Il Centro Italia ricorda il terremoto del 2016

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“Domani si compiono anche quattro anni dal terremoto che ha colpito l’Italia Centrale. Rinnovo la preghiera per le famiglie e le comunità che hanno subito maggiori danni, perché possano andare avanti con solidarietà e speranza; e mi auguro che si acceleri la ricostruzione, affinché la gente possa tornare a vivere serenamente in questi bellissimi territori dell’Appennino”: così nell’Angelus di ieri papa Francesco ha ricordato il terremoto che nel 2016 colpì l’Italia centrale.

E dopo 4 anni la situazione non è migliorata, come ha ricordato il vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, in visita ad Amatrice ed ad Accumoli, all’Agenzia Sir: “Di quei momenti resta una ferita che non si è mai rimarginata. Penso soprattutto alle famiglie che hanno avuto lutti e che hanno visto interrompersi bruscamente le catene generazionali, padri, madri, figli, fratelli e sorelle.

In un libro, ‘Gocce di memoria’, che pubblicammo all’indomani della tragedia, sono documentate le vite di tutte le vittime di quella notte. Il loro ricordo è incancellabile. Credo che sia questo il punto da cui ripartire: non dimenticare che il dolore di quei momenti non è stato superato. Le persone non si rimpiazzano e occorre per questo una sapiente e continua vicinanza a queste popolazioni”.

Inoltre contro lo spopolamento della montagna mons. Pompili ha lanciato una proposta: “Una presenza che preservi questa terra verde, che è l’Appennino centrale colpito sistematicamente da eventi sismici, dall’abbandono e da un esodo progressivo verso le città.

Tra città e montagna esiste una stretta correlazione che non può essere espunta perché la città vive della montagna e viceversa. Lo abbiamo visto con il lockdown per il Covid-19, quando tanta gente è tornata in montagna perché si sentiva più sicura, e non solo perché luogo delle proprie radici.

Quella indotta dal Covid potrebbe essere una visione: recuperare l’Italia centrale non abbandonandola al destino dello spopolamento in nome di una crescita puramente economica”.

Anche dalla diocesi di Ascoli Piceno mons. Giovanni D’Ercole cita i versi dello scrittore peruviano Manuel Scorza Torres per sollecitare tutti a sognare la speranza: ‘Basta che un uomo sogni, perché un’intera razza profumi di farfalle. Basta che solo uno sussurri di aver visto l’arcobaleno di notte, perché perfino il fango abbia gli occhi rilucenti’.

Con questi versi il vescovo di Ascoli Piceno ha invitato i cittadini a partecipare ad una celebrazione eucaristica per ricordare i defunti del sisma: “E’ vero, passa il tempo e tutto sembra restare come quella notte: le macerie, le case da ricostruire, le chiese da rivedere risorgere, il lavoro che fa fatica a crescere, la gente che continua ad andarsene o a morire.

Tante problematiche ancora forti e preoccupanti che si sommano alla pandemia del Covid 19. Tutto sembrerebbe farci scoraggiare e invece dobbiamo continuare a sperare… Animati dalla fiducia in Dio che mai deve spegnersi, sogniamo ad occhi aperti”.

L’incoraggiamento di mons. D’Ercole è quello di non ‘addormentarsi’ nel cammino: “Dobbiamo rimanere sempre desti e non lasciare che il buio ci addormenti nel sonno della paura, dello scoraggiamento e dello smarrimento.

Sognare la speranza è l’invito che ci viene da tante parti e, se anche con il passar del tempo diminuisce l’attenzione e la solidarietà, dobbiamo proseguire il cammino faticoso della speranza insieme ai parenti delle vittime del sisma, agli abitanti che qui vivono ogni giorno, agli amici e a quanti con noi continuano a camminare insieme, sorretti dalla certezza che il Signore non abbandona chi in lui si rifugia”.

Il sogno è necessario per non cedere alla rassegnazione: “Solo così possiamo essere in grado di sognare insieme un futuro migliore per tutti, per Arquata e gli altri Comuni lesionati dalle scosse del terremoto.

Il sogno non si riduce a calcolo, analisi, ragionamento; ha qualcosa che eccede rispetto a ciò che si vede e che esiste. La storia la riscrivono dopo le tragedie le persone che non cedono alla tentazione del sonno dell’indifferenza e del qualunquismo”.

L’incoraggiamento del vescovo prende spunto dalla celebre frase di Martin Luther King (‘Io ho un  sogno’): “Io ho un sogno oggi, precisava e lo ha ripetuto in diverse occasioni: il sogno della libertà e della fraternità fra tutti gli uomini,  il suo è un sogno che possiamo fare nostro:

il sogno d’un benessere condiviso che nasce dall’impegno a dare più importanza all’altro che a se stessi; il sogno dell’onestà, della competenza e della responsabilità, tutte indispensabili per dar vita a un futuro che non sarà più come il passato, ma porta con se l’esperienza del passato, la ferita del terremoto e la visione condivisa d’uno sviluppo solidale, in cui tutti si sentano protagonisti, specialmente i giovani”.

Mentre un mese fa, il 25 luglio, l’arcivescovo di Camerino. San Severino Marche, Fabriano e Matelica, mons. Francesco Massara, ringraziando il papa per il dono del Centro di comunità di Ussita, aveva detto:

“La ricostruzione materiale non può prescindere dalla ricostruzione dei cuori delle persone. Credo che l’inaugurazione di questo spazio rappresenti un’occasione di gioia e di rinascita per l’intera popolazione.

E’ un atto di generosità che accende una luce su un tessuto sociale profondamente ferito, con l’obiettivo di rinsaldare le relazioni umane e consolidare lo spirito di comunità. Una struttura che diventa strumento per favorire il ritrovarsi delle persone, affinché dall’incontro interpersonale possano nascere momenti di serenità, di gioia, di preghiera”.

(Foto: Diocesi di Rieti)

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