Nicoletta Dentico: i vaccini siano patrimonio dell’umanità

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Un vaccino universale, patrimonio dell’umanità; cioè gratuito, senza brevetto, disponibile a tutti e ovunque, perché tutti gli abitanti del mondo sono coinvolti dalla pandemia di Covid-19, e perché la questione non è più soltanto scientifica, ma etica. L’appello è stato lanciato alcuni mesi fa dal papa ed è stato declinato in un documento da oltre 120 scienziati e accademici di tutto il mondo per convincere i governi a superare la competizione scattata tra laboratori e centri di ricerca e trasformare la battaglia in uno sforzo comune focalizzato a rendere il vaccino (o i vaccini) contro il Covid-19 disponibili a tutti.

Comunque la ricerca di un nuovo vaccino è un processo lungo (il tempo previsto è di circa 18 mesi) e la sua ricerca è costosa, come hanno ammesso i firmatari: “Molti laboratori di ricerca commerciale che sono impegnati in questa ricerca si aspettano un elevato ritorno sugli investimenti”.

Però nel documento gli scienziati hanno ricordato come avvenne la storia della scoperta del vaccino contro la poliomelite da parte del biologo americano Jonas Salk: “Per sviluppare questo vaccino Salk ricevette una sovvenzione da una Fondazione fondata dal presidente Roosevelt, con donazioni da milioni di americani.

Per il successo ottenuto, accreditò la partecipazione di 1.400.000 bambini su cui fu testato il vaccino. I ricercatori che sviluppano innovazioni terapeutiche come i vaccini hanno bisogno della collaborazione di tutti. Un vaccino può funzionare solo se le inoculazioni vengono eseguite su larga scala”.

Nel documento gli scienziati hanno sottolineato anche che nella ricerca esiste una questione etica: “Singoli governi, o un gruppo di governi, o fondazioni, singoli filantropi, organizzazioni globali, come l’OMS, con supporto pubblico e privato, possono farsi avanti per finanziarlo.

Ma la questione etica di grande importanza che deve essere risolta è la quantità di guadagni attesi che un laboratorio o un inventore dovrebbe avere diritto per un farmaco salvavita necessario per tutte le persone in tutto il mondo. Allo stesso tempo, dovremmo anche considerare quale onore e riconoscimento globale diamo agli inventori e ai laboratori che li rendono di dominio pubblico incondizionatamente senza costi finanziari o a costi”.

Partendo da questo ‘manifesto’ abbiamo incontrato Nicoletta Dentico, esperta di cooperazione internazionale, co-fondatrice dell’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale (OISG), e director Global Health Program alla Society for International Development, nonché autrice del nuovo saggio ‘Ricchi e buoni? Il volto oscuro della filantropia globale’.

A lei abbiamo chiesto di raccontarci se è possibile un vaccino patrimonio dell’umanità: “Ci dovrebbe essere già da tempo un vaccino patrimonio dell’umanità, visto che già da tempo gli scienziati del vaccino hanno deciso di non brevettare le loro scoperte, perché volevano utilizzare queste conoscenze per il bene dell’umanità.

Questo è successo con i precedenti vaccini della poliomelite, per esempio. Quindi ci sono state situazioni in cui gli scienziati, di fronte all’importanza della loro scoperta, hanno deciso di non brevettare quella conoscenza, ma di lasciarla come bene comune. Nel caso di una pandemia come Covid 19, che vede il mondo sguarnito di qualunque rimedio, sarebbe importante che il vaccino diventi patrimonio dell’umanità.

Temo che questo non succederà, anche se ci sono state enunciazioni in questo senso. Non succederà, perché esistono regole molto ferree dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, che stabiliscono monopoli dei brevetti su qualunque tipo di nuova scoperta nel campo farmaceutico; soprattutto non mi sembra che i governi mobilitati su questo fronte, perché vedo che i governi annunciano che questo vaccino diventi un bene comune, ma tuttavia danno soldi alle aziende per fare tali scoperte per arrivare al vaccino, senza porre condizionalità di alcun tipo o stabilire le regole del gioco.

Spero che nel futuro vedremo negoziati molto aspri su come rendere questo vaccino un patrimonio comune con prodotti che possano essere accessibili anche ai Paesi poveri”.

Quali pressioni possono esserci a favore di un vaccino di dominio pubblico?

“Le pressioni sono della grande comunità delle organizzazioni non governative, che da 20 anni conduce la battaglia per l’accesso ai farmaci essenziali, che ancora è molto attiva: questo è un luogo in cui si cerca di fare pressione verso i governi per dire loro che non possono finanziare chiunque senza porre condizioni, perché se si afferma che questo vaccino deve essere un bene comune si devono stabilire subito condizioni; non ci si può arrivare dopo.

Una seconda pressione è quella dei governi verso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche se si sono tentate alcune iniziative, come quella di 35 Paesi che hanno chiesto di fare un database in cui tutti i brevetti fossero condivisi da parte delle aziende, perché tale condivisione accelera lo sviluppo scientifico e velocizza il processo di ricerca.

Di fatto molte aziende stanno ignorando questa opportunità, pensando che sia un disincentivo per l’impegno delle aziende nella ricerca scientifica. Poi ci sono le partnership pubblico/private, create negli ultimi 20 anni dalla filantropia, che coordinano la ricerca con l’OMS: occorre fare pressione su loro, perché queste realtà possano avere una rappresentanza della società civile in modo da accogliere quest’esigenza di considerare i vaccini come bene comune.

Occorre fare soprattutto pressione sui governi, perchè sono loro che finanziano la ricerca. E’ veramente assurdo che i soldi dei contribuenti andassero a finire per rafforzare il monopolio di un’azienda, che diventerebbe di fatto un ostacolo all’accesso al vaccino per tutti contro Covid 19 nel  tempo più veloce. Sono tutte condizioni che dovremo conquistarci faticosamente nei prossimi mesi”.

Come si dovranno ripensare le politiche sanitarie?

“Si dovranno ripensare in maniera sostanziale, perché la salute dovrà essere di nuovo messa al centro delle politiche nazionali. Per molto tempo la salute è stata considerata come un ‘ministero senza portafoglio’, sottomessa alle regole dell’economia con tagli di bilancio.

In poco tempo Covid 19 ha smascherato questi ‘miti’ di mercato legato alla salute; quindi c’è un lavoro da fare, perché occorre un servizio sanitario che permetta alle persone di essere accudite e tutelate rispetto alle avversità della vita. Bisogna riposizionare la salute al centro della visione di un Paese, perché è chiaro che quando non si fanno investimenti nel socio sanitario le persone muoiono.

La salute è una sfera troppo vitale per essere affidata completamente ai privati. Infine la salute umana non può essere separata dalla salute ambientale; per troppo tempo abbiamo considerato la salute solo come prestazione sanitaria. Non abbiamo investito nella prevenzione.

Voglio sperare che dopo questa pandemia si rimetta la salute al centro delle politiche. Quando nel 1978 abbiamo ‘inventato’ il Servizio Sanitario Nazionale la salute era considerata una chiave per aprire le porte della democrazia”.

L’Italia è dotata di strumenti per affrontare le pandemie?

“Nessuno ha la minima idea di cosa succederà. L’OMS ci dice che il vaccino non potrebbe essere quella soluzione magica, che risolve le questioni. La lezione, che deriva da questa pandemia, è che nessuno si salva da solo e soltanto attraverso una collaborazione internazionale si possono affrontare le sfide che Covid 19 porta a tutto il mondo.

Questa pandemia ha completamente squadernato problemi strutturali che la globalizzazione ha sedimentato da tempo. Lavorare oggi sulla salute significa lavorare sulla politica. Dobbiamo immaginare un lavoro con la connessione che la salute ha con tutti gli aspetti della vita economica e sociale di un Paese.

Pensare alla salute significa pensare sì al benessere delle persone anziane, ma è anche un benessere per le future generazioni. Le politiche devono essere pensate nella loro interdisciplinarietà e non ripetere l’errore di considerare la salute esclusivamente come prestazione sanitaria e tecnologica. La salute è la prosecuzione della politica per altri mezzi, diceva Amartya Sen”.   

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