Il vero prezzo che tutti noi pagheremmo se prevarrà il SI al referendum. Le ragioni per votare NO

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“Prima che nelle prossime 70 ore esplodano come ogni anno polemiche e accuse vicendevoli, ricordo che non esiste alcuna legge della Repubblica italiana che imponga il silenzio elettorale né ai giornali, né ai siti Internet, né ai social network. Propagandate pure in libertà!” (Franco Bechis – Twitter, 18 settembre 2020 ore 22.47).

Il referendum taglia democrazia
Comunicato di Iustitia in Veritate [*]

Domenica 20 e lunedì 21 settembre gli italiani saranno chiamati a votare il Referendum sul taglio del 40% dei Parlamentari (eliminazione di 230 deputati e di 115 senatori).
Si tratta di un’iniziativa politica, fortemente voluta dal M5S per contrastare gli sprechi della classe politica inefficiente e corrotta ma, ora, sostenuta non più da tutto lo stesso movimento così come all’interno di tutti i partiti, alimentando una confusione che rischia di far perdere di vista la vera posta in gioco.
Poiché l’esito del referendum coinvolge l’esercizio della sovranità popolare con ripercussioni sul futuro di tutta la nazione, Iustitia in Veritate ritiene opportuno fornire il proprio contributo chiarendo alcune questioni fondamentali.

Trattandosi di referendum confermativo non è richiesto il quorum; dunque il primo consiglio è di non disertare le urne.
Vale la pena quindi riflettere sulle reali conseguenze del taglio del 40% dei Parlamentari, se dovesse prevalere il SI, visto che lo sbandierato “risparmio economico” di 57 milioni di euro, equivalenti allo 0.007 % della spesa pubblica ovvero a meno di un euro a cittadino, è ingiustificabile se ciò significa il venir meno della democrazia.

In verità, il vero prezzo che tutti noi pagheremmo sarebbe:

1. Significativa riduzione della rappresentanza popolare

Il numero di deputati e di senatori improvvidamente ridotto lascerà prive di rappresentanza almeno trenta province italiane, corrispondenti ad un numero notevole di territori, per lo più situati nelle aree meno sviluppate e più disagiate del paese. Lasciare questi territori senza rappresentanza parlamentare significherebbe isolarli ancor di più dallo sviluppo del paese violando il principio democratico della rappresentanza, che vuole che ogni unità territoriale sia rappresentata in Parlamento affinché in sede nazionale siano valorizzate e protette le esigenze fondamentali di ciascuna unità locale.

2. Mancata rappresentanza popolare per alcune regioni e minoranze linguistiche

Il Senato è eletto su base regionale ma, riducendo a soli 200 i senatori, molti partiti, pur avendo superato la soglia di sbarramento nazionale, non potranno partecipare alla distribuzione dei seggi su base regionale perché, alla mutilazione del Parlamento non corrisponderà l’adeguamento dell’attuale legge elettorale e quindi gli scranni saranno attribuiti solo alle liste maggiori.
Inoltre la riforma concentra la rappresentanza politica nelle aree più popolose del Paese, a scapito di quelle con meno abitanti ma territorialmente più vaste, e non tutela in modo adeguato le minoranze linguistiche (il caso del Trentino-Alto Adige è quello più significativo). La Val d’Aosta non avrà nessun senatore e i quasi 3 milioni di italiani all’estero avranno un solo senatore per l’Europa e uno per il resto del mondo.

3. Aumento del potere delle segreterie di partito e delle lobby

Riducendosi il numero dei parlamentari, si accrescerà il potere di controllo esercitato dai partiti. Per essere eletti occorreranno molti più voti, che potranno essere garantiti soltanto dalla cupola del partito che li presenta. Di fatto si ridurrà notevolmente il livello di indipendenza del singolo parlamentare rispetto alla segreteria del partito che lo ha prescelto provocando una diminuzione dell’autorevolezza del Parlamento nel suo insieme, poiché spariranno magari quei  pochi ancora oggi autorevoli e indipendenti.
Un Senato con 200 membri, di fatto scelti dalle segreterie di partito, inevitabilmente sarebbe più permeabile alle lobby, capaci di manovrare meglio le elezioni di loro rappresentanti, creando così una “casta” ancora più autoreferenziale, tutelata e garantita.

4. Congelamento dell’attuale governo fino al termine della legislatura (2023)

Saranno impossibili le elezioni politiche almeno fino al 2023 con il pretesto dell’approvazione di una nuova legge elettorale, nonostante sia evidente lo scollamento tra l’odierna rappresentanza parlamentare e il reale l’orientamento politico del Paese. Non solo: la nuova legge elettorale e di ridisegnazione dei collegi ormai in mano alle segreterie di partito sarà necessariamente lunga e laboriosa, con ulteriori ritardi e stallo di tutta la nazione. Va anche osservato che un intervento parziale si innesta su un tessuto coerente come la carta costituzionale provocando squilibri e che senza una legge elettorale nuova si dà una delega in bianco (un’altra) all’esecutivo.

5. Svolta autoritaria

L’antiparlamentarismo è sempre stata una caratteristica delle ideologie totalitarie. Non è mai successo che riducendo la democrazia rappresentativa sia cresciuta la democrazia diretta. Agli attacchi al Parlamento di solito segue un’esperienza autoritaria. Si creeranno situazioni in cui nella ristrettissima cerchia di una qualsiasi Commissione parlamentare si potrà di fatto decidere per 60 milioni di italiani, senza passare dall’aula. Questa è oligarchia.

6. Concentrazione di potere nei partiti maggiori

Il taglio dei parlamentari in assenza di un’adeguata riforma elettorale, comporta il serio rischio di formazione di maggioranze in grado di eleggersi autonomamente il Presidente della Repubblica, che quindi non sarebbe più la figura di garanzia e di unità del Paese, compromettendo l’equilibrio dei poteri previsto dalla Costituzione.

7. Degrado nella qualità del servizio offerto

È una menzogna anche la sbandierata efficienza quale conseguenza della riduzione dei parlamentari che, al contrario, comporterà un grave rallentamento dei lavori delle 14 Commissioni parlamentari che sono rimaste inalterate.
Meno persone, soprattutto al Senato, dovranno assolvere a un’infinità di compiti che li obbligherà a un lavoro inevitabilmente più superficiale, oppure a delegarlo a nuovi tecnici e funzionari, con aggravio di costi che renderanno ancora più risibile il decantato risparmio. È sufficiente ricordare quanto accaduto nei primi mesi di quest’anno in cui il governo ha costituito una serie infinita di task force: il solo presidente del consiglio Conte, ad esempio, ha nominato quasi 500 persone, generosamente retribuite per assistere “tecnicamente” il governo e prendere tutte le decisioni sulla situazione emergenziale. Di fatto il cd Comitato Tecnico si è sostituito a tutto il Parlamento per assumere decisioni pesantemente invasive nei confronti di tutta la nazione superando la responsabilità politica delle stesse.

Qualche considerazione finale

Appare evidente il vulnus alla Costituzione causata da una legge che conferisce un potere eccessivo al Presidente del Consiglio dei Ministri alterando la funzione di garante super partes alla stessa Presidenza della Repubblica.
La Fondazione Einaudi ha notato che, se dovesse vincere il SI, basteranno 267 deputati e 134 senatori per cambiare la Costituzione senza necessità di un successivo referendum.
Al contrario, come ha affermato di recente Roberto Formigoni, occorre che i parlamentari tornino ad essere scelti dagli elettori, perché solo in questo modo, reintroducendo cioè il voto di preferenza, essi si sentiranno obbligati verso i cittadini che li hanno eletti (e non verso le segreterie di partito).
Il vero risparmio si raggiunge non con la mutilazione del Parlamento, ma con il taglio degli stipendi che, di fatto, comporterebbe un beneficio maggiore senza penalizzare il principio della rappresentanza democratica.
È utile infine anche far notare a chi contesta l’eccessivo numero dei nostri parlamentari, che in Europa l’Italia è al 23° posto (su 27) nel rapporto tra eletti e elettori. Attualmente abbiamo un deputato ogni 96 mila abitanti, che, con l’eventuale vittoria dei SI, passerebbe a uno ogni 151.210. Per il Senato si passerebbe da un senatore ogni 188.424 abitanti a uno ogni 302.420.
Pertanto, indebolire il Parlamento significa compromettere la possibilità di una vera rappresentanza popolare, nelle sue diverse componenti e nei diversi territori: in un momento di crisi politica come questo, diminuirebbero ancora di più il rapporto e la conoscenza tra la gente e i parlamentari.
Il prof. Mauro Ronco, professore emerito di Diritto penale, Presidente del Centro Studi Livatino ha definito la legge oggetto dell’attuale referendum: la peggiore legge costituzionale che il Parlamento abbia mai approvato. Si tratta di un modello di legge che perviene a un livello di sfrenatezza demagogica mai prima di oggi riscontrato. Il contenuto della riforma non è un complesso razionale di disposizioni, bensì un monstrum con cui persone senz’arte né parte pensano di realizzare un miracolo.
Iustitia in Veritate, altrettanto preoccupata della pericolosa deriva antidemocratica e del rischio di limitare significativamente la rappresentanza del popolo italiano, invita a votare NO al Referendum del 20 e 21 settembre 2020.

[*] Iustitia et Veritate è un team [Avv. Marco C.A. Boretti, Avv. Francesco Fontana, Dott. Wanda Massa] di professionisti di vari settori e discipline uniti dalla passione per la Verità, secondo il significato cristiano del termine, senza la quale non può esserci alcuna giustizia reale.
Nati come impeto di risposta e reazione difensiva rispetto agli abusi contro il libero esercizio della fede e di culto perpetratisi in occasione della normativa emanata durante il periodo della diffusione del Covid-19, si sono resi conto che spesso le disposizioni di legge anche non dettate da ragioni di sicurezza, violano palesemente i diritti fondamentali delle persone costituzionalmente garantiti anche con risvolti di natura penale e contro le stesse prerogative di sovranità giurisdizionale della Chiesa stessa.
Hanno quindi sentito la necessità di allargare lo sguardo e la loro azione a tutti gli abusi che man mano si sono estesi e sono comunque riscontrabili in tutti gli altri settori della vita dell’uomo nelle sue espressioni di libertà anche in forma associata e non necessariamente legati a eventuali normative emergenziali.
Offrono quindi tutela ed assistenza sotto ogni profilo, non solo legale, a chiunque necessiti di un supporto professionale, serio e pacificamente indirizzato a coniugare le proprie esigenze, in modo da non dimenticare la difesa e l’affermazione della giustizia in ogni campo, avendo come principio fondante la legge e il diritto naturale.
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