Mons. Lovignana dedica un biennio all’Eucaristia

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‘Eucaristia, pane di vita’: è questo il titolo della Lettera pastorale del vescovo di Aosta, mons. Franco Lovignana, all’inizio dell’Anno pastorale 2020-2021, che annuncia un biennio dedicato al Sacramento dell’Eucaristia e alla riorganizzazione territoriale della diocesi.

Un testo che da subito affronta il tema della pandemia, un male che dopo averci colpito continua a minacciarci perché “è invisibile e genera incertezza e povertà. La vita è rimasta e rimane in parte sospesa. Abituati a correre ci siamo dovuti fermare. In un attimo programmi e agende personali e pastorali si sono azzerati.

Disorientamento e sensazione di vuoto ci hanno obbligati a riposizionare vita, relazioni e attività in una prospettiva nuova. Abbiamo scoperto che nella costrizione si può essere liberi e creativi, solidali e intercessori. Per molti di noi il blocco ha favorito la preghiera e l’approfondimento della fede in Dio, Padre provvidente che non abbandona i suoi figli. La sosta obbligata è diventata palestra educativa”.

Il tempo trascorso è stato anche un tempo segnato “dal desiderio della Comunione, Comunione eucaristica e incontri fraterni dei quali eravamo privati… Proviamo ora a ripartire dal desiderio della celebrazione eucaristica vissuta nella normalità di un’assemblea che si raduna, si incontra, ascolta, celebra e comunica al Corpo di Cristo. La privazione e il desiderio, spesso vissuti con grande sofferenza, dicono l’importanza e la centralità dell’Eucaristia nella vita del cristiano, della famiglia e della comunità”.

Mons. Lovignana invita i fedeli a riscoprire la bellezza della celebrazione eucaristica: “Dedichiamo i prossimi due anni all’Eucaristia. Lo facciamo alla luce dell’esperienza di dolore e di fatica sopra evocata e nel contesto di crescente povertà che colpisce la nostra società.

L’una e l’altro ci invitano a riconoscere nell’Eucaristia lo sguardo di compassione che contempliamo in Gesù prima della moltiplicazione dei pani. Lo facciamo raccogliendo anche le eredità positive che il confinamento ci ha lasciato”.

La prima eredità lasciata dal virus è la dimensione domestica della Chiesa: “Molte famiglie hanno riscoperto la preghiera in famiglia, la celebrazione della Parola di Dio in casa, il compito di catechisti dei genitori, la carità verso il prossimo come frutto della comunione familiare.

A ben pensare è proprio questo il contesto in cui nasce e matura la partecipazione fruttuosa alla Messa domenicale. La Messa non è una parentesi e neppure un gesto individuale, ma un momento di famiglia, preparato  e ripreso nella vita quotidiana intessuta di fede, di carità e di preghiera condivise”.

Un’altra eredità è la solidarietà: “L’emergenza ha messo in moto le energie migliori delle persone attraverso una rete generosa e capillare di volontari, ma anche attraverso piccoli gesti tra vicini, amici e conoscenti che ora vanno riconosciuti e consolidati. Il volontariato stabile come i piccoli gesti hanno bisogno di trovare nella celebrazione eucaristica il loro spazio per maturare in testimonianza di carità, annuncio vissuto del Vangelo”.

L’obiettivo della lettera è quello di riscoprire la bellezza dell’andare a Messa raccogliendo anche le eredità positive del confinamento: “La celebrazione eucaristica è spesso percepita come atto da compiere, chiuso su se stesso, e non come momento dinamico posto al centro della vita pastorale e delle relazioni ecclesiali, che sono sempre innanzitutto relazioni umane e sociali.

La celebrazione eucaristica, infatti, è luogo nel quale il cristiano diventa più uomo ritrovando le proprie radici di creatura voluta, amata e perdonata da Dio. Nell’Eucaristia, ogni volta, siamo rinnovati e rivestiamo l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità”.

Punto fondamentale della celebrazione eucaristica è il Corpo di Cristo: “Questo dono di grazia deve ‘incarnarsi’ nelle relazioni comunitarie. Parlo di carne per richiamare alla concretezza e sfuggire al rischio di idealizzazione sempre in agguato quando ci riferiamo alla comunità.

Non penso ad un generico volersi bene e neppure solo allo sforzo di andare d’accordo con tutti, di essere attenti e generosi verso tutti. Penso invece a gesti, strutture e iniziative ecclesiali che traducano nella storia quotidiana l’unità sacramentale del Corpo di Cristo”.

Il vescovo di Aosta sottolinea che il frutto della comunione è il discernimento comunitario per ripensare ad una ‘Chiesa in uscita’: “Ovviamente la Messa è sempre Messa e ha valore in se stessa come ripresentazione sacramentale del sacrificio di Gesù per la salvezza del mondo.

Tuttavia, in condizioni normali, la celebrazione domenicale presuppone il radunarsi della comunità in tutte le sue articolazioni. Con sofferenza devo constatare che in alcune situazioni le cose non stanno proprio così. Bisogna che tutti ne prendiamo coscienza per riflettere su che cosa dobbiamo fare. Ovviamente, oltre al numero, entrano in gioco anche altri elementi, come ad esempio le distanze e la vocazione turistica di alcuni nostri paesi”.

Il vescovo conclude la lettera pensando al rapporto che san Giovanni Paolo II ebbe con l’Eucarestia: “La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa…

L’Eucaristia con la sua forza soprannaturale trasforma i fedeli in Corpo di Cristo, mette cioè le basi per la costruzione della comunità. Il dono ha bisogno di essere tradotto nella concretezza delle relazioni tra le persone.

Un dono che diventa una sfida in un mondo malato di individualismo, in progressiva disgregazione, spesso segnato da forti contrapposizioni e micro appartenenze poco durevoli”.

(Tratto da Aci Stampa; foto: diocesi di Aosta)

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