Ecce Crucem Domini! La preghiera alla Croce di Sant’Antonio contro il Maligno, tramandata nei secoli ancora tutto da scoprire

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Tra i tanti titoli attribuiti dalla devozione popolare a Sant’Antonio di Padova, c’è anche quello di “Terror demonum” (Terrore dei demoni): colui che mette paura ai demoni, perché li scaccia con il dito di Dio. L’agiografia e l’esperienza dei credenti ci attestano che il Santo dei miracoli fu e rimane anche un santo esorcista.
Crucem Domimi. Croce di Cristi, simbolo scomodo, che chiede agli stessi credenti da quale parte vogliono stare. Dalla parte del Bene o quello del Male. Non c’è via di mezzo: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37).

La tradizione popolare tramanda che Sant’Antonio diede una piccola preghiera ad una povera donna che cercava aiuto contro le tentazioni del demonio. Questa breve preghiera, una giaculatoria, un’esortazione pia, diventata celebre come il “motto di Sant’Antonio”, o il “breve di Sant’Antonio”, alla base di una forte devozione popolare – con valenza esorcistica, che anche noi possiamo recitare come protezione contro le vessazioni e le tentazioni del maligno nella nostra vita – si trova anche nei due Rituali dell’esorcismo attualmente in uso alla Chiesa Cattolica Romana: sia nell’antico rituale del 1614, che nel nuovo voluto nel 2004 da Papa Giovanni Paolo II. Senza considerare, poi, che la prima parte di questa potente preghiera è presente nelle Sacre Scritture, nel Libro dell’Apocalisse, dove al Capitolo 5 versetto 5 leggiamo: “Vicit Leo de tribu Iudae, radix David” (“Ha vinto il Leone della tribù di Giuda, il germoglio di Davide”).

Non sono pochi i biografi del grande santo lusitano – diventato poi “di Padova” – che, insieme ad una consolidata tradizione, tramandano l’episodio avente al centro queste parole. È Arnaldo da Serrano a descriverne accuratamente l’origine già attorno al 1370, nel capitolo 52 del “Liber Miraculorum” traendone la narrazione dalla biografia del Santo scritta – all’inizio del XIV secolo – dal francescano Giovanni Rigaldi. Che, a sua volta, disse d’averla appresa dalla voce di Fra Pietro di Raimondo, autore nel 1293 di una raccolta di miracoli attribuiti all’intercessione del Santo. Riportato in sintesi, il racconto riferisce di come Sant’Antonio, con una piccola pergamena che riportava le parole sopra citate, liberò una donna di Santarem, in Portogallo.

Si trattava di una sua devota – anche se peccatrice – tormentata da un demonio che la tentava. Per via di queste molestie demoniache, la malcapitata compiva spesso stranezze inspiegabili che la rendevano bizzarra perfino a se stessa. Un giorno il marito, in un momento d’ira, le gridò che era indemoniata. E la povera donna, già in difficoltà e con addosso il peso di una difficile vita, decise di suicidarsi gettandosi nel fiume Tago.

Determinata a mettere in atto il suo triste proposito, la donna uscì di casa, ma mentre si incamminava verso il fiume si imbatté in una chiesa francescana nella quale si stavano celebrando i solenni festeggiamenti in onore di Sant’Antonio da Padova: era infatti il 13 giugno, giorno della festa del Santo.

La donna, allora, decise di entrare in chiesa per elevare un’ultima preghiera. Mentre pregava, però, affranta per la lotta che combatteva dentro di sé e stremata dalle fatiche, s’addormentò e in sogno le apparve il Santo che le disse: “Alzati o donna e custodisci questa preghiera che ti dono con la quale sarai libera dalle molestie del demonio”.

Svegliatasi bruscamente, la donna si guardò attorno e scorse proprio lì vicino un piccolo foglietto di pergamena sul quale erano scritte le seguenti parole accanto a un segno di Croce: “Ecce Crucem Dómini, fúgite, partes advérsæ. Vicit Leo de tribu Iuda, Radix David. Allelúia! Allelúia!” (“Ecco la Croce del Signore, fuggite, potenze nemiche. Ha vinto il Leone della tribù di Giuda, stirpe di Davide. Alleluia! Alleluia!”).

A quella vista la donna si strinse al cuore il biglietto prodigioso e completamente liberata da ogni disturbo malefico fece ritorno a casa piena di speranza. Il marito, venuto a conoscenza del segreto, ne parlò in ogni dove: la notizia del fatto prodigioso si diffuse tanto. Venuto a sapere della cosa Re Dionigi – marito di Santa Elisabetta del Portogallo, sul trono dal 1279 al 1325 – incuriosito dall’accaduto, chiese di poter vedere la piccola pergamena miracolosa e non appena l’ebbe tra le mani se ne impossessò rifiutandosi di restituirla alla legittima proprietaria.

Ed ecco il demonio impossessarsi subito della donna, che afflitta nuovamente, implorò il Re di restituirgliela, ma il Re non ne volle sapere. La donna, allora, si rivolse ai Francescani i quali riuscirono a ottenere dal Re di poter eseguirne di quella pergamena una copia conforme. E quale gioia quando si scoprì che la copia conforme possedeva le stesse virtù di quella originale!

Anche se la composizione non ha proprio nulla di originale, trattandosi di un’antifona della liturgia cantata nell’ufficio divino delle Lodi per la festa della Santa Croce (ma, evidentemente si era ben impresso nella memoria di Sant’Antonio), essa ha avuto per secoli e sino ad oggi una fortuna straordinaria.

Con l’appoggio dell’ordine francescano, la preghiera si diffuse rapidamente, spesso vergata su foglietti che imitavano le fattezze dell’originale. Al successo della preghiera contribuì anche Papa Sisto V (1585-1590), francescano, che nell’estate del 1586 la fece scolpire sulla base dell’obelisco, da lui fatto erigere in Piazza San Pietro a Roma, dove ancora oggi è visibile.

Ecce Crucem Domini!
Fugite partes adversae!
Vicit Leo de tribu Juda,
Radix David! Alleluia!

Ecco la Croce del Signore!
Fuggite forze nemiche!
Ha vinto il Leone di Giuda,
La radice di Davide! Alleluia!

La preghiera è certamente molto diffusa, ma spesso poco compresa. La potenza della Croce di Gesù è il “segreto” che Sant’Antonio vuol svelare a tutti: per mezzo della Croce siamo liberati dal peccato a cui ci tenta il Diavolo e siamo anche protetti e difesi dall’azione straordinaria del Demonio, che in alcuni, rari, casi può manifestarsi. Il libretto “Ecce crucem domini. La preghiera di sant’Antonio contro il diavolo” di Fra Alessandro Ratti, OFM Conv (Edizioni Messaggero Padova 2020, pp. 50, Euro 7,90) aiuta a comprendere il senso della piccola orazione del santo di Padova mostra come il Santo di Padova ci aiuti nella lotta contro il Maligno in tutte le sue manifestazioni. Fa riscoprire tutto, tra storia e fonti letterarie. Offre pure un’essenziale antologia dai “Sermoni” di Sant’Antonio sulla lotta al Maligno. Poi allarga le sue note a riflessioni più catechetiche sulla «morte in croce di Gesù e la sua discesa agli inferi» che «hanno gettato il demonio sconfitto fuori del mondo, una volta per tutte», dunque sulla liberazione grazie alla «redenzione operata da Gesù e realizzata in ciascun battezzato nella passione, morte e risurrezione del Salvatore».

L’intento dichiarato dell’autore, frate minore conventuale che vive e opera presso i Santuari Antoniani di Camposampiero, è far comprendere il senso della piccola preghiera “Ecce crucem Domini”, che è poi anche il titolo della sua nuova pubblicazione, dopo le non poche “antoniane” precedenti, sempre per le Edizioni Messaggero Padova, tra queste “Via crucis con la guida di sant’Antonio” (2017), “Rosario meditato con Sant’Antonio” (2016), “Tredicina di sant’Antonio” (2015), “Avvento e Natale in compagnia di sant’Antonio” e “Quaresima in compagnia di sant’Antonio” (2012).

Ad introdurre il libretto di Ratti, una prefazione di Padre Mario Mingardi, l’esorcista della Basilica del Santo di Padova, che sottolinea come Sant’Antonio di Padova sia stato «testimone di una scelta di fedeltà a Gesù» e non si sia «risparmiato nel predicare, con tutte le proprie forze, la salvezza generata dalla croce». Poche dense pagine che ci ricordano il significato di quel segno che per generazioni e generazioni i battezzati hanno ricevuto all’inizio della vita cristiana e spesso ha accompagnato il loro congedo: il segno della croce. Il simbolo più autentico di appartenenza alla comunità dei credenti che da duemila anni trova in Gesù Nazareno il Maestro da seguire. Simbolo scomodo, scrive Mingardi, che chiede agli stessi credenti da quale parte vogliono stare. Nell’eco di questa domanda i versetti degli evangelisti Matteo e Luca: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me», «colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo».

Sant’Antonio da Padova e il demonio. Ecce crucem domini
di Don Marcello Stanzione

Antonio da Padova è certamente uno dei santi più popolari tra il popolo cristiano. Fernando Martins, questo è il suo vero nome di battesimo, nasce a Lisbona nel 1195. Tuttavia l’Italia e Padova sono così legati al suo ministero che si deve considerare italiano e padovano di adozione.

Appartenne prima all’ordine dei canonici regolari della Santa Croce di Coimbra che osservavano la regola agostiniana.

Colpito dalla vista dei corpi dei cinque protomartiri francescani martirizzati da una missione fra i mori del Marocco e poi per l’incontro dei francescani, divenne desideroso di soffrire il martirio, perciò entrò nel convento francescano di Sant’Antonio di Coimbra, assumendo il nome del patrono e santo abate.

Si imbarcò poche settimane dopo per la missione africana, ma dovette rientrare a causa di una malattia, approdando dopo un naufragio in Sicilia. Frate Antonio partecipò al capitolo generale della Porziuncola nel 1221, dove poté vedere San Francesco. Ricevette l’ordinazione sacerdotale a Forlì come membro della provincia francescana della Romagna. Dopo aver fatto il cuoco, per caso i superiori scoprirono in lui le capacità del predicatore. Così egli predicò in Italia settentrionale e in Francia meridionale contro gli eretici accompagnando la parola con grandi prodigi.

Fu il primo a insegnare teologia tra i francescani a Bologna, nominato come lettore di teologia da parte dello stesso San Francesco. Morì il 13 giugno 1231 all’Arcella (sobborgo di Padova), a soli 36 anni e fu canonizzato nella Pentecoste dell’anno seguente da Papa Gregorio IX nella cattedrale di Spoleto.

Riguardo al demonio, Sant’Antonio da Padova, secondo la tradizione, disturbato dalla presenza del maligno durante la preghiera, lo scaccia tracciando un segno di croce che rimane inciso sul marmo del pavimento. Del resto, Antonio nel suo ministero, intuì sempre perfettamente, senza mai dar loro grande importanza, i segni dell’azione del disturbatore.

Era terribilmente attivo nel tiranno Ezzelino da Romano, apostrofato dal Santo come “cane rabbioso” spargitore di sangue innocente; nell’avaro con il cuore rinchiuso nello scrigno del denaro; nel peccatore della gola serrata perché non confessi al sacerdote le sue colpe e si converta; addirittura in certi pastori di Chiesa che pascolano solo se stessi! Con parole che definiremo “moderne”, Sant’Antonio paragona il diavolo a un terribile “esattore” che “una volte offrì al nostro progenitore Adamo la moneta del peccato, e adesso non cessa mai di richiederla ogni giorno con gli interessi dell’usura”.

Il Santo descrive bene come agisce in noi il tentatore, il quale è un furbissimo” indagatore di mercato”: “Dapprima fa un giro attorno alla terra, cioè alla mente dell’uomo, indaga con molta astuzia a quale vizio sia più incline, e quindi la percorre per tentare ciascuno secondo quanto ha rivelato”.

Impressiona come il Santo analizzi la progressione dell’opera malvagia di Satana, sulla quale l’uomo progressivamente si appiattisce, sempre affermando e difendendo una presunta libertà: “Così il diavolo, prima strappa al peccatore gli occhi, poi lo lega con le catene delle cattive abitudini e quindi lo chiude nel carcere dell’ostinazione, affinché non possa uscire alla luce della confessione”. Ma, secondo Antonio, l’uomo è capace di superare in malvagità addirittura lo stesso suo pessimo maestro: “Vergogna quanto mai sorprendente, che il diavolo debba arrossire di un peccato dell’uomo, peccato che egli non gli ha suggerito, quando l’uomo stesso, disgraziato, di quel suo peccato non arrossisce!”.

Invocazione a Sant’Antonio da Padova
composta da San Bonaventura

Ricordati, o caro Sant’Antonio, che tu hai sempre aiutato e consolato chiunque è ricorso a te nelle sue necessità.
Animato da grande confidenza e dalla certezza di non pregare invano, anch’io ricorro a te, che sei così ricco di meriti davanti al Signore. Non rifiutare la mia preghiera, ma fa’ che essa giunga, con la tua intercessione, al trono di Dio.
Vieni in mio soccorso nella presente angustia e necessità, e ottienimi la grazia che ardentemente imploro, se è per il bene dell’anima mia.
Benedici il mio lavoro e la mia famiglia: tieni lontane da essa le malattie e i pericoli dell’anima e del corpo. Fa’ che nell’ora del dolore e della prova io possa rimanere forte nella fede e nell’amore di Dio.
Amen.

Si quaeris
composta da Fra Giuliano da Spira

Questa preghiera di lode – o responsorio – in onore di Sant’Antonio fa parte dell’Officium rhythmicum s. Antonii, che risale al 1233, due anni dopo la morte del Santo. Questo responsorio è cantato nella Basilica di Sant’Antonio a Padova e, ogni martedì, in molte chiese nel mondo intero.

Si quæris miracula
mors, error, calamitas,
dæmon, lepra fugiunt,
ægri surgunt sani.

Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani.

Pereunt pericula,
cessat et necessitas;
narrent hi, qui sentiunt,
dicant Paduani.

Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani.

Glória Patri et Filio et Spíritui Sancto.
Sicut erat in princípio,
et nunc et semper
et in sæcula sæcolorum.

Cedunt mare, vincula,
membra, resque perditas
petunt, et accipiunt
juvenes, et cani.

Se cerchi i miracoli,
ecco messi in fuga la morte, l’errore, le calamità e il demonio;
ecco gli ammalati divenir sani.
Il mare si calma, le catene si spezzano;
i giovani e i vecchi chiedono e ritrovano la sanità e le cose perdute.
S’allontanano i pericoli, scompaiono le necessità:
lo attesti chi ha sperimentato la protezione del Santo di Padova.
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio e ora e sempre, nei secoli dei secoli.
Amen.

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