Formare alla cultura della democrazia. La Santa Sede e l’agenda post-primavera araba

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Formare alla cultura della democrazia. Un impegno che “richiede tempo, sforzo, pazienza ed educazione”. Miguel Anguel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, fa di questo appello il centro del suo intervento alla Conferenza Internazionale su “Risveglio arabo e pace in Medioriente: prospettive musulmane e cristiane”, che si è tenuta ad Instanbul il 7 e l’8 settembre. Un appello che è anche il centro del messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2012, dedicato al tema “Educare i giovani alla Giustizia e alla Pace”. E che rispecchia in pieno il lavoro diplomatico della Santa Sede, fortemente influenzato dalla volontà di Benedetto XVI di basare le relazioni diplomatiche sulla Verità – e “Nella Verità, la Pace” fu il tema del primo messaggio mondiale per la pace siglato da questo Papa – e sul diritto. Una linea divenuta evidente anche durante l’ultimo concistoro.

 

 

 

C’è una parola che è il centro dell’intervento di Ayuso Guixot, ed è la parola democrazia. Il segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso analizza quello che è successo dopo la Primavera araba. Spiega che “i primi sfrutti del risveglio arabo sono state le vittorie di partiti politici islamici in Marocco, Tunisia ed Egitto”. Un risultato della democrazia, certo, considerando anche il fatto che questi partiti  “hanno adottato il linguaggio del pragmatismo e della moderazione”. Ma ora “c’è bisogno di un seguito per sviluppare ulteriormente e ‘allevare’ una “cultura della democrazia”. I passi da fare – spiega Ayuso – sono “sviluppare un chiaro ruolo del diritto, per cui tutti sono uguali davanti alla legge” e allo stesso modo “sviluppare le necessarie istituzioni statali che siano al servizio di tutti i cittadini”. Insomma, le elezioni che si sono tenute nei Paesi della primavera araba sono solo “un primo passo nello stabilire la legittimità d quelli che ora devono parlare su incarico del popolo”. Senza dimenticare “il pericolo che la democrazia può essere potenzialmente usata per legittimare estremisti e ideologie fondamentaliste”.

È per questo che si deve formare ad una cultura della democrazia. La parola “democrazia” non compare mai nel testo del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2012, ma ne è una base fondamentale, tanto che Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ne aveva fatto largo uso presentando il messaggio ai giornalisti. “I responsabili delle varie istituzioni sociali  e culturali – aveva detto Toso – curino le stesse loro istituzioni perché siano educative e giuste, perché la democrazia deve essere giusta per educare. In questo messaggio ci si rifà a quanto già proposto nell’enciclica Pacem in Terris. Vogliamo realizzare davvero una democrazia sostanziale? Vogliamo davvero realizzare nuovo ordine internazionale? Allora dobbiamo educare alla libertà, alla giustizia, alla verità e all’amore. In un contesto di catastrofe umana, e in cui l’educazione è l’emergenza, il Papa invita a lavorare solidamente, con serietà, per ricostruire i pilastri della cultura del nuovo umanesimo”. E anche Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, intervenendo allo Studium Aquinatis lo scorso luglio, aveva sottolineato l’importanza della democrazia –  che “significa sempre partecipazione e responsabilità, diritti e doveri” – in un discorso che mostrava come l’agenda internazionale della Santa Sede si potesse sintetizzare in due parole: bene comune.

Tutti approcci che trovano vasta eco nel discorso di Ayuso a Instanbul. Il quale ricorda che anche il Papa, nel discorso di inizio anno agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, aveva posto attenzione sul vasto movimento “di rivendicazione di riforme e di partecipazione più attiva alla vita politica e sociale” mosso dai giovani. Avverte per Ayuso, però, che “le sollevazioni popolari in Nord Africa e nella Penisola Araba non hanno ancora trovato il loro equilibrio politico natura”. E – spiega – può passare del tempo prima che questo equilibrio venga trovato, e ci può anche essere bisogno che “la comunità internazionale” faccia degli sforzi per assicurare che “il periodo di transizione politica in corso non generi o provochi una ulteriore instabilità all’interno della stessa società e della sua struttura politica”.

Per questo, Ayuso sottolinea gli sforzi dell’Università egiziana di Al Azhar, documenti che “supportano lo stabilimento di una forma democratica e costituzionale di governo eletta attraverso il suffragio universale”, sottolinea i principi di dialogo, tolleranza e rispetto (nessuno dovrà essere accusato di essere ateo) e afferma quattro principi basi che rappresentano le fondamenta di un sistema di governo democratico e costituzione: libertà di credo, di opinione e di espressione, di ricerca scientifica, di creatività artistica e letteraria.

E poi, il capitolo Siria, che sarà forse toccato anche da Benedetto XVI durante il suo prossimo viaggio in Libano, dove andrà come “messaggero di Pace”. Ayuso spiega che la posizione della Santa Sede riguardo la Siria è stata di chiedere la fine della violenza da parte di entrambe le parti in lotta; promuovere un dialogo per per la riconciliazione in modo da rispondere alle legittime aspirazioni della popolazione siriana; preservare l’unità della popolazione siriana senza discriminazione etnica o religiosa; chiedere alla Siria stessa di prendere atto delle preoccupazioni della comunità internazionale; e infine persuadere la comunità internazionale di dedicarsi a un processo per la pace in Siria e dell’intera regione, a beneficio del benessere dell’intera umanità.

Ayuso guarda poi ai cristiani in Siria, spaventati dallo spettro di quanto accaduto ai cristiani in Iraq. “I cristiani in Siria – dice – non vogliono essere marginalizzati, né cercano un vantaggio di parte. Piuttosto vogliono essere al servizio del bene comune, per essere ponti di riferimento, o ponti con e tra tutte le comunità”. Una scelta – quella di stare fuori da ogni scelta politica – che sarebbe “vergognoso definire codarda, invece che coraggiosa”. Perché – continua Ayuso – “la scelta di essere aperti a tutte le comunità, di trascendere gli interessi di parte, richiede forse un coraggio più grande. La missione dei cristiani è quella di essere costruttori di pace, armonia e unità tra tutti i siriani, senza alcuna discriminazione etnica o religiosa”.

L’agenda internazionale per il bene comune deve essere abbracciata da Cristiani e musulmani, che “devono – spiega Ayuso – illuminare quanti portano la pesante responsabilità di guidare le società perché sappiano discernere il grado di umanità delle loro decisioni”. E’ riconoscendo i diritti e le legittime aspirazioni dei popoli, è partendo dalla persona e dalla dignità umana, che si può costruire una società giusta. E questo – conclude Ayuso – “è vero sia per quanto riguarda le società già stabilizzate che quelle in profonda transizione”.

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