha espressamente bocciato la provocatoria proposta di Trump di stoppare l’immigrazione irregolare dal Messico verso gli Usa?

Perché non incontrare Pompeo o il card. Zen e ricevere in pompa magna i rappresentanti della comunità Lgbt, festeggiare in tranquillità nei giardini vaticani la statuetta Pachamana, sinonimo di quel sincretismo religioso che adesso va tanto di moda tra le sacre mura pontificie.

Uno scivolone diplomatico che poteva essere evitato, perché destabilizza ancora di più i rapporti con l’occidente, per non dispiacere all’estremo oriente comunista.

Anche il polverone sollevato dallo scandalo Becciu e le finanze allegre. Alla fine c’è da chiedersi: all’indomani della sua elezione al soglio petrino, Francesco ha voluto circondarsi di uomini a lui devoti, di fiducia.

Ha scelto in modo capillare coloro i quali dovevano riformare la Chiesa dopo gli scandali del recente passato.

Se la memoria non fa brutti scherzi, l’ormai ex cardinale Giovanni Angelo Becciu è stato fortemente voluto da Bergoglio, così come Libero Milone.

Non dobbiamo nasconderci dietro un dito: erano uomini messi da lui ai vertici, come lo è mons. Gustavo Zanchetta, a capo dell’Apsa, l’Istituto che secondo la volontà pontificia dovrebbe centralizzare le finanze vaticane.

Come retorica impone, è scattala la caccia al colpevole, privato del cardinalato e di chissà cosa. Per coerenza non dovrebbe essere l’unico. D’altronde in ballo c’è una reputazione da difendere dinanzi a fedeli e non.

Oggi si tratta del destino delle elemosine in favore delle opere di carità del Papa, domani di cosa? Nel frattempo la Chiesa di Cristo è dinanzi a una nuova Caporetto.

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