ONU: cessate il fuoco globale. Cauto ottimismo?

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Una fioca luce si accende nella lunga notte del coronavirus: mercoledì scorso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato, all’unanimità, la risoluzione n. 2532/2020 per un cessate il fuoco globale.

Si tratta di una misura quantomai necessaria nel momento attuale, nel quale le guerre, insieme alla diffusione del virus, raggiungono un potenziale di morte drammatico.

Dopo gli appelli del Papa, del Segretario Generale dell’ONU, di Oxfam e di altri leader mondiali, l’obiettivo è raggiunto. Le uniche azioni militari che godranno della copertura politico-istituzionale delle Nazioni Unite saranno quelle legate alla lotta al terrorismo di matrice islamica.

La domanda che si impone è se, una volta adottato il documento, vi sarà la volontà concreta dei Paesi belligeranti di sospendere le ostilità e di lasciare in secondo piano lo sviluppo degli armamenti, per dedicarsi a pieno ritmo per l’unica priorità del momento: far fronte comune contro la pandemia e garantire a tutti, specialmente i più poveri, l’accesso alle cure e alla prevenzione.

Purtroppo, i tempi della diplomazia sono notoriamente lunghi e questa risoluzione, sebbene rappresenti un segnale positivo, sconta un ritardo enorme: sono passati ben 111 giorni tra la dichiarazione dell’OMS dello stato pandemico e l’adozione del cessate il fuoco.

Sono stati giorni durissimi, nei quali abbiamo visto fosse comuni, ospedali privi del materiale sanitario per offrire assistenza, campi per rifugiati stracolmi di disperati, flussi migratori senza controllo.

Siamo stati sconvolti a veder prosperare le lobby delle armi, a spese della ricerca scientifica, e abbiamo appreso che uno dei pochi settori non toccati dalla crisi è stato proprio l’economia incivile, foriera di morte e distruzione.

Sarebbe, di certo, più utile che il cessate il fuoco si trasformi in pace duratura e sicura, ma il cammino da fare è lunghissimo e le possibilità di un regresso sono elevate.

Basti pensare alle dure critiche contro la gestione ambigua dei Paesi occidentali in ambito libico: come denunciato dall’inviato speciale dell’ONU Salamé, quanto deciso nei negoziati e nelle sentenze viene costantemente disatteso dalle stesse potenze che si dichiarano garanti della pace.

Ci si può aspettare responsabilità da chi ha tradito e tradisce continuamente gli impegni? Non credo, ma bisogna comunque sperare, e le parole di Papa Francesco nell’Angelus della scorsa domenica – ‘Possa questa Risoluzione del Consiglio di Sicurezza diventare un primo passo coraggioso per un futuro di pace’ – manifestano quel cauto ottimismo che sta diventando il leitmotiv di questo tempo sospeso.

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