Per il Cisf occorrono interventi urgenti o la famiglia muore

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Nei giorni scorsi è stato presentato il rapporto Cisf 2020, che ha tracciato un quadro allarmante sul futuro incerto di un Paese senza genitori e senza figli, a 40 anni dal ‘Rapporto sulla popolazione’, pubblicato nel 1980, in cui si ipotizzavano alcune tendenze (rischio denatalità, scarsa propensione dei giovani al matrimonio, limitata considerazione sociale della famiglia) considerati oggi da tutti gli studiosi come elementi che concorrono al declino italiano.

Ora il Rapporto Cisf 2020 (‘La famiglia nella società postfamiliare), traccia un quadro a tinte fosche sul futuro dell’istituzione familiare, come ha introdotto il direttore del Cisf, Francesco Belletti: “Abbiamo sempre cercato di valorizzare il positivo ma non possiamo negare che, come spiega il nostro studio, le famiglie sono sempre più piccole (il 60% ha una o due componenti). E tra vent’anni avremo almeno uno o due milioni in meno di coppie con figli. E già oggi il 36% dei giovani non vuole sposarsi, il 40% non vuole avere figli”.

Ed il Covid, come ha fatto notare il sociologo Pierpaolo Donati, curatore del rapporto, ha accelerato processi già gravissimi, legati alla crescita incontrollata delle nuove tecnologie in ambito mediatico e biologico: “La famiglia come l’ambiente si sta surriscaldando perché la cultura emergente accentua la perdita della funzione sociale della famiglia, cioè del valore prodotto dalla famiglia per la società. Se la famiglia viene fatta coincidere con il puro privato il genoma familiare (dono, reciprocità, sessualità coniugale, generatività) evapora”.

Dall’indagine emergono cinque tipologie. Quella ancora più numerosa è rappresentata dalle ‘Solide famiglie intergenerazionali’ (27,2%) che attribuiscono ancora un grande significato alla trasmissione dei valori del passato e si sforzano di proiettarli nel futuro.

In questa tipologia si trova la maggior presenza di anziani, in genere single, residenti al Sud, con basso livello culturale e professionale, ma anche con una forte coesione interna e una buona rete informale extrafamiliare. Per la seconda tipologia (23%), definita nel dossier  ‘La famiglia prima di tutto’, l’istituzione familiare è valore assoluto e irrinunciabile, ‘importante anche più della sua qualità relazionale’.

Poi le ‘Famiglie aperte e prosociali’ (22,1%) con un’attenzione solidale per i bisogni di altre persone, anche esterne alla famiglia, mentre appare meno significativa la dimensione istituzionale. Il valore rappresentato dai figli è inteso in modo non narcisistico, privilegiando l’autonomia delle giovani generazioni.

Il quarto gruppo è stato definito ‘Famiglie individualiste post moderne’ (18,5%) con un marcato orientamento individuale, connesso all’autorealizzazione e alla propria felicità, anche se proprio in questo gruppo si segnala un elevato grado di impegno civico e una grande attenzione alle qualità delle relazioni.

Infine i ‘Minimalisti’ (8,9% del campione) dove né il valore famiglia né quello dei figli appaiono significativi: l’individualismo vince sulla promessa dei legami e si registra la scarsa tenuta delle relazioni, mentre il sentimento dominante è quello della sfiducia.

Lo statistico Giancarlo Blangiardo ha avvertito che nei prossimi 20 anni si assisterà al progressivo calo della proporzione di coppie con figli (da 9.000.000 a 7/8.000.000) a beneficio delle coppie senza figli (da 5.400.000 a 6.500.000), mentre le persone sole cresceranno del 4,7%. Altro dato che tenderà a crescere quello della permanenza dei figli nella famiglia d’origine fino a età avanzata (fino a 45 anni).

Infine la post fazione del report è dedicata alla pandemia vissuta dalla famiglia, come ha scritto il direttore Francesco Belletti: “La pandemia ha ulteriormente confermato che la famiglia è il primo luogo di custodia e di tutela dell’umano, e insieme una risorsa irrinunciabile di coesione sociale e di responsabilità verso il bene comune: un capitale sociale praticamente impossibile da sostituire.

Questo già segnalavano i dati da noi raccolti, questo ha confermato l’esperienza di #iorestoacasa, che ha affidato alle famiglie, nel nostro Paese, il compito di proteggere la salute di ciascuno e di tutti. Io resto a casa, cioè in famiglia:

e i genitori si sono sobbarcati dall’oggi al domani un impressionante compito educativo e gestionale, con i propri figli, esclusivamente all’interno delle pareti domestiche, affidandosi soprattutto a quelle relazioni familiari interne già emerso nei dati come punto di forza strategico, e confermato dalla stragrande maggioranza delle famiglie italiane, come valore educativo e risorsa per le nuove generazioni.

La capacità dell’Italia di ripartire dovrà quindi essere misurata non solo dai punti di PIL o dai posti di lavoro che riusciremo a rigenerare (fondamentali, peraltro), ma anche dalla reale capacità di sostenere le famiglie e le loro relazioni: quel tessuto connettivo insostituibile, quella microfibra sociale che tiene insieme un popolo, che le famiglie quotidianamente tessono con pazienza, fatica e tenacia, e che rimane insostituibile per l’equilibrio e la stabilità sociale ed economica del Paese”.

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