Marco Marcatili: la resilienza della famiglia ai tempi del coronavirus

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Nel ‘tempo-Covid’ le famiglie hanno vissuto la propria abitazione in una dimensione nuova: luogo della scuola, del lavoro e del tempo libero, essa è diventata anche un elemento di valutazione e analisi, per capire cos’è successo in questi mesi, e soprattutto cosa accadrà in futuro, quali sono le percezioni e quali i comportamenti reali degli italiani.

Questi temi sono stati al centro dell’indagine, condotta da Nomisma, sulle famiglie italiane al tempo di Covid-19 ed all’economista Marco Marcatili, responsabile Sviluppo di Nomisma, abbiamo chiesto di raccontare la responsabilità che ci attenderà dopo il tempo di coronavirus, non del tutto superato:

 “Se dovessi dare una definizione alla responsabilità che ci attenderà dopo il coronavirus direi molto importante, in quanto alcuni cittadini si sono fatti carico di persone che erano vicine. Questo tragico momento ha mostrato che è possibile farsi carico dei problemi delle persone. Questo è il principale cambiamento; però per fare questo c’è  bisogno che ciascuno di noi allarghi un po’ il proprio perimetro di ‘vicinanza’.

Ho conosciuto un imprenditore che all’inizio del coronavirus aveva capito il problema principale dei suoi fornitori e si è fatto carico dei loro problemi, andando in banca a prelevare il denaro per aiutare i fornitori. Questa si chiama responsabilità sociale d’impresa, che significa soddisfare le esigenze del cliente e saper gestire allo stesso tempo le aspettative di altri stakeholders, come ad esempio il personale, i fornitori e la comunità locale di riferimento; mentre la responsabilità civile invitava a fare qualcosa per il proprio territorio. Anche le amministrazioni pubbliche devono capire che la società civile dà un grande apporto di responsabilità per praticare l’inclusione”.

Quale peso avranno le relazioni sociali?

“E’ facile dire che esse saranno centrali. Però occorre mettere a fuoco che il distanziamento sociale ha fotografato benissimo la situazione in cui ci troviamo, aumentando la distanza tra chi ha contratto il covid e chi no; tra chi ha perso il lavoro e chi no; tra chi ha preso lo stipendio e chi no. Questo periodo ha mostrato che usciamo da questi mesi più in difficoltà. Allora è inutile affermare che le relazioni sociali contano”.  

Quali antivirus si potrebbero attivare?

“Il primo è l’antivirus di umanità che sta attaccando lentamente alcuni approcci turbo capitalistici in favore di una ‘economia umana’ e una certa propensione antropologica a incentrare le nostre viste solo sui valori, metodi e parole funzionali al mercato. La crescita economica durante la fase di globalizzazione ha prodotto una serie di ‘fratture’ non più sostenibili: tra la l’economia e il sociale, tra l’umano e l’ambiente, tra la produzione e la finanza, tra la competizione e la collaborazione.

Mentre tutto si espandeva, tutto si slegava: il nostro modello di crescita ha indebolito la trama dei rapporti sociali, inasprito le diseguaglianze, minacciato le possibilità di sviluppo futuro, eroso ogni intermediazione e svuotato le istituzioni. Ogni slegatura è diseconomia e si pagano oggi i conti della fase storica alle nostre spalle. Non sappiamo ancora bene in che cosa consisterà la prossima crescita economica, ma sappiamo che una crescita senza umanità non è sviluppo.

Il secondo è quello della sostenibilità, perché l’aumento di ricchezza e di benessere passerà da scelte in grado di aumentare l’economia, l’umano, il sociale e l’ambiente contemporaneamente. Migliorare la qualità delle relazioni umane, occuparsi di una sfida sociale o ambientale, come quella della salute, dell’acqua e dell’alimentazione, deve essere concepito come un vero e proprio business, non come atto filantropico esterno o indipendente dal core business. In questo senso l’impresa non è più un’organizzazione chiusa, ma un’infrastruttura aperta a cui viene richiesto di migliorare la qualità di un territorio e assicurare la sostenibilità dello sviluppo umano”.

Quale contributo hanno offerto le famiglie alla società nel tempo di ‘reclusione’?

“Bisogna subito intendersi sul significato di famiglia, perché il 40% è composta da un solo elemento; eppoi ci sono le famiglie ‘sandwich’ intrappolate tra la cura dei genitori anziani e quella dei figli. Il contributo offerto da queste ultime è stato enorme, oberate dal lavoro, dal seguire le lezioni scolastiche dei figli e la cura dei genitori anziani. Quindi hanno offerto un sostegno veramente importante e senza di esso molte istituzioni (scuola, servizi sociali, ospedali) sarebbero ‘saltate’.

Però hanno accumulato problemi economici e lavorativi. E sul futuro, sono più quelle che prevedono tempi brutti, mentre altre si illudono sull’ ‘andrà tutto bene’. Il 31,8% ritiene infatti che probabilmente avrà problemi economici (sono circa 8.100.000 famiglie) e il 29,8% è sicuro che andrà incontro a difficoltà (7.700.000 famiglie).

Più ottimiste il 21,9% delle famiglie (sono 5.600.000 famiglie resilienti) che pensa di non subire nei prossimi mesi particolari contraccolpi mentre il 16,4% (circa 4.100.000 famiglie forti) è sicuro sulla tenuta del proprio bilancio. Le famiglie italiane appaiono concrete, e maggiormente preoccupate per la tenuta complessiva del sistema paese a partire dal lavoro”.

In quale senso la famiglia ha una fiducia da ‘fronteggiamento’?

“In quanto è fiducia orientata soprattutto verso quei soggetti che nel quotidiano del lockdown sono stati percepiti come capaci di fronteggiare le minacce tipiche della pandemia, prime fra tutte quelle dell’area sanitaria e a seguire quelle di tipo sociale. E’ interessante vedere come in cima alla scala di fiducia ci sono i tre soggetti che ci sono stati durante la crisi (medici, volontari e insegnanti) non sono figure astratte ma assai concrete e le famiglie si sono fidate di chi c’era.

La fiducia nel volontariato è proprio perché in quei 40 giorni le famiglie hanno toccato con mano l’aiuto concreto e l’attenzione prestata dai tanti volontari. L’investimento fiduciario sulla figura degli insegnanti può essere letta in una duplice direzione.

E’ stato un esplicito riconoscimento dell’importanza delle figure educative che, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno saputo trovare nuovi equilibri, in modo da garantire una didattica a distanza e una tenuta delle relazioni a fronte di una radicale disarticolazione dell’organizzazione scolastica e dei processi di apprendimento”.

Il coronavirus ha fatto emergere che la società è stata colta di sorpresa ed impreparata, però la solidarietà è aumentata: perchè?

“Il tempo-Covid si è rivelato un tempo a ‘solidarietà aumentata’, in cui sono emerse energie sociali inedite. C’è stato uno spontaneismo, anche di un volontariato un po’ individuale, un po’ organizzato inatteso, ma che ha contribuito al potenziamento delle relazioni solidali: condivisione delle informazioni utili, donazioni, impegno diretto in prima persona e cura delle relazioni tra vicini, auto-aiuto familiare, cooperazione tra diverse associazioni.

Uno dei punti ora è capire se questa che è emersa è una solidarietà aumentata che andrà dispersa, oppure è un energia sociale che un po’ interroga la solidarietà organizzata e il Terzo settore? Occorre anche ricordare come il tempo pre-Covid sia stato caratterizzato da una forte campagna di delegittimazione delle forme organizzate della solidarietà e da una forte predominanza sul fronte culturale di una prospettiva di ‘individualismo metodologico’.

In questa prospettiva la ‘solidarietà aumentata’ è un primo lascito che chiede cura e attenzione per ritessere relazioni stabili, orientate dalla cooperazione piuttosto che dalla competizione, dall’attenzione alla comunità piuttosto che dell’autoreferenzialità”.

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