Ecclesia in Medioriente. Parola, Comunione, libertà religiosa. Una esplorazione dell’esortazione post-sinodale

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È “comunione” la parola più utilizzata nell’esortazione post-sinodale Ecclesia in Medioriente. Una comunione simboleggiata in qualche modo dalla richiesta di trovare un accordo per una “traduzione comune della Preghiera del Signore, il Padre Nostro, nelle lingue vernacolari della Regione”. In una novantina di pagine divise in tre sezioni, con una introduzione e una conclusione, Benedetto XVI non fa proclami politici. D’altronde – scrive – le posizioni della Santa Sede sulle questioni “politiche” del Medioriente sono già ampiamente note. E dunque l’invito che fa il Papa è quello di ripartire dalla parola, dal dialogo tra le religioni sui temi fondamentali, a partire dalla libertà religiosa, sviluppando collaborazioni feconde “nell’ambito delle attività caritative e della promozione dei valori della vita umana, della giustizia e della pace”. Ma c’è, soprattutto, una consapevolezza. Che “la Chiesa cattolica in Medio Oriente sa che non potrà manifestare pienamente questa comunione ai livelli ecumenico e interreligioso se non la ravviva anzitutto in se stessa e in seno a ciascuna delle sue Chiese, tra tutti i suoi membri: Patriarchi, Vescovi, presbiteri, religiosi, consacrati e laici”. Un appello che vuole “tracciare una via per ritrovare l’essenziale”, dice il Papa ad Harissa. E l’essenziale è “la sequela Christi” in un contesto difficile e doloroso, che “potrebbe far dimenticare la croce gloriosa“. E’ essenziale anche perché “la timidezza dispiace a Dio”.

 

Comunione

 

La comunione “è un dono di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta”. Benedetto XVI lo scrive subito, all’inizio dell’esortazione post-sinodale. E aggiunge: “È proprio a motivo della sua origine divina che la comunione ha una portata universale”. Per i cristiani la comunione è “un imperativo”, ma – scrive il Papa – “non rimane meno aperta ai nostri fratelli giudei e musulmani, e a tutte le persone, che anch’esse, in forme diverse, sono ordinate al Popolo di Dio”.

Il Medioriente è una terra che ha bisogno di unità. E la prima responsabilità è quella dei credenti, la cui unità “si nutre” dell’annuncio della Parola, della carità, dell’Eucarestia e della preghiera personale e comunitaria. “Come è triste – scrive il Papa – vedere questa terra benedetta soffrire nei suoi figli che si sbranano tra loro con accanimento, e muoiono!”. C’è bisogno di pace, una pace “così desiderabile che è diventata un saluto in Medioriente”. “La pace – scrive il Papa – non è solamente un patto o un trattato che favorisce una vita tranquilla, e la sua definizione non può essere ridotta alla semplice assenza di guerra. La pace significa secondo la sua etimologia ebraica: essere completo, essere intatto, compiere una cosa per ristabilire l’integrità”.

Ma – aggiunge il Papa – “il cristiano sa che la politica terrena della pace non sarà efficace se la giustizia in Dio e tra gli uomini non ne è l’autentica base, e se questa stessa giustizia non lotta contro il peccato che è all’origine della divisione. Perciò la Chiesa desidera superare tutte le distinzioni di razza, di sesso e di livello sociale sapendo che tutti non sono che uno in Cristo, il quale è tutto in tutti”. Non fa riferimenti precisi, Benedetto XVI, perché “le posizioni della Santa Sede sui differenti conflitti che affliggono la Regione e quella sullo Statuto di Gerusalemme e sui Luoghi Santi sono largamente conosciute”. C’è in nota un riferimento alla Propositio 9 del documento finale del Sinodo del Medioriente, in cui si afferma: “Le nostre Chiese si impegnino a pregare e operare per la giustizia e la pace in Medio Oriente e si dedichino alla purificazione della memoria e alla promozione del linguaggio della pace e della speranza, invece di quello della paura e della violenza. Si appelleranno alle autorità civili responsabili perché applichino le risoluzioni delle Nazioni Unite relative alla religione, in particolare al ritorno dei rifugiati, allo statuto di Gerusalemme e ai luoghi santi”. Un modo per distinguere i piani. La Santa Sede si appella al diritto internazionale, il Papa alla purificazione degli Spiriti e del linguaggio. Sono due piani diversi e complementari del lavoro della Santa Sede per il bene comune.

Favorire l’unità

Un lavoro per il bene comune che è il cuore dell’agenda internazionale della Santa Sede, ma è anche il cuore del suo operare nel dialogo interreligioso ed ecumenico. Sono molte le confessioni cristiane in Medioriente, e lo stesso Benedetto XVI durante questo breve viaggio in Libano visiterà ben quattro patriarcati differenti. Eppure, in un “contesto costrittivo, instabile e attualmente incline alla violenza”, Dio – dice il Papa – “ha permesso il fiorire della sua Chiesa”. Un mosaico che “richiede uno sforzo importante e costante per favorire l’unità, nel rispetto delle ricchezze proprie, al fine di rafforzare la credibilità dell’annuncio del Vangelo e la testimonianza cristiana”. “La situazione del Medioriente – afferma Benedetto XVI – è essa stessa un appello pressante alla santità della vita”. E allora ci vogliono pastori che educhino i fedeli ad “essere testimoni della comunione in tutti i campi della loro vita”. Ma è anche importante che le Chiese cristiane si pronuncino “con una sola voce sulle grandi questioni morali a proposito della verità umana, della famiglia, della sessualità, della bioetica, della libertà, della giustizia e della pace”. Ma – soprattutto – “Converrebbe soprattutto che tutti ritornassero ancora maggiormente a Cristo stesso”.

Ritornare a Dio. Promuovere la fraternità

Del ritorno a Dio, Benedetto XVI ha fatto un “leit motiv” del suo Pontificato, tutto teso proprio a celebrare l’Anno della Fede che sta per iniziare. Il quaerere Deum, il cercare Dio, è per il Papa la condizione fondante della civiltà europea – come ha spiegato nel discorso al College des Bernardins a Parigi nel 2008 – ed è anche la condizione sine  qua non per un rinnovamento nella fede. “Non può esserci rigenerazione interna del fedele, della comunità credente e della Chiesa intera senza che ci sia un ritorno deciso e senza equivoci, ciascuno secondo la propria vocazione, verso il quaerere Deum, la ricerca di Dio che aiuta a definire e a vivere in verità il rapporto con Dio, col prossimo e con se stessi

”È questo l’ecumenismo spirituale, di cui si parla nel Concilio Vaticano II, di cui è permeata l’esortazione post-sinodale e di cui è stato un convinto fautore il card. Walter Kasper, per anni presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e punto di riferimento per gli ex studenti di Benedetto XVI che si sono incontrati, come ogni anno, a Castel Gandolfo, questa volta per parlare di ecumenismo. “L’unità ecumenica – scrive il Papa  non è uniformità di tradizioni e di celebrazioni”. Benedetto XVI guarda alle comunità delle Chiese orientali, a quelle delle Chiese latine. Ne sottolinea gli aspetti positivi e la totale complementarietà. Guarda anche al mondo delle altre confessioni cristiane nell’aerea. Ricorda che “i matrimoni tra fedeli cattolici e ortodossi sono numerosi e richiedono una particolare attenzione ecumenica”, e per questo incoraggia i vescovi e gli  eparchi “ad applicare, per quanto possibile e laddove esistono, gli accordi pastorali per promuovere a poco a poco a poco una pastorale ecumenica d’insieme”, e auspica anche che veda la luce un documento sul mutuo riconoscimento del Battesimo tra la Chiesa cattolica e le Chiese con cui è in dialogo teologico.

Operare la fraternità. Questa la parola d’ordine di Benedetto XVI. Partendo, ovviamente dalla Bibbia. “Una lettura insieme della Bibbia, come anche la sua diffusione, potrebbero, ad esempio, aprire questo percorso”. E poi, si potrebbero sviluppare collaborazioni per promuovere i valori “della vita umana, della giustizia e della pace”. Sono tutte iniziative che possono contribuire a “una migliore conoscenza reciproca e alla creazione di un clima di stima, che sono le condizioni indispensabili per promuovere la fraternità”.

Il dialogo

Il dialogo con le altre religioni è parte della “vocazione universale della Chiesa”, e lo è ancora di più un Medioriente, dove il legame con le altre religioni è basato su “legami spirituali e storici che uniscono cristiani agli ebrei e ai musulmani”. Un dialogo che poggia “su basi teologiche, che interpellano la fede”, perché “Ebrei, cristiani e musulmani credono in un Dio Uno, creatore di tutti gli uomini”. “Possano – è l’auspicio del Papa – gli ebrei, i cristiani e i musulmani riscoprire uno dei desideri divini, quello dell’unità e dell’armonia della famiglia umana. Possano gli ebrei, i cristiani e i musulmani scorgere nell’altro credente un fratello da rispettare e da amare per dare in primo luogo sulle loro terre la bella testimonianza della serenità e della convivialità tra figli di Abramo”. Il riconoscimento di un Dio uno può “contribuire notevolmente alla pace nella regione e alla convivenza rispettosa dei suoi abitanti”, e questo si contrappone alle strumentalizzazioni in “conflitti reiterati e ingiustificabili”. Ancora nel volo papale verso Beirut, Benedetto XVI ha sottolineato che “ il fondamentalismo è sempre  una falsificazione della religione e va controlli senso della religione che invece vuole riconciliare e creare la pace nel mondo”. Ed era un tema che era tornato prepotente nell’incontro con i leader religiosi ad Assisi dello scorso ottobre.

Cristiani, le relazioni con musulmani ed ebrei

Con gli ebrei – dice il Papa – sono state “innumerevoli e reiterate le incomprensioni e le diffidenze reciproche”. E poi, sono “inescusabili e altamente condannabili le persecuzioni insidiose o violente del passato”. E nonostante “queste tristi situazioni”, le due religioni si sono così reciprocamente influenzate da contribuire “alla nascita e alla fioritura di una civiltà e di una cultura chiamata comunemente giudeo-cristiana”, come “se questi due mondi che si dicono differenti o contrari per diversi motivi avessero deciso di unirsi per offrire all’umanità un nobile legame”. Un legame “che unisce mentre separa”, poiché i due popoli “hanno ricevuto la stessa benedizione e promesse d’eternità” che permettono di avanzare con fiducia verso la fraternità”.

Quando Islam e cristianesimo si sono incontrati, spesso ci si è basati sulla controversia dottrinale, differenze che “sono servite come preteste agli uni e agli altri per giustificare, in nome della religione, pratiche di intolleranza, di discriminazione di emarginazione e persecuzione”. Ma musulmani e cristiani condividono la stessa vita quotidiana in Medioriente, lì dove la presenza dei cristiani – ci tiene a sottolineare il Papa – non è accidentale né nuova, ma storica. E lì i cristiani “si sono lasciati interpellare dalla religiosità dei musulmani, ed hanno proseguito, secondo i propri mezzi e nella misura del possibile, a vivere e promuovere i valori evangelici nella cultura circostante. Il risultato è una particolare simbiosi”. In fondo, la cultura mediorientale si può avvalere dei contributi ebraico, cristiano e musulmano.

Cristiani in Medioriente

E si tocca il nodo della presenza cristiana in Medioriente. I cattolici sono “in maggior parte cittadini nativi del loro Paese” ,e hanno “il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, lavorando alla costruzione della loro patria”. Devono “godere di piena cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori”. Desiderano “condividere le loro esperienze con i musulmani, dando il loro specifico contributo”.

Libertà religiosa, via per la pace

“È a motivo di Gesù – dice il Papa – che i cristiani sono sensibili alla dignità della persona umana e alla libertà religiosa che ne consegue”. “Non è giusto” affermare che i diritti della persona umana “non sono che diritti cristiani dell’uomo”. “Sono semplicemente – dice il Papa – diritti connessi alla dignità di ogni persona umana e di ogni cittadino, a prescindere dalle origini, dalle convinzioni religiose e dalle scelte politiche”.

Culmine di tutte le libertà è la libertà religiosa, un diritto “sacro e inalienabile”, che comporta sia “la libertà individuale e collettiva di seguire la propria coscienza in materia religiosa, sia la libertà di culto”, che include “la libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza”. Il Papa chiede che si possa manifestare la propria religione senza mettere in pericolo la propria vita e la libertà personale, ricorda che “la libertà religiosa è radicata nella dignità della persona, garantisce la libertà morale e favorisce il rispetto reciproco”. Sono temi che in questo pontificato sono risuonati più volte, in modo particolare nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2011, “Libertà religiosa, via per la pace”.

E a questo tema, il Papa sensibilizza anche gli ebrei, che “hanno sofferto a lungo ostilità spesso letali” e che “non possono dimenticare i benefici della libertà religiosa”; e i musulmani, che “condividono con i cristiani la convinzione che in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza”. Una costrizione che può assumere diverse e insidiose forme sul piano personale e sociale,culturale, amministrativo e politico (non è un caso che nell’ultimo discorso agli ambasciatori Benedetto XVI abbia plaudito alla legge sulle minoranze religiose in Georgia), e che “è contraria alla volontà di Dio”, perché “è una fonte di strumentalizzazione politico-religiosa, di discriminazione e di violenza che può condurre alla morte. Dio vuole la vita, non la morte. Egli proibisce l’omicidio, anche quello dell’omicida”.

È vero, c’è tolleranza religiosa. Ma “non impegna molto, perché rimane limitata nel suo raggio di azione”. È necessario il salto di qualità, passare dalla tolleranza alla libertà religiosa. Un passaggio che “non è una porta aperta al relativismo, come alcuni affermano. Questo passo da compiere non è una crepa aperta nella fede religiosa, ma una riconsiderazione del rapporto antropologico con la religione e con Dio. Non è una violazione delle verità fondanti della fede, perché, nonostante le divergenze umane e religiose, un raggio di verità illumina tutti gli uomini”.

La verità

E tutta l’attività diplomatica della Santa Sede sotto Benedetto XVI si è sviluppata sul concetto di verità. Una verità che “si può sviluppare soltanto nella relazione con l’altro che apre a Dio, il quale vuole esprimere la propria alterità attraverso e nei miei fratelli umani”. Poi c’è una frase che Benedetto XVI aveva espresso allo stesso modo nella Messa che concludeva quest’anno lo Schuelerkreis , il raduno dei suoi ex alunni: “Non è opportuno affermare in maniera esclusiva: « io possiedo la verità ». La verità non è possesso di alcuno, ma è sempre un dono che ci chiama a un cammino di assimilazione sempre più profonda alla verità. La verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, perciò all’altro non possiamo imporre la verità; solo nell’incontro di amore la verità si dischiude”.

Fraternità in luogo del fondamentalismo e del secolarismo

È dal Medioriente che deve arrivare la dimostrazione che “vivere insieme non è un’utopia” e che “la diffidenza e il pregiudizio non sono una fatalità”. Ancora una volta, l’esortazione post-sinodale sottolinea che “le religioni possono mettersi insieme per servire il bene comune e contribuire allo sviluppo di ogni persona e alla edificazione della società”. Il dialogo è vissuto ogni giorno in Medioriente. Si viveva quasi naturalmente il dialogo con l’Islam, si vive – da tempi più recenti – il dialogo ebraico-cristiano, e intanto intellettuali, teologi delle tre grandi religione aprono tavoli insieme, fanno incontri e ricerche varie “che occorre favorire”.

Soprattutto in un mondo che ormai conosce due realtà opposte: la laicità, “con le sue forme talvolta estreme”, e il fondamentalismo, “che rivendica un’origine religiosa”. “È con grande sospetto che alcuni responsabili politici e religiosi medio-orientali, di tutte le comunità, considerano la laicità come atea o immorale”. Ma se nella sua forme estrema la laicità, “diventata secolarismo, nega al cittadino l’espressione pubblica della sua religione e pretende che solo lo Stato possa legiferare sulla sua forma pubblica”, esiste anche una “sana laicità”, che “significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due”. Un tema che Benedetto XVI ha svolto particolarmente in Germania, usando il termine “demondanizzazione” che va proprio inteso nel senso di “purificare e dialogare”. Una laicità sana – dice il Papa – “garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose”.

Dall’altra parte, la base del fondamentalismo religioso risiede nelle “incertezze economico-politiche, l’abilità manipolatrice di certuni ed una comprensione insufficiente della religione”. Il fondamentalismo “rifiuta il vivere insieme secolare”, vuole prendere il potere “a volte con violenza” sulla coscienza di ciascuno e sulla religione per ragioni politiche”. E il Papa si appella ai responsabili religiosi ebrei, cristiani e musulmani della regione, “affinché cerchino col loro esempio e il loro insegnamento di adoperarsi in ogni modo al fine di sradicare questa minaccia che tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni”.

L’esodo dei cristiani

E l’attenzione va anche verso l’Esodo dei cristiani, perché la regione “senza o con pochi cristiani non è più il Medio Oriente, giacché i cristiani partecipano con gli altri credenti all’identità così particolare della regione. Gli uni sono responsabili degli altri davanti a Dio”. Il Papa chiede di evitare “una politica o una strategia che privilegi una sola comunità e che tenderebbe verso un Medio Oriente monocromo che non rifletterebbe per niente la sua ricca realtà umana e storica”. “Per necessità, stanchezza o disperazione – scrive il Papa dei cattolici nativi del Medio Oriente si decidono per la scelta drammatica di lasciare la terra dei loro antenati, la loro famiglia e la loro comunità di fede, altri, al contrario pieni di speranza, fanno la scelta di restare nel loro paese e nella loro comunità. Li incoraggio a consolidare questa bella fedeltà ed a rimanere saldi nella fede”.

Ma c’è un problema inverso, e riguarda i pastori delle Chiese latine, che “devono gestire l’arrivo massiccio e la presenza nei paesi ad economia forte della regione di lavoratori di ogni sorta provenienti dall’Africa, dall’Estremo Oriente e dal subcontinente indiano. Queste popolazioni costituite da uomini e donne spesso soli o da intere famiglie, affrontano una doppia precarietà. Sono stranieri nel paese dove lavorano, e sperimentano troppo spesso delle situazioni di discriminazione e d’ingiustizia”.

La koinonia

Tutti problemi da affrontare con la koinonia, la comunione, un dono da accogliere pienamente da parte di tutti e da costruire senza sosta. E l’esortazione post-sinodale si rivolge a patriarchi (ai quali spetta di “assicurare una gestione sana, onesta e trasparente dei beni temporali della Chiesa”, e che sono invitati a fare “un elenco serio delle finanze e dei beni allo scopo di evitare la confusione tra i beni personali e quelli della Chiesa”), sacerdoti, consacrati, famiglie, laici, persino bambini. Chiede vocazioni, il Papa, ed indica una strada che vale in assoluto e non solo per il Medioriente.

“Il sorgere delle vocazioni dev’essere favorito da una adeguata pastorale. Essa deve essere sostenuta dalla preghiera in famiglia, in parrocchia, in seno ai movimenti ecclesiali e nelle strutture educative. Le persone che rispondono all’appello del Signore hanno bisogno di crescere in luoghi di formazione specifici e di essere accompagnate da formatori idonei ed esemplari. Questi ultimi li educheranno alla preghiera, alla comunione, alla testimonianza e alla coscienza missionaria”.

La risposta è nell’educazione. Educazione alla propria religione, educazione alla comunità, educazione alla preghiera. Il Papa chiede – in particolare a quelli chiamati alla vita religiosa – a “lasciarsi sedurre dalla Parola di Dio”. “Non può esserci rigenerazione interna del fedele, della comunità credente e della Chiesa intera senza che ci sia un ritorno deciso e senza equivoci, ciascuno secondo la propria vocazione, verso il quaerere Deum, la ricerca di Dio che aiuta a definire e a vivere in verità il rapporto con Dio, col prossimo e con se stessi”.

Chiede ai laici “una testimonianza senza paura” dell’amicizia con Gesù, pur rispettando le altre fedi, ed esorta i bambini a scoprire la virtù dell’obbedienza ai genitori, e ai genitori di tenere una famiglia unita, nonostante le difficoltà, e di creare una famiglia cristiana, perché “è importante che il bambino veda i genitori pregare”, perché comprenda che “amare Dio è buono e bello”.

Parola di Dio

Una testimonianza che richiede “non solamente una formazione cristiana adeguata all’intelligibilità delle verità di fede, ma anche la coerenza di una vita conforme a questa stessa fede, così da poter rispondere alle esigenze dei nostri contemporanei”. L’esortazione riconosce l’importanza delle scuole di esegesi orientali, e raccomanda una vera pastorale biblica “Spiegando la Bibbia in modo semplice e accessibile, si contribuirà a dissipare molti pregiudizi o idee erronee su di essa, da cui derivano controversie inutili e umilianti”. Di qui, il suggerimento di proclamare un Anno Biblico, a seconda delle condizioni pastorali di ogni Paese della regione, e di farlo seguire, se opportuno, da una Settimana annuale della Bibbia, e magari dal promuovere lectiones divinae. Infine, il Papa incoraggia lo sviluppo di nuove strutture della comunicazione e la formazione – non solo tecnica, ma anche dottrinale ed etica – di personale specializzato in questo settore, nevralgico per l’evangelizzazione.

Anche il rinnovamento della liturgia deve essere basato sulla Parola di Dio. L’esortazione raccomanda anche un maggiore accostamento alla pratica della Riconciliazione. La purificazione della memoria, per Benedetto XVI, oltre ad essere una condizione di partenza per il dialogo, è una condizione necessaria per la vita cristiana. Non a caso ha voluto a volte somministrare personalmente il sacramento della riconciliazione, come è accaduto durante l’ultima Gmg a Madrid.

E poi, la preghiera, da cui viene l’efficacia dell’evangelizzazione. Il Medio Oriente è un luogo privilegiato di pellegrinaggio per molti cristiani che qui possono consolidare la propria fede e vivere un’esperienza profondamente spirituale. Quindi, il Papa chiede che i fedeli possano avere libero accesso, senza restrizioni, ai Luoghi Santi. Essenziale anche che il pellegrinaggio biblico di oggi ritorni alle sue motivazioni iniziali: un cammino penitenziale, alla ricerca di Dio. L’evangelizzazione, che in Medioriente deve guardare alle due dimensioni ecumenica e interreligiosa. La cultura e la formazione al rispetto dell’altro, e per questo il Papa incoraggia anche gli istituti culturali, che testimoniano come un dialogo pacifico sia possibile, e incoraggia la lettura del catechismo e il commento del catechismo della Chiesa cattolica.

Nelle conclusioni, Benedetto XVI chiede, in nome di Dio, ai responsabili politici e religiosi non solo di alleviare le sofferenze di tutti coloro che vivono in Medio Oriente, ma anche di eliminarne le cause, facendo tutto il possibile per arrivare alla pace.Allo stesso tempo, i fedeli cattolici sono esortati a consolidare e a vivere la comunione tra loro, dando vita al dinamismo pastorale. “La tiepidezza dispiace a Dio” e quindi i cristiani del Medio Oriente, cattolici ed altri, diano testimonianza di Cristo, uniti e con coraggio. Una testimonianza non facile, ma esaltante.

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