A 150 anni dare senso all’infallibilità del papa

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Il 18 luglio 1870 si promulgava la Costituzione ‘Pastor Aeternus’ approvata dal Concilio Vaticano I, con la quale papa Pio IX definiva due dogmi della Chiesa cattolica: il primato di giurisdizione del Vescovo di Roma e l’infallibilità papale. Il documento venne approvato due mesi prima della fine del potere temporale dei Papi che avvenne con l’ingresso delle truppe piemontesi a Porta Pia a Roma.

A giudizio di Carlo Fantappiè, docente di storia del diritto canonico alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, il testo conciliare “rappresentò il coronamento di un processo di verticalizzazione interna alla Chiesa, dall’età gregoriana al Concilio di Trento, dopo la sconfitta delle tesi conciliariste intorno al primato del Concilio sul Papa e la consacrazione delle sue prerogative magisteriali dopo secolari discussioni intorno alla infallibilità del Papa”.

Infatti, se fin dai primi secoli fu riconosciuto il ruolo del vescovo di Roma come ‘custode della fede’, nell’età moderna, prima Lutero e i riformatori, poi i gallicani e i giansenisti, tentarono più volte di negare o di limitare l’infallibilità papale.

Nella Costituzione dogmatica si stabilisce il primato del papa dal passo evangelico dell’apostolo Giovanni, in cui Gesù dice a Simon Pietro che è ‘Cefa’: “A questa chiara dottrina delle sacre Scritture, come è sempre stata interpretata dalla Chiesa cattolica, si oppongono senza mezzi termini le malvagie opinioni di coloro che, stravolgendo la forma di governo decisa da Cristo Signore nella sua Chiesa, negano che Cristo abbia investito il solo Pietro del vero e proprio primato di giurisdizione che lo antepone agli altri Apostoli, sia presi individualmente, sia nel loro insieme, o di coloro che sostengono un primato non affidato in modo diretto e immediato al beato Pietro, ma alla Chiesa e, tramite questa, all’Apostolo come ministro della stessa Chiesa”.

Però questo ‘potere’ non sminuisce la collegialità: “Questo potere del Sommo Pontefice non pregiudica in alcun modo quello episcopale di giurisdizione, ordinario e immediato, con il quale i Vescovi, insediati dallo Spirito Santo al posto degli Apostoli, come loro successori, guidano e reggono, da veri pastori, il gregge assegnato a ciascuno di loro, anzi viene confermato, rafforzato e difeso dal Pastore supremo ed universale…

Dal supremo potere del Romano Pontefice di governare tutta la Chiesa, deriva allo stesso anche il diritto di comunicare liberamente, nell’esercizio di questo suo ufficio, con i pastori e con i greggi della Chiesa intera, per poterli ammaestrare e indirizzare nella via della salvezza”.

Da qui deriva anche il magistero dell’infallibilità del papa, come ha sottolineato il quarto Concilio di Costantinopoli: “Questo indefettibile carisma di verità e di fede fu dunque divinamente conferito a Pietro e ai suoi successori in questa Cattedra, perché esercitassero il loro eccelso ufficio per la salvezza di tutti, perché l’intero gregge di Cristo, distolto dai velenosi pascoli dell’errore, si alimentasse con il cibo della celeste dottrina e perché, dopo aver eliminato ciò che porta allo scisma, tutta la Chiesa si mantenesse una e, appoggiata sul suo fondamento, resistesse incrollabile contro le porte dell’inferno.

Ma poiché proprio in questo tempo, nel quale si sente particolarmente il bisogno della salutare presenza del ministero Apostolico, si trovano parecchie persone che si oppongono al suo potere, riteniamo veramente necessario proclamare, in modo solenne, la prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di legare al supremo ufficio pastorale”.

E quella Costituzione dogmatica ha definito in cosa consiste l’infallibilità del papa: ““Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa”.

Ed alcuni anni dopo (Udienza generale del 10 dicembre 1969) la chiusura del Concilio Vaticano II papa Paolo VI aveva affermato che quell’avvenimento meritava di essere commemorato: “Certamente, come fatto storico. Ma lo merita ancor più per la sua attualità, cioè per l’importanza che il Concilio Vaticano I conserva nel tempo nostro, non solo per la connessione, ch’esso ha col Concilio Vaticano secondo, come tutti sanno, ma altresì per gli insegnamenti da quello allora proclamati, i quali hanno anche lai nostri giorni un grande ed operante rilievo. Questo vorremmo ricordarvi quest’oggi, senza alcuna pretesa accademica: l’attualità del Concilio Vaticano primo”.

Ed ha spiegato l’attualità dei dogmi: “Ora bisogna ricordare che i dogmi della Chiesa possono essere attuali sotto un duplice aspetto: sotto un aspetto relativo al loro contenuto di verità rivelata, in quanto cioè sono definizioni autorevoli di un insegnamento divino contenuto nella Sacra Scrittura, o derivato a noi dalla predicazione apostolica, per via di Tradizione; sono la fede pensata, vissuta, celebrata dalla Chiesa, come Popolo di Dio animato dallo Spirito Santo e ammaestrato da una testimonianza autorizzata e qualificata, il Papa e i Vescovi con lui; e sotto questo aspetto i dogmi della Chiesa sono sempre attuali, cioè sono sempre veri di quella verità divina e soprannaturale, alla quale essi si riferiscono. La verità divina non cambia; perciò i dogmi della fede sono sempre attuali, sono sempre veri”.

Ha concluso l’udienza spiegando i dogmi della Costituzione dogmatica ‘Pastor Aeternus’: “Le altre due verità, sancite da quel Concilio, riguardano il Papato, al quale, auspice il Vangelo, la parola dei Padri e dei Maestri, la storia della Chiesa, sono riconosciute due somme prerogative, una relativa al governo della Chiesa: il primato pontificio; l’altra relativa al magistero della Chiesa: l’infallibilità pontificia…

Solo vogliamo qui far notare come i due dogmi che il Vaticano I assicura al patrimonio della fede della Chiesa rivestono anch’essi una superlativa attualità, perché l’uno, quello del primato, si riferisce all’unità della Chiesa, a quell’unità, di cui il Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, non è soltanto il vertice e l’espressione, ‘il centro personificato di questa unità’ come già diceva Giovanni Adamo Moehler, ma altresì ‘principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione’, come afferma il Concilio Vaticano II, facendo propria la dottrina del Vaticano I. La grande, la sofferta, l’attuale questione della ricomposizione di tutti i Cristiani nell’unità voluta da Cristo non può prescindere da questa verità dello stesso Vaticano I”.

(Foto: Wikipedia)

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