Samaritanus Bonus: la vita è unica

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“Il Buon Samaritano che lascia il suo cammino per soccorrere l’uomo ammalato è l’immagine di Gesù Cristo che incontra l’uomo bisognoso di salvezza e si prende cura delle sue ferite e del suo dolore con ‘l’olio della consolazione e il vino della speranza’. Egli è il medico delle anime e dei corpi e ‘il testimone fedele’ della presenza salvifica di Dio nel mondo. Ma come rendere oggi questo messaggio concreto? Come tradurlo in una capacità di accompagnamento della persona malata nelle fasi terminali della vita in modo da assisterla rispettando e promuovendo sempre la sua inalienabile dignità umana, la sua chiamata alla santità e, dunque, il valore supremo della sua stessa esistenza?”.

Con tali interrogativi inizia il documento ‘Samaritanus Bonus’ della Congregazione per la Dottrina della Fede, presentata nella sala stampa vaticana, dedicata alla ‘cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita’ alla presenza del card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; mons. Giacomo Morandi, segretario della Congregazione; la prof.ssa Gabriella Gambino, Sotto-Segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita; e il prof. Adriano Pessina, membro del direttivo della Pontificia Accademia per la Vita.

Nell’esordio il card. Ferrer ha spiegato l’origine del documento: “Sono stati scelti il genere letterario della Lettera e la data del 14 luglio 2020, memoria liturgica di san Camillo de Lellis (1550-1614). Nel XVI secolo (epoca in cui è vissuto il nostro Santo) gli incurabili venivano per lo più consegnati a mercenari; alcuni di essi, delinquenti, venivano costretti a quel lavoro con la forza; altri si rassegnavano a quest’opera, per non aver avuto diversa possibilità di guadagno. Camillo volle ‘uomini nuovi per una assistenza nuova’. E un pensiero fisso lo aveva afferrato: sostituire i mercenari con persone disposte a stare con i malati solo per amore”.

Ed ha concluso ribadendo che la Chiesa difende sempre la dignità della vita: “La testimonianza cristiana mostra come la speranza sia sempre possibile, anche quando la vita è avvolta e appesantita dalla ‘cultura dello scarto’. E siamo tutti chiamati ad offrire il nostro specifico contributo, perché ad essere in gioco sono la dignità della vita umana e la dignità della vocazione medica”.

La prof.ssa Gambino ha sottolineato tre aspetti della lettera, come quello della vulnerabilità del corpo: “Il malato, in particolare, è colui che vive una condizione di sofferenza e bisogno, nella quale la scissione fra corpo e anima esige, nella relazione di cura, la ricomposizione dell’integrità della persona. Nella malattia, il paziente ha un disperato bisogno di aiuto nel cogliere e assumere su di sé il senso di quella indicibile sofferenza, superando la mera ragione umana e i sentimenti, in una prospettiva capace di raccogliere tutta la dimensione spirituale e trascendente della persona”.

Quindi il ‘prendersi della cura’ significa aver cura della persona: “E’ l’avere cura, infatti, che sottende l’incontro dell’Io col Tu, richiamando l’uomo da quella condizione di insignificanza ed ansietà in cui lo getta la malattia, aiutandolo a ritrovare unità di corpo e spirito. Un aspetto, questo, carico di implicazioni pastorali e bioetiche, che dovrebbe indurci a modificare il modo con cui in tanti contesti di cura si prendono in carico i malati critici e terminali”.

Perciò la cura significa è questione di mentalità: “In tal senso, ciò che la ‘Samaritanus bonus’ intende ribadire con forza è che nella relazione di cura, il modello contrattualista va sostituito con un modello costruito sul principio di vulnerabilità, nel quale chi ha cura del malato agisce in virtù di una responsabilità che, a partire dalla propria condizione originaria di vulnerabilità, prende coscienza del suo dover aver cura dell’altro che soffre. Segnando così l’orizzonte etico in cui la responsabilità orienta l’agire umano: l’attenzione, cioè, a non scavalcare mai il limite della protezione della vita umana. L’avere cura della vita non si fonda, dunque, su un teorico rispetto di principi, che possono oscillare a seconda delle circostanze, ma sull’interdipendenza tra gli esseri umani, sul nostro essere-come-l’altro e con-l’altro nella fragilità. Per questo non può mai venir meno”.

E qui vale il principio della ‘prevenzione’: “L’aborto selettivo ed eugenetico è gravemente illecito, così come, dopo la nascita, la sospensione o la non attivazione di cure al bambino solo per la possibilità o il timore che sviluppi delle disabilità. Al bambino, prima e dopo la nascita, spetta la medesima continuità assistenziale e di cura degli adulti, che oggi si può attuare negli Hospice perinatali.

Il secondo principio è quello del ‘miglior interesse del minore’: in nessun modo esso può essere utilizzato per decidere di abbreviare la vita di un bambino al fine di evitargli delle sofferenze con azioni od omissioni che possano configurarsi come eutanasiche. Piuttosto, esso comporta che siano sempre garantite le cure essenziali di sostegno vitale finché l’organismo è in grado di beneficiarne, adottando tutte le misure necessarie perché siano somministrate in maniera personalizzata, dolce, indolore e proporzionata, ossia nel suo vero interesse”.

Il prof. Adriano Pessina ha evidenziato le problematiche sollevate dalla Lettera in rapporto alle istanze dell’antropologia: “E questa Lettera, dunque, ci ricorda che non ci sono vite indegne di essere vissute e che se non c’è nulla di amabile nella malattia, nella sofferenza e nella morte, che vanno per questo affrontate e combattute, è altrettanto vero che è proprio l’uomo, malgrado le sue limitazioni, fragilità, fatiche, che è sempre degno di essere amato.

Occorre, perciò, tornare a ‘vedere’ e custodire il valore dell’essere umano nella sua concretezza esistenziale, unica e irripetibile. Il Buon Samaritano è, allora, una figura teologica e antropologica capace di ripristinare uno sguardo umano”.

La lettera è in fondo un invito a guardare la vita: “E’ lo sguardo consapevole di chi non confonde il concetto di inguaribile con il concetto di incurabile. Lo sguardo di chi non usa del criterio della ‘qualità’ per abbandonare la persona alla sua disperazione sapendo riconoscere, invece, una qualità intrinseca all’uomo stesso: quella ‘qualità’ che in termini laici si chiama dignità della vita umana e in termini cristiani sacralità della vita umana”.

La conclusione del prof. Pessina è l’invito della Chiesa a stare sotto la Croce: “In questa prospettiva valoriale, la lettera ‘Samaritanus Bonus’, che non è un semplice trattato o un protocollo, si presenta come un invito preciso all’uomo contemporaneo: l’esortazione a stare accanto alle persone, a farsi prossimi nelle ore della Croce”.

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