Card. Scola: 50 anni di fedeltà a Cristo ed alla Chiesa

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“Ci congratuliamo con affetto per questo lieto evento e per il lungo ministero svolto con zelo in varie situazioni, comunità ecclesiali e impegni, sia nei luoghi di destinazione, sia in altri compiti a lui affidati, ma anche per le molte eccellenti cooperazioni svolte a favore di tutta la Chiesa e della Sede Apostolica, mentre, invocando l’intercessione della Beatissima Madre di Dio, la Vergine Maria, Regina degli Apostoli, chiediamo per il Nostro Venerabile Fratello tutti i migliori doni spirituali da Cristo Buon Pastore e impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione come pegno di grazie celesti, chiedendo particolari preghiere per l’esercizio del Nostro ministero Petrino”.

Con questa lettera papa Francesco, nel giorno del 50^ anniversario del suo sacerdozio, il 18 luglio scorso, ha rivolto un caloroso saluto al card. Angelo Scola che quest’anno ha dato alle stampe due interessanti libri:‘L’esperienza della solitudine. L’uomo vive come relazione o non vive’ e la riedizione ‘Ho scommesso sulla libertà’.

Nel libro ‘L’esperienza della solitudine’ il card. Scola offre una rilettura del romanzo ‘Delitto e castigo’ dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij: “Il potente affresco del romanzo è dipinto su tre ante, di dimensioni tra loro molto diverse. La prima, circoscritta, è interamente occupata dall’analisi del delitto: dalla genesi iniziale dell’idea nella mente di Raskolnikov al suo ossessivo ingigantirsi, fino all’esecuzione materiale.

Nella seconda anta, amplissima, Dostoevskij scendendo nell’abisso dell’animo del protagonista descrive l’emergere (all’inizio fragile e contraddittorio poi sempre più inarrestabile) del rimorso, che lo spinge a costituirsi e, in un certo senso, ad invocare il castigo per potersi liberare dal peso della colpa che lo opprime.

Questa analisi occupa la maggior parte del romanzo, perché Dostoevskij (qui come in tutte le sue opere) è insuperabile nello scavare in profondità la radice del male nell’uomo e, fuori dell’uomo, nella stessa potenza demoniaca. La terza è l’anta del riscatto, della risurrezione, condensata nelle poche ma decisive pagine dell’Epilogo”.

Però partendo dalla lettera del papa gli chiediamo di raccontarci quali sono stati i momenti più importanti in questi 50 anni: “Sono molte le esperienze importanti, iniziando dall’incontro fatto a 18 anni con la realtà creata da don Luigi Giussani, che mi ha strappato dall’intorpidimento della vita cristiana, che era avvenuto in me per un sogno di carattere politico e di giustizia sociale, che era importante, ma aveva messo da parte il nesso tra l’avvenimento di Cristo e la totalità dei fattori del reale, cioè tutti gli elementi della vita c’entravano con Cristo e potevano essere vissuti in una maniera diversa.

Questo è stato un momento decisivo, perché è stato un momento di cambiamento, che ha determinato il mio ingresso in seminario ed il diventare sacerdote. Poi è opportuno ricordare i momenti di prova vissuti durante il periodo della preparazione al sacerdozio e le malattie. Poi attraverso la rivista ‘Communio’ il dono insperato di conoscere grandi persone della Chiesa e di lavorare con loro:Wojtyla, Ratzinger, Balthazar… Eppoi il dono del mio rapporto con il mondo universitario ed i ‘compiti’ che la Chiesa mi ha assegnato. In questo senso vedo che il Signore, nonostante i miei limiti, il Signore mi sta accompagnando”.

Come giudica gli attacchi a papa Francesco, soprattutto quelli che nascono all’interno della Chiesa?

“E’ un segno di contraddizione molto forte e denota un infragilimento del popolo di Dio, soprattutto della classe degli ‘intellettuali’, perché è sbagliato in quanto dimentica che il papa è il papa e non è che si riconosce il papa all’interno della Chiesa per affinità. Il papa è la garanzia, attraverso l’esercizio sinodale, dell’unità della Chiesa. Considero questa modalità di giudizi sull’azione del papa, soprattutto quando si instaurano paragoni con i papati precedenti, un fenomeno fortemente negativo e da estirpare il prima possibile”.

Cosa significa che il papa ‘va imparato’?

“Significa mettere in evidenza che nella Chiesa c’è sempre un misto di continuità e di discontinuità. Questo è un aspetto molto importante perché altrimenti succederebbe come in molte università che il professore di ruolo si sceglie il suo ‘pupillo’ e così moltiplica se stesso. Non c’è da scandalizzarsi della differenza culturale e temperamentale di papa Francesco, rispetto a papa Benedetto XVI od a papa Giovanni Paolo II od a papa Paolo VI.

Anzi questo è un elemento che porta ricchezza, perché assicura la possibilità di cambiamento nella Chiesa. Credo che ‘imparare’ il papa vuol dire avere l’umiltà e la pazienza di immedesimarsi nella sua storia personale e nel modo in cui opera le sue scelte di guida.

A dire il vero lo spunto di questa frase mi è stato dato da Giovanni Paolo II, quando nel suo libro sulla vocazione raccontò che quando il card. Sapiega lo mandò a Roma a studiare gli disse che doveva imparare Roma, come il cuore ed il centro della cattolicità.  Per i cattolici il papa è questo punto di riferimento che va imparato pazientemente, ma non imitato supinamente”.

Ritornando al libro: cosa l’ha più colpita dei mesi scorsi?

“Il fatto che questo flagello colpisce le persone non solo nel loro corpo, ma anche nella loro dimensione spirituale, cioè nel loro essere un io-in-relazione (con se stessi, con gli altri e con Dio). Inevitabilmente questo stato di cose genera solitudine”.

Quale lezione può lasciarci ‘L’esperienza della solitudine’?

“Ovviamente dipende da come la si vive. E questo a sua volta consegue al senso che noi diamo alla nostra vita. Chi si apre al mistero di Dio ha mille occasioni per trarre guadagno anche dalla solitudine. Tante persone in tanti modi ce lo hanno testimoniato in questa tragica occasione”.

Come ha vissuto questo tempo di lockdown?

“Chiuso in casa, però ho avuto il modo di preparare gli interventi delle richieste pervenute. Anche se il contenuto primario è il problema della vecchiaia; ed ho in mente di scrivere qualcosa su due testi celebri: uno del card Newman intitolato ‘Il sogno di Geronzio’, che vuol dire vecchio; l’altro di Eliot intitolato anch’esso ‘Geronzio’.

Voglio confrontarmi con la vecchiaia e con l’implicazione decisiva che è la morte; quindi di fidarsi nella preghiera di quella grande prospettiva che Gesù ci ha insegnato e che è contenuta nel desiderio di vedere il volto di Dio, che deve essere più forte della morte stessa. Questa è una lotta che, quando si arriva alla mia età, inevitabilmente viene in primo piano”.

Quale immagine è rimasta di questo periodo di lockdown?

“Mi hanno impressionato le potenti immagini di papa Francesco che la sera di venerdì 27 marzo attraversa, solo e sotto una pioggia battente, piazza san Pietro deserta per affidare tutta l’umanità al Crocifisso e al cuore della Vergine. Ha avuto la forza di trasformare una necessità di prudenza in un’occasione di preghiera che ha la forza di coinvolgere milioni di persone. Ma è lo stesso papa ad affermare con forza che alla vita della Chiesa è necessaria la presenza del popolo”.

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