“Cantate inni con arte e con suono melodioso”, quattro chiacchiere con l’autore Aurelio Porfiri

Aurelio Porfiri presenta il suo ultimo libro
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In esclusiva per Korazym.org, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, Cantate inni con arte e con suono melodioso, abbiamo intervistato Aurelio Porfiri, compositore, direttore di coro, educatore ed autore. Ha pubblicato oltre 50 libri, alcuni anche tradotti in altre lingue, e la sua musica è pubblicata in Italia, Germania, Cina, Stati Uniti e Francia.

Maestro, nel suo libro parla del nesso indissolubile tra musica, liturgia e dell’importanza del coro come tramite. Perché invece proprio il coro, nelle funzioni liturgiche, è sempre più spesso sacrificato in nome della partecipazione assembleare? Non c’è spazio per entrambi, rispettando i ruoli, in nome di una celebrazione più articolata?

“Perché c’è una falsa idea della partecipazione assembleare, un’idea secondo cui l’assemblea dovrebbe fare tutto – alcuni chiamano questa deriva partecipazionismo. Un qualcosa che in realtà non si trova in nessun documento del Concilio o successivo. L’assemblea deve partecipare a suo modo e secondo delle sue possibilità e il coro, anche prevedendo un intervento dell’assemblea più ampio, dovrebbe avere una funzione ancora più importante, quella di guidare il canto della stessa. Purtroppo, una interpretazione del tutto falsa e tendenziosa della riforma liturgica ha fatto in modo che il coro fosse emarginato, se non eliminato”.

Nel testo adombra una certa ignoranza musicale all’interno del Clero. Perché non aprire anche ai laici e affidare loro le chiavi della direzione della Cappella Sistina?


“A questa domanda, in realtà, non dovrei essere io a rispondere. In effetti non ci dovrebbe essere un problema in questo senso, la persona che dirige il coro dovrebbe essere solamente preparata e in grado di assolvere a questo compito, che non ha una connotazione sacerdotale di per sè. Certo, una certa tradizione recente ha portato al fatto di affidare a sacerdoti questo ruolo, e alcuni sono stati veramente adeguati (la maggioranza, in verità). Ma oggi, con il calo delle vocazioni, c’è sempre meno possibilità di scelta e in fondo non c’è ragione di non coinvolgere musicisti non appartenenti al clero. Quindi spero che si possa aprire anche al serbatoio estremamente più capiente dei musicisti laici. In fondo mi sembra che il Papa stesso in altri ambiti stia perseguendo questa strada”.


Per storia e blasone, la Cappella Sistina ha contribuito per secoli con la sua musica a solennizzare le funzioni liturgiche del Papa regnante. Perché adesso la musica sacra vive il suo peggior momento di crisi?


“È naturalmente è un problema ampio, che parte da una crisi della liturgia stessa. Come dico nel libro, le due vanno insieme, se prospera una prospera l’altra, se cade una decade anche l’altra. È vero che la Cappella Sistina da secoli, forse potremmo dire anche più di un millennio, solennizza le funzioni del Sommo Pontefice. Ma non dimentichiamo che le difficoltà per la stessa istituzione sono cominciate non recentemente, ma già vari decenni fa, addirittura ai tempi del Concilio, quando cominciarono a radicarsi posizioni opposte di liturgisti e musicisti sul ruolo della musica nella liturgia e a scavarsi un fossato sempre più profondo che ancora non è stato colmato”.



Cosa può fare Papa Francesco per proteggere la tradizione del Coro della Cappella Sistina, il cui rilancio potrebbe essere emulato a cascata anche nei contesti diocesani e parrocchiali?


“Il Santo Padre in un recente discorso ha richiamato l’importanza di una musica degna per la liturgia e ha riportato all’attenzione di tutti quello che è il primo modello da seguire, cioè il canto gregoriano, il canto proprio della Chiesa. Ecco, penso proprio che il Pontefice possa considerare come l’esempio che viene da Roma, dal Vaticano, possa poi avere, in un certo qual modo, una ricaduta su contesti diocesani e parrocchiali più vari. Se si mostra a quale livello la musica possa contribuire per lo splendore del rito, penso che molti animi possano essere impressionati in senso positivo da questo e cercare, secondo le loro possibilità, di emulare questi comportamenti.

Il coro della Cappella Sistina può essere un modello che altri cori in giro per il mondo possono cercare di prendere ad esempio, con tutti gli adattamenti che sono necessari. Si può mostrare come la liturgia rinnovata non sia sinonimo di riduzionismo e banalità, come purtroppo vediamo in tante, troppe parrocchie. Si può dimostrare che una musica degna nella liturgia rinnovata non solo è possibile ma che è espressamente richiesta dai documenti del Concilio Vaticano II stesso”.

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