I giovani chiedono di non dimenticare Borsellino

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Ieri a Palermo si è svolta la commemorazione della strage di via D’Amelio, in cui 28 anni fa persero la vita Paolo Borsellino  e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina,alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una festa di popolo per non dimenticare chi ha sacrificato la vita contro la mafia e le trame oscure di chi non vuole la democrazia, come hanno detto molti giovani.

A Palermo il presidente Mattarella ha sottolineato che il dolore non si attenuerà finché non ci sarà verità: “A distanza di tanti anni non si attenuano il dolore, lo sdegno e l’angoscia per quell’efferato attentato contro un magistrato simbolo dell’impegno contro la mafia, che condivise con l’amico inseparabile Giovanni Falcone ideali, obiettivi e metodi investigativi di grande successo. Borsellino rappresentava, con la sua personalità e i suoi comportamenti, tutto ciò che la mafia e i suoi accoliti detestano e temono di più: coraggio, determinazione, incorruttibilità, senso dello Stato, conoscenza dei fenomeni criminali, competenza professionale…

La limpida figura del giudice Borsellino, che affermava, che chi muore per la legalità, la giustizia, la liberazione dal giogo della criminalità, non muore invano, continuerà a indicare ai magistrati, ai cittadini, ai giovani la via del coraggio, dell’intransigenza morale, della fedeltà autentica ai valori della Repubblica”.

Anche il presidente di Libera, Luigi Ciotti, ha ricordato che la memoria deve essere generativa: “Troppo facile una memoria solo commemorativa, una memoria che non è memoria viva, generativa di verità e giustizia. Sì, perché il nostro è un Paese che nega il diritto alla verità.

Un Paese con una memoria dimezzata o d’occasione. Una memoria che non fa luce su tante pagine oscure della nostra Storia: omicidi e stragi, giochi e accordi di potere, appropriazioni di beni comuni, interazioni fra lecito e illecito, complicità tra politica e crimine organizzato.

Ma una memoria dimezzata o manipolata non è accettabile per chi crede nella democrazia, cioè nella divisione dei poteri e nella condivisione della responsabilità. Non è compatibile la democrazia con le zone d’ombra, con gli abusi di potere, con i silenzi e le verità manipolate”.

Ed ha accusato la voce ‘rauca’ della politica: “Le mafie e il loro consolidato, antico potere vengono da lì. Vengono da una politica fiacca e complice, da una coscienza civica fatta di parole, da un’antimafia discontinua o al massimo stagionale.

Era forte la mafia sotto il fascismo, ha continuato a rafforzarsi nella libera democrazia, e questo è uno scandalo, la prova di quanto un testo sacro come la Costituzione, frutto di tanta lotta e sangue, sia stato tradito. Smettiamola allora di commemorare Paolo e tutti gli altri perché ce lo chiede il calendario. Smettiamo di fare della memoria celebrativa un alibi per fare poco o nulla negli altri giorni dell’anno”.

Una commemorazione ha senso solo se c’è la verità: “C’è solo un modo per ricordarli senza offenderli: fare della ricerca di verità la nostra etica, la nostra responsabilità e il nostro impegno. E’ quello che già molti fanno nel nostro Paese, molti che devono essere ancora di più se vogliamo cambiare il corso della nostra storia.

Solo cercando la verità troveremo la giustizia e daremo un futuro ai nostri giovani, che il bisogno di verità ce l’hanno nel sangue. Solo cercando la verità avremo sempre accanto Paolo e tutti gli altri, vittime del potere ma presenze sempre vive in chi combatte il potere e la menzogna per costruire verità e giustizia”.

Intanto rimane ancora un mistero ‘l’agenda rossa’, che è stata anche citata più volte nella sentenza di primo grado del processo ‘Borsellino quater’. I giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, parlano di ‘connessione’ quando si riferiscono ai ‘collegamenti’ tra la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino e il depistaggio di Stato nelle indagini sulla strage di via d’Amelio.

Dopo la strage di Capaci, Paolo Borsellino scriveva spesso i suoi appunti in quell’agenda rossa. Il suo collaboratore fidato, l’allora tenente Carmelo Canale gli disse un giorno: “Ma che fa, vuole diventare pentito pure lei?”.

E lui, il giudice, rispose serio: “Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere”. Proprio in quei giorni Borsellino, da procuratore aggiunto a Palermo, stava raccogliendo le prime rivelazioni di diversi pentiti di mafia di primissimo piano. Con lui aveva iniziato a collaborare Gaspare Mutolo, ex autista dell’allora latitante Totò Riina, che svelò i nomi delle ‘talpe’ di Cosa nostra nelle istituzioni come l’ex numero 3 del Sisde, Bruno Contrada, o il magistrato Domenico Signorino.

E in quei giorni aveva avuto notizia di un ‘dialogo’ tra pezzi dello Stato e i mafiosi, cioè la ‘trattativa’ di cui si sta occupando il processo in corso a Palermo a carico di alti ufficiali dei carabinieri, mafiosi, politici.

Rimangono impresse le parole di Agnese Piraino, moglie di Paolo Borsellino, oggi deceduta: “Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora.

Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi. Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua”.

Per non dimenticare, finchè non sia scoperta la verità!

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