“Nostro figlio è morto in grembo ma la sua vita era già preziosa”: il racconto di una mamma

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Quando il  16 aprile di quest’anno  abbiamo scoperto  di attendere  un terzo figlio, ci  trovavamo ancora nel bel mezzo dell’emergenza Covid. Avevamo due bambini ancora molto piccoli (sempre chiusi in casa per i motivi che tutti sappiamo) e il periodo non era dei migliori. Eppure, la nostra vita di preghiera, proprio in quelle settimane, era diventata molto più intensa: paradossalmente, ci sentivamo interiormente più sereni di prima, nonostante le difficoltà da affrontare per via dell’epidemia in atto.

La nostra pace non era frutto di uno sforzo e ci accorgevamo perfettamente che non dipendeva dalle circostanze, bensì dall’aver recuperato un rapporto più intimo con Dio e con Maria. “Questo figlio è frutto del rosario…”, ho detto alle persone più intime, dopo essermi scoperta incinta. Dentro di me sentivo che Dio, quel figlio, lo aveva proprio voluto. C’erano tante coincidenze che me lo facevano pensare.

Il pomeriggio del 4 giugno, però, avrei capito che i piani di Dio su Andrea (questo sarebbe stato il suo nome) erano molto diversi dai miei, molto diversi da quelli che avrei mai potuto immaginare. “Qui non c’è attività cardiaca”, mi ha comunicato la dottoressa durante l’ecografia. Avevo sentito bene? Mio figlio non c’era più?

Non potevo crederci: io stavo benissimo… a parte le piccole perdite di quella mattina, nessun segnale, tutto apparentemente nella norma! Sono scoppiata a piangere. Doveva essere il nostro ‘regalo di Natale’ (il termine era segnato per il 23 dicembre) e invece era già volato via, a sole 9 settimane.

‘Lo so, mi dispiace, si vive come un lutto’, mi ha detto la dottoressa. Avrei voluto rispondere: ‘Come  un lutto? Perché, che cos’altro sarebbe? Ho appena perso mio figlio…’, ma ero troppo concentrata sul mio dolore per dire qualsiasi cosa. ‘Non è stata colpa tua. – ha precisato lei – Probabilmente c’era un’alterazione cromosomica e non si poteva fare nulla…’.

Ancora sconvolta ho chiamato mio marito per dirgli ciò che era accaduto (a causa delle norme anti-Covid non era con me). E durante quella telefonata è avvenuto qualcosa che, per me, è stato un vero miracolo:   insieme, siamo riusciti a spostare lo sguardo dal basso verso l’alto, da una morte incomprensibile, alla vita eterna. In quei minuti, parlando con mio marito, sono riuscita a rivolgere il mio pianto a Dio e ho capito.

Ho capito che nostro figlio era già in Cielo. Che potevo stare tranquilla: Dio lo amava già perdutamente. Che avevo già fatto tantissimo, generandolo e portandolo a Lui. Perché Andrea aveva già un’anima immortale, destinata all’incontro con il suo Creatore. E se Dio lo aveva chiamato in Cielo così presto, doveva esserci un piano, un disegno, che noi dovevamo solo comprendere e, se necessario, collaborare perché si realizzasse.

La dottoressa mi aveva detto, prima di lasciarmi telefonare a mio marito, che avevo due possibilità: aspettare l’espulsione per vie naturali, oppure sottopormi al raschiamento. ‘Io voglio fare l’intervento, – ho concluso con mio marito – per dargli un funerale e seppellirlo: non è solo materiale organico, è nostro figlio e la sua vita è preziosa. Voglio onorarla fino alla fine…’.

Prima di comunicare quella decisione alla dottoressa, lo ammetto, mi sono sentita matta: chi chiedeva un   funerale per un bambino morto ad appena 9 settimane nel grembo materno? Chi chiedeva un funerale dopo un raschiamento? Quella vita – mi trovavo ancora nel primo trimestre di gravidanza – era vista da tanti (in primis dalla legge) come ‘materiale organico’.

E devo dire che, parlando col personale sanitario, mi sono scoraggiata ancora di più: a sentir loro, fare un funerale sembrava impossibile! C’erano degli esami da eseguire per legge sul feto, era difficile portarlo via dall’ospedale…

​E così, inizialmente, mi sono accontentata di un compromesso: far entrare il cappellano dell’ospedale per dare una benedizione al mio piccolo il giorno dell’operazione. Ma mio marito non si è arreso: ha insistito perché potessimo scegliere noi come salutare il nostro bambino e ha chiamato le pompe funebri.

Sono stati gli addetti delle pompe funebri a dirci che per legge era possibile. Si sono informati, hanno  ottenuto tutti i permessi necessari dal comune, dal distretto sanitario, dal reparto di ginecologia. Hanno speso 3 giorni di lavoro per noi, perché fosse esaudita la nostra richiesta (senza farci pagare nulla, se non la cassettina in legno pregiato in cui lo avrebbero riposto: ci hanno regalato l’intero servizio funebre!).

E alla fine tutto è andato secondo i piani. La cerimonia si è svolta sabato 13 giugno: giorno in cui ricorre l’anniversario della nascita in Cielo di Chiara Corbella. Ci è sembrata una coincidenza bellissima. Spesso mio marito mi diceva: ‘Parli troppo di Chiara tu, secondo me il Signore ti chiederà qualcosa di simile, prima o poi…’. In cuor mio pensavo: ‘Speriamo di no…’, ma poi aggiungevo: ‘Quello che vuoi tu Signore, basta che mi dai la tua grazia’.

E la grazia non è mancata. Anzi, posso testimoniare che la consolazione è stata più grande del dolore. posso testimoniare che, come diceva Chiara, davvero il giogo del Signore è leggero. Il segreto è portarlo con Lui, nutrirsi di Lui. Ho capito che nessun cielo è troppo nero da non poter essere rischiarato dalla grazia. E che se il diavolo vince noi quando ci trova ‘soli’, Cristo vince il diavolo, se rimaniamo in Lui attraverso l’Eucaristia.

Il giorno del funerale, davanti alla piccola bara bianca di Andrea (così lo abbiamo chiamato) ci siamo commossi. Era tutto così reale, lui era lì, aveva un nome, un cognome. Aveva un corpo, piccolo come una noce, ma destinato alla Resurrezione nell’ultimo giorno, proprio come i nostri. E proprio noi gli avevamo già donato la vita! Era toccante vedere quella bara bianca con degli angeli incastonati a due metri dal tabernacolo. Mi sembrava un dono immenso che mio figlio fosse davanti a Cristo, invece che in un inceneritore. 

Pochi giorni prima di scoprire che Andrea non c’era più, avevo chiesto una cosa al Signore: che mi mostrasse quanto amava i bambini ancora non nati. Incredibile che avesse deciso di rispondermi con la vita stessa di mio figlio. Una vita breve, ‘con dei difetti’, ma già assolutamente unica, preziosa, irripetibile.

‘Questo bambino, questa morte prematura, questo funerale devono aprire molti occhi’, ho sentito varie volte in preghiera, dopo la morte di Andrea. Non sapevo quali occhi avrebbe dovuto aprire, ma senza dubbio, anzitutto, aveva aperto molto di più i miei. ‘Vedrai che la prossima volta andrà meglio’, mi hanno detto per consolarmi.

Ma in che senso sarebbe dovuto andare meglio la prossima volta? Intendiamoci: perdere un figlio è un dolore immenso. Ma mentre lo stavamo accompagnando in Cielo pensavamo che non era stato solo un errore della natura da dimenticare, un tentativo fallito. Non era stato solo un feto malformato senza alcun valore. Era già nostro figlio, lo sarebbe stato per sempre e ci attendeva in Paradiso per godere l’eternità insieme.

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