L’etica giornalistica dimenticata anche nel processo vaticano

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Il primo problema che abbiamo dovuto affrontare come giornalisti permanentemente accreditati presso la Santa Sede è stato che solo otto alla volta potevano seguire le udienze. E si è vista in questo caso la prepotenza dei media ricchi e potenti, insomma delle lobbies informative. Hanno preteso un posto fisso per tutta la durata del processo. Così quattro posti sono stati occupati. Gli altri quattro sono stati sorteggiati di volta in volta. Sempre meglio di niente. Ma è ovvio che il resoconto complessivo è stato “condizionato” dal volere dei “grandi”. Per chi non fa il giornalista è difficile capire cosa significa un pool. Non è un premio, ma un servizio, non dovrebbe partecipare chi ha più lettori, ma chi è più adatto al compito in quella determinata occasione, o altrimenti meglio lasciare tutto al caso con un sorteggio. Come gestire un pool è comunque un fatto interno tra i giornalisti. Invece per giorni e giorni se ne è parlato come se il Vaticano avesse imposto delle condizioni. Non è stato così. Ma la mania dello scoop e dello scandalo ormai imperversa.

Una volta deciso, grazie ad ampie consultazioni, che l’arroganza si combatte solo con la democrazia, si è trovato un accordo sulle “regole del pool” tra i giornalisti dell’ Aigav (Associazione internazionale giornalisti accreditati in Vaticano) in pratica coloro che sono accreditati permanentemente. Ma nei giorni delle udienze molti sono arrivati, giustamente, da fuori per seguire i resoconti degli otto colleghi che erano stati in aula. Tutti sono stati informati delle regole, del patto ad esempio per cui nessuno pubblicava nulla fino a 15 minuti dopo la fine del briefing. Lo hanno rispettato tutti. Eccetto l’inviato del Fatto Quotidiano Carlo Tecce. Arrivato in Sala Stampa per un giorno o due ha pensato bene di non rispettare nessun collega pur di fare lo “scoop”. Cioè dare notizie un attimo prima degli altri. Durante il briefing, mentre tutti i colleghi erano in silenzio in attesa della fine dell’embargo, qualcuno twittava notizie. C’è poi stato Aldo Maria Valli del TG1 e Enzo Romeo del TG2 che sono andati in onda rompendo l’embargo più attenti ai desiderata dei direttori che al rispetto dei colleghi. E infine Al Jazeera in inglese, che tra l’altro non ha una presenza in Sala Stampa Vaticana e quindi deve essere stata informata da altri, che sabato 6 ottobre ha “rubato” quanche minuto per arrivare prima. Mentre tutti gli altri attendevano la scadenza dell’embargo. Una gravissima mancanza di rispetto dei colleghi, anche abbastanza inutile, visto che nel giro di poco tutto sarebbe stato pubblico. Questo non solo non è giornalismo, non è professionale, non è etico, ma non è nemmeno il minimo della educazione richiesta dal patto sociale. Pacta sunt servanda dicevano i latini. Altrimenti si torna all’ homo homini lupus, si scende nel bestiale. E questa “bestialità” dovrebbe garantirci una informazione migliore? Libera? Oggettiva? Come può il pubblico dei lettori fidarsi di chi agisce in questo modo, tradendo la fiducia altrui? Non è questo in fondo il problema alla base del caso Gabriele? Davvero tradire non è un comportamento da condannare?

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