L’inizio di una nuova era secondo il prof. Borghesi

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Il senso dell’ultima opera, ‘La terza età del mondo. L’utopia della seconda modernità’, del prof. Massimo Borghesi, docente di Filosofia morale presso l’Università di Perugia, è contenuto nei due ordinali del titolo e del sottotitolo. L’idea della ‘terza età del mondo’ come compimento della storia e inizio di un regno dello Spirito, dopo quello del Padre (ebraismo) e del Figlio (cattolicità medievale), in cui tutte le forme concrete della religione cristiana si annullano in una fratellanza universale e nell’effusione del Paraclito, venne proposta per la prima volta dall’abate Gioacchino da Fiore nel XIII secolo. Questo sogno gnostico-millenaristico e il suo sviluppo nella riflessione occidentale è stato analizzato con acume e profondità insuperata dal gesuita francese Henri De Lubac.

Quindi, partendo dall’analisi del teologo francese De Lubac, Borghesi approfondisce la tesi della secolarizzazione come svolgimento dell’ideale florense e quindi della modernità come sviluppo autonomo da un Cristianesimo ereticale di cui mantiene, trasformandola, la promessa di realizzazione del regno di Dio sulla terra.

Al professore abbiamo chiesto di spiegarci il titolo del volume: “Il testo costituisce la riedizione del mio volume ‘L’era dello Spirito. Secolarizzazione ed escatologia moderna’, edito dalla casa editrice ‘Studium’ nel 2008 e da tempo esaurito. Ho voluto dare un nuovo titolo al testo, che esce ora ampliato ed aggiornato, perché permette di definire, in maniera più chiara, l’utopia che ha governato la cultura europea dall’illuminismo alla prima guerra mondiale. Si tratta dell’idea di una terza età del mondo, l’età moderna, che doveva seguire a quella antica e a quella medievale: un’epoca del compimento, di realizzazione etico-politico-spirituale senza precedenti.  

Questo modello, che presuppone una filosofia della storia scandita dal succedersi di epoche, viene delineato per la prima volta dal filosofo illuminista Lessing nella sua ‘Educazione del genere umano’ del 1780. Lessing è un autore chiave la cui importanza non è adeguatamente sottolineata negli studi sul pensiero moderno. Eppure è molto importante. La sua idea di un’epoca imminente, la terza età del mondo, di un nuovo Vangelo eterno che doveva sostituire il cristianesimo storico, affascinerà gli illuministi prima e i romantici poi.

Da noi Giuseppe Mazzini, con la sua idea della ‘terza’ Roma, e la  sua concezione della politica come nuova religione, dimostrerà di essere un perfetto discepolo di Lessing. Lessinghiani sono anche gli idealisti, Hegel e Schelling in particolare, con la loro idea delle tre epoche dello Spirito; lessinghiano è Auguste Comte con la sua legge dei tre stadi. Questa idea di una trilogia di epoche, che noi consideriamo come usuale, è una eredità lessinghiana. La ritroviamo anche nell’ideologia nazionalsocialista del Terzo Reich”.

In cosa consiste l’utopia della seconda modernità?

“L’utopia risiede nell’idea di una pienezza storica portata a compimento da un uomo ‘divino’ che si impossessa degli attributi religiosi nel momento stesso in cui decreta il tramonto della religione, cioè del cristianesimo. Si tratta di una ‘seconda modernità’ perché, contrariamente ai quadri storiografici abituali, il moderno non è unico. La prima modernità, che si conclude idealmente con la pace di Westfalia nel 1648, è una modernità ancora cristiana, di un cristianesimo in crisi che va incontro al naufragio per la tragedia delle guerre di religione.

L’ateismo moderno è un prodotto collaterale delle guerre tra cristiani e non già l’espressione della maturazione dell’uomo moderno. Nasce dallo scandalo, non dal passaggio dell’umanità all’età adulta. La lettura per cui il moderno costituirebbe, kantianamente, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità contrassegnato dalla fede, appartiene alla ‘seconda’ modernità, quella che trova nell’illuminismo ed in Lessing la sua consacrazione. La seconda modernità presuppone l’idea di secolarizzazione e questa trova la sua ideazione nel modello trinitario lessinghiano”.

Perchè la modernità cerca di disincarnare il Vangelo?

“Il passaggio al deismo, cioè ad una fede in Dio senza Incarnazione, ad un monoteismo senza Trinità, è già in opera nel ‘600 inglese e poi in Francia. E’ un prodotto delle guerre di religione, una formula di conciliazione che togliendo i dogmi conserva il residuo di un Dio astratto, unico, come una soluzione di compromesso. L’illuminismo riconosce la statura etica di Gesù ma non è più disposto ad accordargli la divinità.

Contribuisce a ciò la critica razionalistica dei testi sacri ad opera di Reimarus i cui ‘Frammenti di un Anonimo’ furono pubblicati proprio da Lessing. Il cristianesimo poteva essere attaccato solo dubitando delle testimonianze evangeliche. La critica di Reimarus scavò un fossato tra il Gesù della fede e quello della storia e aprì le porte all’ateismo della seconda metà dell’800”.

Nella modernità quanto è decisivo il pensiero di Gioacchino da Fiore?

“Decisiva è la rielaborazione del modello gioachimita, trinitario, delle epoche – del Padre, Figlio, Spirito Santo – che Lessing trasporrà dal piano teologico a quello filosofico proprio nella sua ‘Educazione del genere umano’. Questo è l’argomento del mio volume che tratta della secolarizzazione del modello gioachimita nel pensiero tedesco da Lessing a Nietzsche. 

Dico secolarizzazione perché il paradigma di Gioacchino ben si prestava a celebrare il superamento del cristianesimo storico – l’età del Figlio – in direzione di una nuova epoca che stava per venire: l’era dello Spirito che Hegel celebrava come l’era della Ragione assoluta.

Una Ragione che si alimentava dell’eredità della religione e che auspicava il passaggio da Dio all’uomo, all’Uomo divino, alla Umanità divina. Da qui sorge la religione ottocentesca dell’Umanità, della Ragione, dello Stato, della Nazione, che troverà la sua attuazione e il suo epilogo tragico nelle due guerre mondiali del ‘900”.

(Foto: Massimo Borghesi)

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