P. Monge: Santa Sofia e la situazione dei cristiani

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Oggi riapre ad Istanbul l’ex basilica cristiana, già museo, di Santa Sofia come moschea. Nelle settimane scorse il presidente, Recep Tayyip Erdogan, ha cercato di capitalizzare al massimo il consenso che questo processo può portare: “La riapertura di Santa Sofia alla preghiera islamica era il nostro più grande sogno di gioventù. Per questo ne siamo ancora più felici, le critiche dall’estero non ci influenzano. Quella presa è una decisione presa da uno Stato sovrano che sarà un bene”.

Al teologo delle religioni, p. Claudio Monge, domenicano, che vive ad Istanbul da 17 anni, lavorando per tessere fili di rapporti interreligiosi ed ecumenici, abbiamo chiesto di spiegarci per quale motivo Erdogan trasforma Santa Sofia in moschea: “Per rispondere metterei in evidenza una delle dichiarazioni di Erdoğan stesso, quando dice: ‘Santa Sofia appartiene alla Turchia e solo alla Turchia, non alle chiese ortodosse, o agli Stati Uniti o all’UE, compete di prendere una decisione in merito al suo destino’.

Su questa affermazione di ‘fierezza sovranista’, praticamente nessuno in Turchia ha obiettato (il che non vuol dire che tutti concordano sul modo di usare questa sovranità, in particolare in riferimento a Santa Sofia). Dunque, la chiave di lettura principale delle vicende di Santa Sofia, è politico-strategica, ben più che religiosa (anche se il discorso politico di Tayyip Erdoğan si è sempre nutrito anche di retorica islamista).

Sullo sfondo della sfida all’Occidente, la necessità di ricompattare una base elettorale che si assottiglia (più per il partito AKP che non per la sua persona), anche distogliendo l’attenzione da dossier ben più cruciali, come la situazione economica già difficile e resa drammatica dalla pandemia”.

Si può parlare di fine della laicità dello Stato?

“In effetti, soprattutto in Occidente, si sono sprecati i commenti che parlano di uno sfregio alla storica laicità della Turchia moderna voluta da Atatürk, padre della patria. Ma la laicità di Mustafa Kemal, non è mai stata una netta separazione tra stato e ‘moschea’ né, tanto meno, ha mai significato la tutela di diversità religiose e culturali in dialogo fra di esse; essa è, in realtà, uno strumento di potere con il nazionalismo!

Lo scopo del fondatore della Turchia moderna è quello di legittimare ‘l’islamità’ (800 anni di Impero Ottomano non si cancellano con un colpo di bacchetta magica) come condizione di appartenenza alla ‘turcità’, con un totale controllo politico sul religioso (l’esatto opposto di quello che avviene in uno stato islamico).

Certo, quando il politico penetra nel religioso per controllarlo meglio, i religiosi colgono l’occasione per infiltrare subdolamente il politico! Ma questo succede anche in Occidente, in un contesto culturale prioritariamente cristiano, dietro la volgarità demagogica (e obiettivamente blasfema) dei simboli religiosi ostentati e dell’uso strumentale del sacro!

Opporre laicità a religione è un errore di prospettiva e bisogna evitare anche di confondere secolarismo e laicità. La secolarizzazione è un’evoluzione sociale di emancipazione rispetto al riferimento religioso, indiscutibilmente presente anche in Turchia e che non si arresterà con la trasformazione di Santa Sofia in moschea!”

Anche il papa ha espresso il suo dolore: cosa significa per il dialogo interreligioso?

“Credo che papa Francesco, con la sua frase su Santa Sofia (che non aveva riferimenti espliciti alla trasformazione in moschea, come molte agenzie hanno inventato), volesse esprimere la sua fraterna e personale vicinanza al patriarca Bartolomeo e alla Chiesa ortodossa, particolarmente legata quel luogo di culto, per altro non più usato come tale da oltre 560 anni!

Il dialogo interreligioso, dal canto suo, non può essere invalidato dall’uso strumentale dei simboli religiosi e questa riconversione di Santa Sofia non sconfessa la dichiarazione di Abu Dhabi anzi, conferma, come ricorda quel documento, il fatto che non c’è dialogo possibile senza fratellanza e fratellanza senza educazione e conoscenza reciproca e della storia di ciascuno!

Un amico turco mussulmano, l’altro giorno mi scriveva di provare una profonda tristezza perché contemplando Santa Sofia aveva imparato l’importanza del dialogo. Ma ora, potrà davvero fare tesoro di questo apprendimento, coltivando le sue relazioni interreligiose con persone in carne ed ossa”.

A 10 anni dal martirio di mons. Padovese quale è la situazione dei cristiani?

“Non sicuramente peggiore ma senza significativi avanzamenti: come il riconoscimento del diritto di esistenza e incontro accordati non solo ai singoli come individui (nella loro sfera privata) ma alle comunità oranti e di vita.

Tuttavia, anche grazie alla testimonianza feconda di mons. Luigi Padovese e di don Andrea Santoro, la vera questione per dei credenti non è tanto essere custodi di monumenti o luoghi di culto attivi, ma testimoni di un Vangelo che non è semplice eredità di una storia passata, ma che interpella il presente e ci trasforma in pietre vive al cuore della storia, che mai potranno essere sequestrate a servizio di semplici fini terreni!”

(Foto: Pinterest)

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