Chiesa Cattolica “emergente” in Argentina. Una ONG senza Gesù Cristo?

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Condivido un articolo sulla Chiesa Cattolica Romana in Argentina, che il Professore di filosofia José Arturo Quarracino ha scritto per il sito di notizie cattoliche messicano “Agencia Católica de Noticias”. Segue il testo originale in spagnolo, preceduto dalla traduzione italiana a cura di Marco Tosatti per “Stilum Curiae”.

L’articolo fa riferimento ad un’intervista rilasciata dal’Arcivescovo Victor Manuel Fernández, che nel “cerchio magico” degli intimi di Papa Francesco è sicuramente il numero uno. Fernández, come ha dimostrato Sandro Magister, è l’autore ombra della controversa dell’esortazione postsinodale “Amoris laetitia”.
Víctor Manuel Fernández (Alcira Gigena, 18 luglio 1962), soprannominato “Tucho” Fernández, teologo, biblista, scrittore, poeta, docente universitario in vari centri di Buenos Aires e Córdoba di etica, psicologia, ermeneutica, antropologia, esegesi biblica, Nuovo Testamento, omiletica e teologia spirituale. È stato Rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina-UCA dal 2009 al 2018. Il 13 maggio 2013 Papa Francesco lo ha nominato Arcivescovo titolare di Tiburnia e il 2 giugno 2018 lo ha promosso Arcivescovo metropolita di La Plata.

Chiesa Cattolica in Argentina: Una ONG senza Gesù Cristo?
di José Arturo Quarracino
Agencia Católica de Noticias, 31 agosto 2020

Secondo uno dei vescovi più eminenti dell’Argentina, che è molto vicino a Papa Francesco, la celebrazione domenicale del mistero pasquale non è la cosa fondamentale nella Chiesa. Mai un vescovo cattolico ha dubitato o negato la risurrezione di Gesù Cristo e la sua commemorazione liturgica come fonte e scopo della vita della Chiesa.
Negli ultimi mesi molti osservano con preoccupazione il cammino intrapreso dalla gerarchia cattolica in Argentina, che si sta mostrando sempre più evidente, più che come pastori del corpo vivo di Gesù Cristo, come funzionari di un’istituzione “non governativa”, come società caritatevole o come club di amici, in un modo che è in sintonia con i tempi politici progressisti che oggi travolgono la comunità argentina.
Con la scusa della “misericordia” e della “cultura dell’incontro”, questa gerarchia promuove incontri, conferenze e dialoghi tra persone che spesso esprimono concetti antagonisti e inconciliabili, con risultati inconcludenti e sterili. Se Gesù Cristo ha resistito alle tentazioni del diavolo nel deserto all’inizio della sua vita pubblica, senza l’intenzione di impegnarsi in un dialogo amichevole, sembrerebbe che questi prelati pretendano di essere più saggi di lui, poiché si impegnano a dialogare con coloro che occupano posizioni contrarie alla fede, alla tradizione e alla dottrina cristiana. Alcuni hanno già cominciato a prendere provvedimenti per concedere una “carta di cittadinanza ecclesiale” a persone che si comportano in modo contrario ai precetti evangelici, mostrando comportamenti che l’apostolo Paolo condanna (omosessualità, travestitismo, ecc.), il che non impedisce loro di partecipare attivamente alle celebrazioni liturgiche rivendicando la loro eterodossia anticristiana.
Inoltre, hanno anche celebrato messe insieme a sostenitori pubblici e promotori dell’aborto e successivamente si sono fatti fotografare con loro, senza fare la minima allusione all’argomento, né in pubblico né in privato. È quanto è accaduto la vigilia di Natale dello scorso dicembre, quando il presidente argentino si è recato nella chiesa di San Cayetano, nella città di Buenos Aires, per partecipare alla celebrazione officiata da uno dei vescovi ausiliari dell’arcidiocesi, monsignor Gustavo Carrera. Giorni dopo, il presidente ha ribadito la sua posizione a favore della legalizzazione dell’aborto, senza che il cardinale Mario Poli – titolare dell’arcidiocesi – e il vescovo ausiliare si siano manifestati per rispondere, avallando così la posizione presidenziale abortista.
In aprile, un gruppo di sacerdoti che lavorano nei quartieri e nelle città povere della città di Buenos Aires e dei comuni limitrofi si è incontrato con il presidente Fernández, e al termine dell’incontro hanno recitato con lui il Padre Nostro davanti alle telecamere, approvando anche di fatto la legalizzazione dell’aborto che egli intende promuovere istituzionalmente.
Insomma, il massimo che i dirigenti della Chiesa e i sacerdoti come quelli citati fanno è esprimere “ciò che la Chiesa pensa”, senza discutere o polemizzare, semplicemente facendo conoscere la “loro” posizione “religiosa”, e niente di più. Invece di trasmettere il messaggio salvifico e redentore di Gesù Cristo, le autorità ecclesiastiche gestiscono una Chiesa autoreferenziale, che parla di sé e occasionalmente allude al suo Signore. Sembra che si preoccupino più della “cultura dell’incontro” che della predicazione del messaggio del Risorto. Parlano di una “Chiesa in cammino verso il mondo” ma con un “divieto di proselitismo”, cioè, invece di predicare e convincere, sostengono che ciò che i credenti dovrebbero fare è “mostrare la bellezza della vita cristiana”… perché, se non per convincere? Se il mandato di Gesù Cristo, Signore della Chiesa e del mondo, è quello di “andare ad annunciare il Vangelo” e “battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, i servi del Signore nel XXI secolo stanno facendo ammenda e ponendosi come obiettivo “l’incontro con l’altro”. Come se Gesù Cristo venisse da un’altra epoca e avesse bisogno di essere aggiornato.
Un esempio chiaro e convincente di questa Chiesa autoreferenziale è quello dell’Arcivescovo di La Plata, Monsignor Victor Manuel Fernández, in un’intervista concessa a un media digitale spagnolo alla fine di aprile di quest’anno.
In quell’intervista, l’Arcivescovo di La Plata ha pronunciato 1.155 parole, in cui non ha fatto un solo accenno a Nostro Signore Gesù Cristo. Colpisce che un vescovo, come successore degli apostoli, non menzioni affatto il Capo della Chiesa. Ma se non ha parlato di Gesù Cristo, di cosa ha parlato l’arcivescovo? In primo luogo, di ciò che la Chiesa fa sul piano dell’assistenza sociale ai tempi del coronavirus, della collaborazione con lo Stato, della partecipazione ecclesiastica alle azioni della società civile, con “il messaggio di una presenza discreta, umile e allo stesso tempo collaborativa e generosa”, cioè parlava della Chiesa stessa, non del suo capo e fondatore.
In secondo luogo, ha parlato di “dialogo con le nuove esigenze spirituali delle persone”, cercando “un linguaggio esistenziale che risponda meglio alle nuove sensibilità”, e poi dell’”aspetto incarnativo della spiritualità cattolica”. Cioè, non ha parlato dell’Incarnazione, di Dio fatto uomo in Gesù Cristo, ma dell’aspetto corporeo della spiritualità.
In terzo luogo, ha parlato della “perdita di interesse per i riti funebri” e della celebrazione della Messa attraverso Internet, con i rischi e i limiti che ciò rappresenta, impedendo “la vicinanza sensibile, la presenza fisica”.
In quarto luogo, ha menzionato la sfida che la “Chiesa di Francesco” deve affrontare per “dare potere ai laici”, “distribuendo il potere attraverso nuovi ministeri e funzioni laiche “dotate di autorità”” (sic). Colpisce molto che i sostenitori della “Chiesa emergente” pensino che la sfida per la Chiesa di Gesù Cristo sia quella di “responsabilizzare i laici” da parte della gerarchia sacerdotale. Sembra che il vescovo Fernández dimentichi che la missione dei laici non è quella di occupare spazi di potere all’interno dell’istituzione ecclesiale, ma di portare Gesù Cristo e il suo messaggio al mondo. Sembra che il prelato che è così vicino al Papa dimentichi che i laici hanno già un potere nella Chiesa, concesso dal loro stesso Signore, non per il loro esercizio ad intra ma ad extra: essere sale della terra e luce del mondo. Almeno in questa intervista l’arcivescovo di La Plata ha dimenticato o ignora che la Chiesa di Cristo è fatta di gerarchia e laici, non solo i primi, e che entrambi devono essere in unità Lumen Gentium, luce delle nazioni, e non possono esserlo che in unità: la gerarchia al servizio dei laici, e i laici al servizio di Cristo nel mondo.
Ma la cosa più strana di tutte arriva alla fine, quando l’intervistato dichiara che ciò che è fondamentale nella Chiesa è se stessa, e non il suo fondatore che si rende sempre presente nella celebrazione dell’Eucaristia, soprattutto nello stesso giorno in cui si commemora la sua risurrezione: “Ci sono cose che a volte crediamo siano immutabili e in realtà non lo sono. Il precetto della domenica, ad esempio, non è indispensabile ed è qualcosa che potrebbe cadere”. La domenica è il “Giorno del Signore”, il “dies Domini”, il giorno in cui Gesù Cristo è risorto dai morti, è “il giorno in cui il Signore ha agito”, un giorno di “gioia e letizia”, dice la Liturgia, ma per l’Arcivescovo Fernández è solo un precetto, un ordine o un comando imposto da un’autorità, per questo può cadere, trasformarsi o scomparire.
Insomma, per bocca di uno dei vescovi argentini più vicini a Papa Francesco, per la Chiesa argentina GESÙ CRISTO NON è il principio e il fondamento del Corpo mistico di Cristo. È per questo che la gerarchia argentina ha come priorità i migranti, la Pachamama, i diseredati, ma non i milioni di esseri umani uccisi prima della nascita, perché quest’ultimo “non è una questione prioritaria”? È questa la “direzione” della Chiesa in Argentina? Il Santo Padre lo saprà?

Iglesia católica en Argentina: ¿Una ONG sin Jesucristo?
por José Arturo Quarracino
Agencia Católica de Noticias, 31 agosto 2020

Según uno de obispos más encumbrados de Argentina, de íntima cercanía al papa Francisco, la celebración dominical del Misterio pascual no es lo fundamental de la Iglesia. Nunca un obispo católico había puesto en duda o negado la Resurrección de Jesucristo y su conmemoración litúrgica como fuente y finalidad de la vida de la Iglesia.
En los últimos meses muchos observan con preocupación el camino que está recorriendo la jerarquía católica en Argentina, que a todas luces se muestra cada vez más, antes que como pastores del cuerpo vivo de Jesucristo, como funcionarios de una institución “no gubernamental”, como sociedad de beneficiencia o como club de amigos, en forma acorde al tiempo político progresista que hoy azota a la comunidad argentina.
Con la excusa de la “misericordia” y de la “cultura del encuentro” esa jerarquía promueve reuniones, jornadas y diálogos entre personajes que muchas veces expresan concepciones antagónicas e irreconciliables, con resultados inconducentes y estériles. Si Jesucristo resistió las tentaciones del demonio en el desierto al comienzo de su vida pública, sin pretender entablar un diálogo amical, parecería que estos prelados se pretenden más sabios que Él, ya que se empeñan en dialogar con los que sostienen posturas contrarias a la fe, a la tradición y a la doctrina cristianas. Algunos ya han comenzado a dar pasos hacia el otorgamiento de “carta de ciudadanía eclesial” a personas que se comportan en forma contraria a los preceptos evangélicos, haciendo gala de conductas que el apóstol san Pablo condena (homosexualidad, travestismo, etc.), lo que no impide que participen activamente en celebraciones litúrgicas reivindicando su heterodoxia anticristiana.
En el colmo de los colmos, se ha llegado a celebrar Misas en conjunto con partidarios y promotores públicos del aborto y posteriormente sacarse fotos con ellos, sin hacer la más mínima alusión al tema, ni en público ni en privado. Así ocurrió en la celebración de Nochebuena el pasado mes de diciembre, cuando el presidente argentino concurrió a la iglesia de San Cayetano, en la ciudad de Buenos Aires, para participar en la celebración en la que ofició uno de los obispos auxiliares de la arquidiócesis, monseñor Gustavo Carrera. Días después el mandatario reafirmó su postura a favor de la legalización del aborto, sin que el cardenal Mario Poli -titular de la arquidiócesis- y el obispo auxiliar salieran a responder, avalando así de hecho la postura abortista presidencial.
En el mes de abril un grupo de sacerdotes que desempeñan su oficio en barrios y villas carenciadas de la ciudad de Buenos Aires y de los municipios la que rodean se reunieron con el presidente Fernández, y al finalizar el encuentro rezaron junto con él ante cámaras de televisión el Padre Nuestro, avalando también de hecho la legalización del aborto que pretende impulsar institucionalmente.
En definitiva, lo máximo que hacen los jerarcas eclesiásticos y sacerdotes como los mencionados es expresar “lo que la Iglesia piensa”, sin discutir ni polemizar, simplemente dando a conocer “su” postura “religiosa”, y nada más. En vez de transmitir el mensaje salvífico y redentor de Jesucristo, las autoridades eclesiásticas gestionan una Iglesia autorreferencial, que habla de sí misma y alude ocasionalmente a su Señor. Pareciera que más les importa la “cultura del encuentro” que predicar el mensaje del Resucitado. Hablan de una “Iglesia en salida al mundo” pero con la “prohibición de hacer proselitismo”, es decir, en vez de predicar y convencer sostienen que lo que deben hacer los creyentes es “mostrar la belleza de la vida cristiana”… ¿para qué, si no es para convencer? Si el mandato de Jesucristo, el Señor de la Iglesia y del Mundo, es el de “ir y proclamar el Evangelio” y “bautizar en el nombre del Padre, del Hijo y del Espíritu Santo”, los servidores siglo XXI del Señor le enmiendan la plana y ponen como objetivo “el encuentro con el otro”. Como si Jesucristo fuera de otra época y necesitara actualizarse.
Un ejemplo claro y contundente de esta Iglesia autorreferencial es el del arzobispo de La Plata, monseñor Víctor Manuel Fernández, en una entrevista concedida a un medio digital español a fines de abril de este año.
En esa entrevista el arzobispo platense pronunció 1.155 palabras, en las cuales no hizo una sola mención a Nuestro Señor Jesucristo. Llama poderosamente la atención que un obispo, como sucesor de los apóstoles, no mencione para nada a la Cabeza de la Iglesia. Pero si no habló de Jesucristo, ¿de qué habló el arzobispo? En primer lugar, de lo que la Iglesia hace en el plano de la asistencia social en los tiempos del coronavirus, de la colaboración con el Estado, de la participación eclesiástica en acciones de la sociedad civil, con “el mensaje de una presencia discreta, humilde y a la vez colaborativa y generosa”, es decir, habló de la Iglesia en sí misma, no de su jefe y fundador.
En segundo lugar, habló del “diálogo con las nuevas necesidades espirituales de las personas”, buscando “un lenguaje existencial que responda mejor a las nuevas sensibilidades”, y después del “aspecto encarnatorio de la espiritualidad católica”. Es decir, no habló de la Encarnación, del Dios hecho hombre en Jesucristo, sino del aspecto corpóreo de la espiritualidad.
En tercer lugar, habló de “la pérdida de interés en los ritos funerarios” y de las celebraciones de la Misa a través de Internet, con los riesgos y limitaciones que ello representa, al impedir “la cercanía sensible, la presencia física”.
En cuarto lugar, hizo mención al desafío que afronta “la Iglesia de Francisco” de “empoderar a los laicos”, “distribuyendo el poder a través de nuevos ministerios y funciones laicales ‘dotadas de autoridad’” (sic). Es muy llamativo que los partidarios de la “Iglesia en salida” piensen que el desafío para la Iglesia de Jesucristo sea el de “dar poder a los laicos” por parte de la jerarquía sacerdotal. Parece que monseñor Fernández olvida que la misión de los laicos no es la de ocupar espacios de poder dentro de la institución eclesial sino la de llevar a Jesucristo y su mensaje al mundo. Pareciera que el prelado tan cercano al Papa olvida que los laicos ya tienen poder en la Iglesia, otorgado por su mismo Señor, no para su ejercicio ad intra sino ad extra: ser sal de la tierra y luz del mundo. Por lo menos en esta entrevista el arzobispo platense ha olvidado o ignora que la Iglesia de Cristo está conformada por jerarquía y laicos, no sólo por aquélla, y que ambos deben ser en unidad lumen Gentium, luz de las naciones, y sólo pueden serloen unidad: la jerarquía al servicio de los laicos, y los laicos al servicio de Cristo en el mundo.
Pero lo más extraño de todo llega al final, cuando el entrevistado ratifica que lo fundamental en la Iglesia es ella misma, y no su fundador que se hace siempre presente en la celebración de la Eucaristía, en especial en el mismo día que se conmemora su resurrección: “Hay cosas que a veces creemos inmutables y en realidad no lo son. El precepto dominical, por ejemplo, no es indispensable y es algo que podría caer”. El Domingo es el “Día del Señor”, el “dies Domini”, el día que Jesucristo resucitó de entre los muertos, es “el día en que actuó el Señor”, día de “gozo y alegría”, reza la Liturgia, pero para el arzobispo Fernández es solamente un precepto, una orden o mandato impuesto por una autoridad, razón por la cual puede llegar a caer, transformarse o desaparecer.
En definitiva, por boca de uno de los obispos argentinos más cercanos al papa Francisco, para la Iglesia argentina JESUCRISTO NO ES el principio y fundamento del Cuerpo místico de Cristo. ¿Será por eso que la jerarquía argentina tiene como temas prioritarios los migrantes, la Pachamama, los desposeídos, pero no a los millones de seres humanos asesinados antes de nacer, porque esto último “no es un tema prioritario”? ¿Este es el “rumbo” de la Iglesia en Argentina? ¿Lo sabrá el Santo Padre?

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