Finestra di Overton. “Cuties” di Netflix, scandalosa sessualizzazione di adolescenti e incentiva alla pedofilia

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Che Avvenire non è più un giornale cattolico, si comprende già da tempo, ma comunque resta il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana. Ed è questo che non si comprende. E come mai la gerarchia della Chiesa Cattolica Romana non interviene. Il giornale ufficiale dei vescovi italiani non si sa spiegare come mai in 600mila hanno firmato una petizione contro un’aberrazione. Come non capiscono come mai vengono abbandonati dai lettori… rimasti cattolici, nonostante il martellamento del fu loro giornale. Ovviamente, tutto sta nel “leggere correttamente e presentare bene” da parte di “cattolici maturi”. Si sa, come succede con la frutta in estate, che la distanza tra “maturo” e “marcio” talvolta (anzi spesso) è breve.

L’ultima questione di una lunga seria è l’articolo di Andrea Fagioli su Avvenire del 16 settembre 2020: “Il boicottaggio. “Mignonnes” (Cuties) è un film duro, ma educativo. Non si spiega la campagna contro Netflix: non c’è alcuna «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» come hanno scritto alcuni tra i 600mila firmatari di una petizione”. Già questo non capire, anzi negare, che si tratta di “scandalosa sessualizzazione di adolescenti”  e di “incentiva la pedofilia” con l’ennesima Finestra di Overton [*], dice tutto. E va pure bene che degli adolescenti parlino “anche con un linguaggio volgare”, pur di dimostrare “di non sapere nulla del sesso o di preoccuparsi se vengono considerate male”. Certamente appartengo ad una cultura antidiluviano, visto che ho una concezione diversa dell’educazione cattolica in famiglia.

Faccio seguire questa manifestazione del non voler capire, dopo una “Nota sociale” dell’amico Prof. Marco Brusati, che nostri lettori già conoscono bene, come studioso dell’influsso dei modelli antropologici mass-mediali su bambini e giovanissimi nell’era dello smartphone e che divulga i risultati delle analisi attraverso gli scritti e la formazione per docenti, genitori ed educatori, online o in presenza. È professore a contratto presso l’Università degli Studi di Firenze nel master “Comunicazione istituzionale”. Ha curato i contenuti di numerosi eventi ecclesiali, nazionali e internazionali, 10 pontifici, con oltre 5 milioni di partecipanti. A quello che esprime non ho da aggiungere altro.

«Cuties» di Netflix mostra vere ragazzine in balli e pose da strip-club. Quale rispetto per le piccole attrici?
di Marco Brusati
Dire Oltre, 17 settembre 2020

Per chi  studia i fenomeni Social come TikTok, il film «Cuties» («Mignonnes») distribuito da Netflix è un già-visto: in rete, sono migliaia e migliaia le ragazzine che si esibiscono in maniera sessualmente non-neutra, in primis facendo twerking. Facciamo subito chiarezza: twerking (o «to twerk» o «twerkare») significa «ballare una musica famosa in un modo sessualmente provocante che coinvolge i movimenti di spinta dell’anca in una posizione accovacciata» (cf. dizionario Oxford online), essendo un tipo di danza sviluppatosi negli strip-club (cf. Wikipedia English); inoltre sui siti pornografici ci sono oltre un milione di video categorizzati alla voce twerking e sue varianti.

Per questa sua connotazione ontologica, si dovrebbe universalmente convenire che il twerking non è un ballo adatto a bambine e ragazzine, anche quando viene presentato col sorriso sulle labbra in una trasmissione come «Me contro te» prodotta da Disney e dedicata principalmente a bambini e bambine in età prescolare (cf QUI), a partire dai 3-4 anni.

Passando a Netflix, possiamo dire che in «Cuties» si scontrano 1) la trama e 2) le scene in cui le giovanissime ragazzine sono riprese in pose, mosse (e toccamenti) da strip-club che non lasciano molto all’immaginazione.

1) La trama: Amy, undicenne originaria del Senegal, vive con la madre, la zia e il fratello in un sobborgo di Parigi in attesa del ritorno del padre che è diventato poligamo sposando un’altra donna; ha difficoltà di inserimento e integrazione; soffre l’assenza del padre; entra in un gruppo di danza moderna composto da quattro ragazzine; ne diventa leader spingendo il gruppo verso un tipo di danza sempre più erotizzato; dopo esperienze con questi balli, Amy torna a giocare come una bambina. Se parliamo astrattamente del film senza pensare a chi lo ha realizzato, la trama sta in piedi, anche se non presenta novità sconvolgenti.

2) Le scene: sono profondamente disturbanti ed inficiano le buone intenzioni della trama, se si pensa che le protagoniste non sono ologrammi o personaggi di fantasia, ma ragazzine reali, con la loro vita, le loro relazioni e, soprattutto, con il diritto alla loro intimità, che qui è stato violato con immaginabili conseguenze sulla loro vita.

Ecco alcune delle immagini prese dal film: evidenzo che le stelle gialle di censura sono mie e non ci sono nell’orginale.

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Se qualcuno, come me, si è sentito scosso, mi scuso, ma ho ritenuto importante pubblicare queste immagini sia per far capire di cosa stiamo parlando, sia per rispondere alle critiche di chi accusa gli «scandalizzati» di avere visto solo la locandina originaria del film, poi ritirata e sostituita. Come si vede, la vecchia locandina era in linea con le scene girate dalle ragazzine, dalle quali, sappiate, ho tagliato immagini con primi piani anatomici ancora più imbarazzanti, persino difficili da censurare.

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In conclusione, restano aperte tre domande. La prima: senza le scene «esplicite» il film sarebbe stato distribuito a livello globale? La seconda: se un regista volesse per esempio condannare la pornografia perché offende la dignità della donna, girerebbe un film con scene pornografiche e una bella trama che facesse alla fine intendere la sua condanna del fenomeno? La terza, più importante: quale rispetto è stato tributato alle piccole attrici?

Marco Brusati

[*] La Finestra di Overton
Il Cardinale Angelo Bagnasco, allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nella Prolusione del 30 settembre 2015 al Consiglio permanente della CEI, nelle sue riflessioni sulla famiglia ha citato una tecnica di persuasione delle masse, la cosiddetta “Finestra di Overton”, per dimostrare come con vere e proprie strategie di comunicazioni si riescono a fare accettare “l’introduzione e la successiva legalizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale”.
La Finestra di Overton è uno schema di comunicazione-persuasione ideato da Joseph P. Overton (1960-2003), già Vice-presidente del centro studi statunitense Mackinac Center for Public Policy. In estrema sintesi, si tratta di uno spazio concettuale graduato all’interno del quale si individuano alcune fasi, sei per la precisione, in cui si può descrivere lo spostamento dell’atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto a una certa idea. Si tratta quindi di una spiegazione di uno dei modi in cui avviene la persuasione politica e dei meccanismi che possono essere utilizzati. Sulla base della Finestra di Overton, si possono costruire e sono state costruite campagne a favore di alcune idee non ancora accettate dalla società. Le idee passano dalle seguenti fasi:
1. impensabili (inaccettabile, vietato)
2. radicali (vietato ma con eccezioni)
3. accettabili
4. sensate (razionalmente difendibili)
5. diffuse (socialmente accettabili)
6. legalizzate (introdotte a pieno titolo)
Il concetto di base è capire in quale finestra si trovi attualmente un’idea (ad esempio, la legalizzazione delle droghe, l’aborto o le relazioni omosessuali, l’introduzione di app Immuni o biochip) e farla progressivamente slittare verso quella successiva, in una serie di passi. Ovviamente, avere questo schema non consente molto di più di una fotografia della situazione, se non si è in grado effettivamente di influenzare l’opinione pubblica con esempi, testimonial, propaganda mirata, capacità di persuasione, narrazioni di episodi specifici, potere politico.

Il boicottaggio. “Mignonnes” (Cuties) è un film duro, ma educativo
Non si spiega la campagna contro Netflix: non c’è alcuna «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» come hanno scritto alcuni tra i 600mila firmatari di una petizione
di Andrea Fagioli
Avvenire, 16 settembre 2020


Gli utenti che si sono indignati con Netflix lanciando una campagna di sabotaggio contro la piattaforma online per il film Mignonnes, conosciuto con il titolo internazionale Cuties, o non l’hanno visto o si sono limitati davvero alla locandina. Altrimenti non l’hanno capito o l’hanno guardato con occhi sbagliati. Il film della regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré non ruota intorno a una «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» né ovviamente «incentiva la pedofilia», come invece hanno scritto alcuni tra gli oltre 600 mila firmatari di una petizione contro il colosso della distribuzione di film e serie tv via internet. Tuttavia, come ha rilevato domenica Massimo Calvi in un commento su ‘Avvenire’, il sospetto è che l’opera sia stata promossa da Netflix proprio giocando ambiguamente su alcuni contenuti specifici. Mignonnes è infatti un film duro, molto duro. È uno spaccato su una realtà, quella dei ragazzini di 11–12 anni di cui anche i genitori a volte non si rendono o non vogliono rendersi conto. Una riflessione inserita in un contesto molto più complesso attraverso la storia di Amy, undicenne originaria del Senegal, che vive con la madre, la zia e il fratello in un sobborgo di Parigi in attesa del ritorno del padre che però, nel frattempo, è diventato poligamo sposando un’altra donna.
Amy assiste alle sofferenze della madre e soffre lei stessa per l’assenza del padre e per le rigide regole imposte dalla religione islamica e dalle tradizioni di famiglia. Ha difficoltà a inserirsi nell’ambiente scolastico e nei rapporti con le coetanee, fino a che diventa amica di Angelica, una vicina di casa, che fa parte di un gruppo di ballo moderno formato da quattro ragazzine. Amy ne diventerà leader spingendo il gruppo verso una danza sempre più audace. E qui sta il punto controverso perché la regista non forza assolutamente la mano sull’aspetto sensuale, anzi: cerca di mettere in evidenza, sia pure in un quadro contraddittorio, la loro innocenza, il fatto che sono bambine (una è bruttarella, una è grassa, una ha i brufoli…) che fanno cose fuori dalla loro portata, che non riescono mai ad arrivare alle estreme conseguenze.
Parlano, anche con un linguaggio volgare, ma poi dimostrano di non sapere nulla del sesso o di preoccuparsi se vengono considerate male. Per di più Amy si trova nel mezzo di due culture completamente diverse, subendo fortissime spinte contrarie in un momento della vita particolarmente complicato come il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Avverte persino un contrasto sull’ideale di bellezza femminile. Per Amy tutto quello che fa, senza averne piena coscienza, è una forma di riscatto nei confronti della propria famiglia, della propria cultura e nei confronti di chi la discrimina per forme di razzismo o di bullismo. È comunque sempre tremendamente combattuta, fino al bellissimo finale in cui, con il gioco del salto della corda, si riscopre per quello che è: ancora una bambina.
Il problema, quindi, non sono questi ragazzi che per certe cose crescono troppo in fretta senza avere la maturità sufficiente o le difese immunitarie necessarie. Il problema è il mondo che gli abbiamo creato intorno, con genitori assenti (tutte le ragazze hanno alle spalle famiglie complicate), con i social che ti spingono a credere di esistere e di essere qualcuno solo per il numero di like che ricevi, con la facilità con cui può accedere in internet a forme (in quel caso sì) di sessualità sbagliata e con il cellulare che diventa l’unico mezzo per creare uguaglianza. Tutto questo la regista lo mette bene in evidenza, anche se il film non può essere dato in pasto a tutti. Ma se letto correttamente e presentato bene, Mignonnes può diventare un film educativo.

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