Casaldaliga: profeta e poeta dell’Amazzonia

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Sabato scorso è morto a 92 anni, assistito da due padri agostiniani,  mons. Pedro Casaldaliga, missionario claretiano spagnolo che dal 1971 è stato vescovo della prelatura di São Félix do Araguaia, nal Mato Grosso brasiliano, che fu tra i primi a denunciare la violenza del latifondo sulla terra e le popolazioni indigene.

Era arrivato in Amazzonia nel 1968 e tre anni dopo papa Paolo VI lo aveva nominato vescovo della prelatura di São Félix do Araguaia, una zona periferica della foresta grande quanto metà dell’Italia. A quel punto lui aveva trasformato la casa che abitava in mezzo ai poveri nella sua sede episcopale. Ma soprattutto aveva cominciato a fare proprio il loro grido: in quegli anni fece subito scalpore la sua prima lettera pastorale: ‘Una Chiesa nell’Amazzonia in guerra contro il latifondo e l’emarginazione sociale’.

Denunce estremamente chiare dei mali dell’Amazzonia e delle ingiustizie nei confronti dei poveri, quelle di padre Pedro Casaldaliga, invise alla dittatura militare e motivo di tante minacce di morte nel corso della sua vita, proseguite anche dopo che nel 2005 per raggiunti limiti di età lasciò la guida della prelatura. In seno all’episcopato brasiliano è stato tra i fondatori della Commissione pastorale della terra (Cpt) e del Consiglio indigenista missionario (Cimi), gli organismi della Conferenza episcopale più impegnati in difesa dei contadini e degli indios.

Annunciando la sua morte l’associazione che nell’Araguaia ne ha raccolto l’eredità ha scritto: “Amato Pedro dal profondo del nostro cuore rendiamo grazie per la tua vita ‘donata’; per la speranza ‘fiduciosa’ che ci ha fatto e ci fa camminare; e per tutta la luce che ci hai dato in tutta la tua vita. Pieni di tristezza e di dolore, ti diciamo che le tue lotte sono le nostre; che il tuo cuore batte in ognuno di noi e che continueremo a cercare di vivere ogni giorno le cause che ci hai indicato. Sempre con speranza”.

Nella sua prima lettera pastorale del 1971 spiegò il significato della difesa degli ‘ultimi’, in particolare indigeni e contadini senza più terra: “Queste pagine sono semplicemente il grido di una Chiesa amazzonica, la prelatura di São Félix, nel nord-ovest del Mato Grosso, contro il latifondo e l’emarginazione sociale di fatto istituzionalizzata. Per dovere di pastori e per solidarietà umana”.

Papa Paolo VI lo nominò vescovo di São Félix do Araguaia il 27 agosto 1971, consacrandolo vescovo il 23 ottobre: “Qui si uccide e si muore più di quanto si viva. Qui uccidere o morire è più facile, alla portata di tutti, che vivere”.

Ma è stato scrittore e poeta; la ‘Messa della Terra senza mali’ (scritta insieme al poeta Pedro Tierra) è il testo che è stata una pietra miliare nella Chiesa in ‘uscita’: “E’ il desiderio più profondo del cuore umano: vivere in una terra senza mali. E’ anche il progetto di Dio: il suo Regno.

Prima di donarci un ‘cielo senza mali’, ci guida a trasformare il mondo in una ‘terra senza mali’. Quando la sofferenza antica si trasforma in speranza, quando i figli degli oppressori si riconciliano con i discendenti delle vittime, quando il passato oscuro diviene promessa di avvenire, allora nasce come canto e liturgia la ‘Terra senza mali’, la visione che ha consolato lungo i secoli il pianto di un popolo condannato allo sterminio”.

Poeta che amava la Chiesa e chiedeva quella giustizia che Gesù narra nelle parabole dei Vangeli in difesa degli ‘ultimi: “Fratelli nostri che vivete nel primo mondo: affinché il suo nome non venga ingiuriato, affinché venga a noi il suo Regno, e sia fatta la sua volontà, non solo in cielo, ma anche in terra, rispettate il nostro pane quotidiano, rinunciando, voi, allo sfruttamento quotidiano; non fate di tutto per riscuotere il debito che non abbiamo fatto e che vi stanno pagando i nostri bambini, i nostri affamati, i nostri morti; non cadete più nella tentazione del lucro, del razzismo, della guerra; noi faremo il possibile per non cadere nella tentazione dell’odio o della sottomissione, e liberiamoci, gli uni gli altri, da ogni male. Solo così potremo recitare assieme la preghiera della famiglia che il fratello Gesù ci insegna”.

Nel blog ‘Religion Digital’ José Manuel Vidal ha scritto: “Un santo normale, mistico con i piedi nudi sulla terra rossa; tutte le persone che ho visto avvicinarsi a lui durante la settimana in cui sono stato al suo fianco, lo hanno fatto con tanta devozione e riverenza come se fosse un santo vivente. Il santo del popolo. E forse la cosa migliore sarebbe che la Chiesa ufficiale, l’alto clero, non gli renda omaggio e non lo canonizzi. Perché, come Romero, l’altare ce l’ha già nel cuore del popolo: il santo di una Chiesa con cappello di paglia e sandali”.

(Foto: Settimana News)

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