Patriarca Moraglia: riconoscere la presenza di Dio nella città

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La festa del Redentore è l’evento che ricorda la Grazia ricevuta da Venezia di far terminare la peste e, per volere del doge ai tempi in cui fu chiesta, fu fatta la promessa che ogni anno, nel giorno in cui la città fosse stata dichiarata libera dal flagello, si sarebbe tenuta una processione fino alla nuova chiesa votiva. Alla fine della pestilenza, nel luglio del 1577, si decise di festeggiare con decorrenza annuale la liberazione, con allestimento di un ponte votivo.

Ed anche domenica scorsa il patriarca Francesco Moraglia ha sottolineato che occorre riconoscere il limite umano: “La festa del Santissimo Redentore, in quest’anno così particolare e faticoso, risvegli nelle nostre comunità un vivo senso di Dio a partire proprio dalla percezione del limite e della fragilità umana e, quindi, una solidarietà che esprime la fede e, poi, diventa scelta sociale e politica attraverso la valorizzazione del principio di sussidiarietà che riconosce e promuove le aggregazioni dei cittadini.

Per l’uomo riconoscere il proprio limite e la propria fragilità non significa esser meno uomo, ma percorrere la strada che lo conduce alla gioia di scoprirsi creatura; accettare il proprio limite diventa cifra di una sana e matura umanità”.

In questo particolare momento la solennità ricorda che la salvezza è sempre possibile: “La pandemia ci ha segnati come singole persone e come comunità, ci ha toccato dentro e per chi non si è sottratto è stato possibile ripensare il proprio stile di vita. Il lockdown è stato vissuto in modi diversi; ha portato alcuni a riflettere criticamente sulla situazione, altri semplicemente a subirla.

La solennità del Redentore ricorda il mistero della salvezza che, per il cristiano, ha un solo nome: Gesù. Il Risorto è la risposta al grido che, in questi mesi, è riecheggiato in ospedali, residenze per anziani, reparti di terapia intensiva, luoghi di sofferenza ed anche fatica per malati, medici e infermieri, i cui volti stanchi e disfatti sono vivi nella nostra memoria…

Anche nel tempo della tecnoscienza l’uomo non può sentirsi assolutamente garantito; la precarietà appartiene all’uomo e gli ricorda chi è, nonostante i sogni d’immortalità puntualmente smentiti dai fatti”.

Dopo aver ripercorso e citato alcuni salmi dell’Antico Testamento, caratteristici del modo e del contenuto della preghiera con cui l’umanità da sempre si rivolge a Dio, mons. Moraglia ha quindi osservato, indirizzando il suo sguardo più decisamente su Venezia:

“L’uomo è persona, ossia essere “in relazione” e la città è prodotto della persona. La nostra amata città appartiene ai veneziani ma, per la sua unicità, è patrimonio del mondo. Dopo l’ultima ‘acqua granda’ dello scorso novembre e l’emergenza Covid 19, ancora in atto, è necessario mettere in campo idee capaci di proporre un nuovo modello di convivenza; è una sfida affascinante”.

Quindi ha sollecitato la città ad essere un ‘laboratorio’: “Venezia può diventare un importante laboratorio che, dalla sua storia, trae spunto per progettare un futuro che risponda alle esigenze della sua natura fragile, del suo patrimonio artistico culturale e, insieme, la renda vivibile a misura d’uomo; una città per un futuro nel quale natura, cultura, reddito e cittadinanza sappiano convivere a partire dal bene comune che non è l’aspettativa o i desiderata di qualche gruppo o lobby, ma è il bene di tutti e di ciascuno”.

Ed ha concluso l’omelia con l’invito anche alla Chiesa veneziana di partecipare attivamente: “Soprattutto la Chiesa che è in Venezia si deve sentire interpellata ed essere capace di proporre una visione in cui l’uomo, aperto a Dio, sia posto sempre al centro.

Vera laicità è riconoscere il posto di Dio anche nella società civile, sapendo andar oltre i desideri e le aspettative dei singoli. Il Signore Gesù, il Santissimo Redentore, che ci rivela la verità su Dio e sull’uomo, ci aiuti a far sì che l’uomo, abitando la città terrena, viva nella consapevolezza di come il Regno di Dio sia un dono che viene dall’alto e si edifica, giorno dopo giorno, imprimendo sulla città terrena un volto più umano, ossia più corrispondente all’uomo, a partire dalle sue fragilità materiali e spirituali”.

(Foto: Patriarcato di Venezia)

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