La lettera da Bose tutto dice nel titolo: “Non siamo migliori”. Tante parole per spiegarci di non aver saputo resistere al Maligno

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Ad un mese dal Decreto del Cardinal Segretaria di Stato che ha disposto la cacciata del fondatore Rag. Enzo Bianchi, la Comunità di Bose con una lettera pubblica chiede perdono per lo scandalo… e manifesta la volontà… di ripartire.
Fossero rimasti in silenzio, sarebbero stati veramente migliori, mostrando di aver imparato qualcosa dal passato e soprattutto l’umiltà. In questo modo fanno capire la cosa più importante: la Comunità di Bose veramente non è migliore.

“I fratelli e le sorelle di Bose” parlano di “pace e chiarezza”, cosa che con la loro lettera non ci donano.

Chiedere “perdono per lo scandalo che abbiamo suscitato e per la contro-testimonianza che abbiamo dato” va bene, ma spiegare in cosa consiste questo “scandalo suscitato” e “la contro-testimonianza data” era d’obbligo, visto che si è sentito la necessità di pubblicare una lettera sul proprio sito. Questa richiesta di perdono suona propria come vuota retorica.

Non ci viene spiegato in cosa consistono queste “profonde sofferenze nella vita fraterna a Bose” di cui la Santa Sede avrebbe “verificato la fondatezza”, “l’ha vagliata in un arco di tempo di quattro mesi, presumibilmente verificandone sia la fondatezza che l’esaustività, ritenendo gli elementi raccolti necessari e sufficienti”.

E con questo non sappiamo niente più di prima delle “cause profonde di un grave malessere relativo ‘all’esercizio dell’autorità, la gestione del governo e il clima fraterno’ a Bose”. Ripetiamo, la nebbia caso mai è diventata più fitta e se questo era lo scopo della loro lettera, “i fratelli e le sorelle di Bose” sono perfettamente riuscito nel loro intento.

Indicano “la profonda sofferenza quotidiana, lo sconforto e la demotivazione suscitati in molti fratelli e sorelle” senza spiegare il come e il perché.

Invece, improvvisamente la lettera diventa più chiara nella smentita (e mi astengo a dare un giudizio, lasciando a quanto segue il tempo che trova): “Nessuna espulsione, quindi, nessuna cacciata, ma un allontanamento temporaneo di alcuni membri della Comunità che ad essa continuano ad appartenere”. Invece, “le motivazioni specifiche di questa parte del provvedimento sono state comunicate dal delegato pontificio in forma riservata a ciascuno dei fratelli e alla sorella implicati nei provvedimenti”, quindi, nessuna spiegazione… motivi di privacy.

Altrettanto chiaro, e qui sarebbe facile provare che non è vero: “Queste disposizioni non riguardano assolutamente questioni di ortodossia dottrinale”. Quell’elenco esplicito dei non divieti contiene però una parola, “ predicazione”. Ma i membri della Comunità di bose non fanno parte del clero e quindi non avrebbero la facoltà di “predicazione”?

Per quanto riguarda il riferimento alla lettera del Cardinale Segretario di Stato, con “espliciti e reiterati riferimenti alle nostre peculiarità più preziose: la scelta della vita monastica nel celibato e nella vita comune, la presenza di fratelli e sorelle in un’unica comunità, la composizione ecumenica dei suoi membri e il suo prodigarsi nel movimento ecumenico”, porta a delle domande d’obbligo: c’erano o non c’erano problemi con il celibato? C’erano o non c’erano problemi con il movimento ecumenico?

Ma la lettera, in ogni sua parte, continua a suscitare domande, senza offrie risposte. Perché la visita apostolica e le sue conclusioni è “fonte di sconcerto e di ulteriori sofferenze anche tra di noi fratelli e sorelle di Bose”? In cosa consiste “la rimodulazione della Comunità successiva agli esiti della visita”? Ci sembra lecito porsi delle domande al riguardo, visto che sono “i fratelli e le sorelle di Bose” che buttano il sasso nello stagno.
E in fondo, nel fondo della lettera troviamo la risposta. Dopo aver insistito che “la risposta non la si possa trovare nell’attribuire colpe e responsabilità agli uni o agli altri”, quindi, continuando a non dire di quale “colpe e responsabilità” si tratta, arriva la sacrosanta verità che la Comunità di Bose non è diversa e la risposta alle domanda si trova “nella lucida constatazione”: “Non siamo migliori”. E udite, udite: “Il Divisore non ci ha risparmiato e noi non abbiamo saputo fronteggiarlo con sufficiente fede, speranza e carità”. Sì, in quel “non siamo migliori” si trova la verità, di non aver saputo apporre resistenza al Maligno (“Il Divisore”), che “ha in verità radici più lontane”. Ovviamente, senza spiegare quale sono e da dove vengono questi “radici”.

Edificante la conclusione, quando viene invocata “la misericordia del Signore e il suo perdono, che passa attraverso il perdono che sapremo offrirci gli uni gli altri”, ma senza specificare per cosa “i fratelli e le sorelle di Bose” chiedono il perdono “gli uni gli altri”. Ovviamente, potrebbero anche rispondere che non sono cose nostre, ma perché allora lavare i propri panni sporchi in pubblico?

Non è stato chiarito niente e niente è stato risolto. Insomma, è come aspettare, che ci avrebbero spiegato che gli asini a Bose volano e che gli elefanti fanno i nidi sui tetti monastici. Eh, beh, come ci siamo permessi, noi comuni mortali, di intervenire quando fanno la supercazzola!?

Da parte suo, il fondatore cacciato continua ad intervenire in modo compulsivo ossessivo, nello stesso stile della lettera della Comunità di Bose. Non rimane in silenzio, parla e non dice niente, non dona pace, suscita curiosità morbosa e con questo atteggiamento fornisce la giustificazione della sua cacciata:

“Giunge l’ora in cui solo il silenzio può esprimere la verità, perché la verità va ascoltata nella sua nudità e sulla croce che è il suo trono. Gesù per dire la verità di fronte a Erode ha fatto silenzio. ‘Jesus autem tacebat!’ sta scritto nel Vangelo” (Enzo Bianchi – Twitter, 1 giugno 2020).
“Se ami e cerchi il trionfo della verità, sii un amante del silenzio. Lascia agire il silenzio perché ogni parola inutile offende la verità. Ma non dimenticare la domanda di Gesù: ‘Se ho detto o fatto il male dimmi come e quando, ma se ho fatto o detto bene perché mi percuoti?’” (Enzo Bianchi – Twitter, 2 giugno 2020).
“Sulla nostra terra la notte può essere lunghissima, può essere tenebrosa e insopportabile: e non è detto che sia possibile attraversarla ma arriverà l’ora in cui sorgerà il sole e la notte sarà vinta” (Enzo Bianchi – Twitter, 9 giugno 2020).
“A volte nelle nostre sofferenze non riusciamo a replicare né a parlare: come ai morenti ci resta solo il lamento, il grido soffocato in gola, l’abbozzo di una unica domanda: ‘perché?’” (Enzo Bianchi – Twitter, 20 giugno 2020).
“Il silenzio è difficile, faticoso, e molto fragile: può solo confidare nella verità che sovente tarda ad apparire ma che si imporrà comunque nel giorno del giudizio quando il Signore manifesterà i pensieri dei cuori, e la realtà dell’amore vissuto” (Enzo Bianchi – Twitter, 23 giugno 2020).
“Sono ormai vecchio, vicino al termine della vita, e sempre, fin da bambino ho cercato di diventare cristiano: eppure devo constatare che nelle contrarietà e nelle ingiustizie non so dire: ‘qui è perfetta letizia!’” (Enzo Bianchi – Twitter, 25 giugno 2020).

Non siamo migliori

Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano,
a testimonianza dei legami fraterni che ci uniscono in diversi modi, in queste ultime settimane molti di voi ci hanno chiesto – con discrezione e rispetto, insistenza e preoccupazione, sconcerto o qualcuno perfino con rabbia – una parola sulla vicenda che ha coinvolto la Comunità e che è causa di molte e profonde sofferenze. Siamo rimasti in silenzio attendendo un certo tempo per non ferire ulteriormente le persone e dire una parola di pace e chiarezza, nella responsabilità che avvertiamo di rendere conto sia della speranza che è in noi, sia dello scandalo suscitato in tanti cristiani e persone che ci seguono…
Innanzitutto vi ringraziamo per la vicinanza che ci avete mostrato con messaggi, telefonate e visite, per la preghiera con la quale ci state accompagnando, per l’amicizia che, pur messa alla prova dagli eventi, non è venuta meno. E poi vogliamo chiedervi perdono per lo scandalo che abbiamo suscitato e per la contro-testimonianza che abbiamo dato.
Ma affinché questa gratitudine e questa richiesta di perdono non suonino come vuota retorica, vorremmo aiutarvi e aiutarci reciprocamente a capire più in profondità sia le sofferenze che stiamo attraversando e delle quali vi abbiamo reso partecipi, sia le speranze che nutriamo per il cammino che ci attende.
La visita apostolica è stata avviata dalla Santa Sede, a partire da diverse segnalazioni circa profonde sofferenze nella vita fraterna a Bose e dopo averne verificato la fondatezza. La Comunità ha accolto la visita in obbedienza, come segno di attenzione paterna da parte di papa Francesco e come aiuto a discernere le cause profonde di un grave malessere relativo “all’esercizio dell’autorità, la gestione del governo e il clima fraterno” a Bose.
La scelta delle persone incaricate di tale compito delicato è stata segno di un’attenzione alla nostra peculiare natura di comunità monastica di fratelli e sorelle, costitutiva del nostro vissuto fin dalle origini: oltre a un religioso esperto anche di problematiche attinenti alle relazioni umane (p. Amedeo Cencini), sono infatti stati chiamati a questo servizio un abate benedettino (p. Guillermo Arboleda) e una badessa trappista (m. Anne-Emmanuelle Devêche). La presenza di quest’ultima, che con p. Michel Van Parys aveva condotto una precedente visita alla comunità, garantiva inoltre la possibilità di far tesoro anche di quanto visto e ascoltato in quell’occasione. La visita del 2014 – la prima dopo quasi 50 anni di vita monastica a Bose – era stata di altra natura: l’allora priore fr. Enzo aveva chiamato un abate e una badessa di sua fiducia, che già conoscevano bene i fratelli e le sorelle di Bose, ritenendoli le persone più indicate a favorire un proficuo cammino comunitario verso il cambio di priore. Si trattò di una visita fraterna che poteva dare consigli e suggerimenti, ma senza potere di intervento reale. Alcune criticità erano emerse, ma queste non avevano impedito il percorso culminato con le dimissioni di fr. Enzo, da lui stesso annunciate da tempo, e l’elezione di fr. Luciano da parte della Comunità, secondo le modalità disposte dal nostro Statuto.
Così, tra dicembre dello scorso anno e l’Epifania di quest’anno, seppure non in modo continuativo, i visitatori inviati questa volta dalla Santa Sede hanno potuto ascoltare lungamente e anche a più riprese tutti i fratelli e le sorelle, sia residenti a Bose che nelle diverse Fraternità, e raccoglierne anche le testimonianze scritte. Al termine, come era stato loro richiesto, hanno sottoposto la loro relazione finale alla Santa Sede, che l’ha vagliata in un arco di tempo di quattro mesi, presumibilmente verificandone sia la fondatezza che l’esaustività, ritenendo gli elementi raccolti necessari e sufficienti alla stesura di una lettera al priore e alla Comunità e all’emanazione di un “decreto singolare, approvato dal Santo Padre in forma specifica”, contenenti una serie di indicazioni e disposizioni che riguardano la prima l’insieme della Comunità, il secondo il fondatore fr. Enzo, due altri monaci e una monaca. Per notificare il decreto e avviarne l’esecuzione, la Santa Sede ha nominato p. Amedeo Cencini delegato pontificio con pieni poteri, non “commissario”: non ha ritenuto cioè di dover esautorare il priore fr. Luciano legittimamente eletto nel 2017 – e riconfermato dalla Comunità due anni dopo, come richiesto dallo Statuto – bensì di sostenerlo nel suo ministero di presidenza all’unità della Comunità. Unità che i visitatori avevano constatato essere seriamente compromessa, vedendo la profonda sofferenza quotidiana, lo sconforto e la demotivazione suscitati in molti fratelli e sorelle.
Le disposizioni che hanno suscitato maggior impatto sia in Comunità che tra gli amici e presso l’opinione pubblica sono state indubbiamente la richiesta a fr. Enzo e ad altri tre membri di allontanarsi dalla Comunità e dalle Fraternità, restando fratelli e sorelle di Bose, per vivere per un certo tempo ciascuno in un luogo diverso, non necessariamente monastico. Nessuna espulsione, quindi, nessuna cacciata, ma un allontanamento temporaneo di alcuni membri della Comunità che ad essa continuano ad appartenere. Le motivazioni specifiche di questa parte del provvedimento sono state comunicate dal delegato pontificio in forma riservata a ciascuno dei fratelli e alla sorella implicati nei provvedimenti. Queste disposizioni non riguardano assolutamente questioni di ortodossia dottrinale: non vi è per loro nessun divieto di esercitare il ministero monastico di ascolto, di accompagnamento, di predicazione, di studio, di insegnamento, di pubblicazione, di ricerca biblica, teologica, patristica, spirituale…
Quanto invece alle disposizioni che riguardano l’insieme della Comunità, esse sono state comunicate a tutti i membri della Comunità, attraverso una lettera del cardinale Segretario di Stato + Pietro Parolin al priore fr. Luciano, che indica anche un cammino da intraprendere per garantire la permanenza e lo sviluppo del carisma fondativo di Bose negli anni a venire, con espliciti e reiterati riferimenti alle nostre peculiarità più preziose: la scelta della vita monastica nel celibato e nella vita comune, la presenza di fratelli e sorelle in un’unica comunità, la composizione ecumenica dei suoi membri e il suo prodigarsi nel movimento ecumenico: un ecumenismo, quindi, non solo spirituale o di intenti, ma di concreta vita comune quotidiana tra fratelli e sorelle appartenenti a Chiese cristiane diverse.
Come leggere con gli occhi della fede questo evento della visita apostolica e delle sue conclusioni, rivelatosi da un lato necessario e, d’altro lato, fonte di sconcerto e di ulteriori sofferenze anche tra di noi fratelli e sorelle di Bose? Crediamo che la risposta non la si possa trovare nell’attribuire colpe e responsabilità agli uni o agli altri, bensì nella lucida constatazione che “non siamo migliori” e che il Divisore non ci ha risparmiato e noi non abbiamo saputo fronteggiarlo con sufficiente fede, speranza e carità. Sì, “non siamo migliori” non è solamente un adagio che fr. Enzo ha coniato fin dai primi anni della nostra vita a Bose, riprendendolo anche come titolo di un suo libro sulla vita monastica. È invece una realtà che noi da sempre tocchiamo con mano e di cui ora anche voi, amici e ospiti, vi rendete conto con sofferenza. Anche questa crisi che ora è esplosa in modo manifesto, e per tanti di voi in maniera assolutamente inaspettata, ha in verità radici più lontane.
Anche in questo doloroso frangente della nostra storia cerchiamo di proseguire quotidianamente nella nostra vita di preghiera, di lavoro e di ospitalità, come molti di voi l’hanno conosciuta in tutti questi anni, pur dovendo fare i conti con le conseguenze della pandemia e con la rimodulazione della Comunità successiva agli esiti della visita. Possiamo farlo solo invocando la misericordia del Signore e il suo perdono, che passa attraverso il perdono che sapremo offrirci gli uni gli altri. Vi chiediamo di continuare a pregare per noi, affinché tutti noi – a Bose, nelle Fraternità e negli altri luoghi in cui ci troviamo a vivere – possiamo continuare a cercare di essere discepoli di Cristo, possiamo ricominciare un cammino di conversione e di sequela del Signore, possiamo ascoltare e mettere in pratica ogni giorno il Vangelo: solo così la nostra testimonianza potrà essere credibile e potremo, anche assieme a voi, tratteggiare qualche lineamento del volto del Signore Gesù, così da renderlo visibile e amabile ai nostri fratelli e alle nostre sorelle in umanità.

I fratelli e le sorelle di Bose
Bose, 19 giugno 2020
San Romualdo, monaco

Articoli precedenti

Ritornando sul caso della cacciata e del tramonto del fondatore della comunità sincretica di Bose – 10 giugno 2020
– I veri colpevoli della cacciata di Enzo Bianchi (e compari) da Bose secondo lo storico Melloni. La lettura di Romana Vulneratus Curiae – 30 maggio 2020
– Il Cardinale Parolin con decreto approvato dal Papa ordina ad Enzo Bianchi di andarsene dal Monastero di Bose, decaduto da tutti gli incarichi – 26 maggio 2020

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