Il viaggio a Regensburg mostra chi è realmente Benedetto XVI. Il significato profondo che ha per lui il senso della famiglia

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“Probabilmente, è in questo viaggio che dobbiamo andare a cercare il senso dell’insegnamento di Benedetto XVI. Sembra un qualcosa di banale. Ma, come tutte le cose veramente semplici e vere, è una cosa enorme”, così conclude la sua riflessione l’amico e collega Andrea Gagliarducci su Vatican Reporting: “(…) si deve guardare ai dati di fatto. Alla presenza sempre crescente di persone ad assistere alle udienze generali e agli angelus, andate lì non per vedere un leader, ma per ascoltare lui, le sue lezioni, le sue letture. Non contava l’immagine del Papa, contava ciò che il Papa diceva e ciò che il Papa trasmetteva. (…) A quanti si chiedono perché Benedetto XVI è amato nonostante tutto, nonostante le campagne feroci che sono state fatte contro di lui, nonostante il fatto che poco sia stato compreso di lui, la risposta sta proprio nella sua autenticità, nel suo essere rimasto sempre se stesso. Lui non è diventato uomo di potere prendendo il potere. Ha servito la verità, sempre, mantenendo fermo il suo motto ‘Cooperatores Veritatis’”.

Benedetto XVI e quello che questo viaggio in Baviera racconta di lui
di Andrea Gagliarducci
Vatican Reporting, 21 giugno 2020


Ci siamo affannati, per lungo tempo, ad interpretarne il pontificato con le categorie della politica e dell’ideologia, e quelli che magari erano i più raffinati tra noi sono andati a cercare di sondarne il pensiero teologico, per comprendere il come e il perché di tante scelte. Eppure, c’è una chiave di lettura di Benedetto XVI che ci è spesso sfuggita, e che è tornata prepotentemente alla luce in questi giorni: il suo legame con la famiglia.
A 93 anni, Benedetto XVI ha deciso di chiedere di organizzare per lui un viaggio in Baviera, per andare a trovare il fratello Georg, 96 anni, che è molto malato. Come al solito, Georg sarebbe dovuto essere in visita da Benedetto XVI in Vaticano tra marzo e aprile, ma la pandemia non lo ha permesso. Nel momento in cui Benedetto XVI ha saputo dell’aggravarsi del fratello, ha chiesto di organizzare per lui questo viaggio di qualche giorno.
È un viaggio che appare come un lungo addio, e che si collega idealmente alla gita tra Castel Gandolfo e Frascati dello scorso annoBenedetto XVI è potuto tornare a casa, ha visitato Pentling, è stato sulla tomba dei genitori, ha celebrato messa con suo fratello. È stato amato al punto che tutta la comunicazione su di lui è stata discreto. Ovvio, se ne sono seguite le mosse, la diocesi di Regensburg ogni giorno ha dato un piccolo bollettino di cosa stava facendo l’illustre ospite, ma sempre cercando di rispettarne al massimo la privacy.
Un po’ come succedeva quando Benedetto XVI villeggiava a Castel Gandofo l’estate, e gli abitanti del luogo lo prendevano così in simpatia da non assalirlo nemmeno quando, un po’ in ritardo per la cena, si vedeva passare sulla macchina da golf sulla piazza del Paese, per tagliare verso l’ingresso nel portone centrale invece di ripercorrere tutti i giardini delle ville.
L’attenzione e l’amore suscitati da Benedetto XVI restano un mistero, se letti con le categorie del mondo. Diventano, però, qualcosa di davvero concreto se ci si rende conto che tutto quello che Benedetto XVI è, lo è perché non ha mai rinnegato il legame con la sua famiglia. Anzi, lo ha mantenuto vivo.
Il Natale prima della rinuncia, fu ritrovata e pubblicata una lettera di Joseph Ratzinger bambino per il Bambino Gesù, la tipica lettera di un bambino di 7 anni (era del 1934) per chiedere dei doni di Natale.
La lettera, scritta nella caratteristica calligrafia corsiva dell’epoca chiamata Sütterlinschrift, iniziava così: “Caro Bambino Gesù, presto scenderai sulla terra. Porterai gioia ai bambini. Anche a me porterai gioia”.
Quindi, il piccolo Joseph chiedeva: “Vorrei il Volks-Schott, un vestito per la messa verde e un Cuore di Gesù. Sarò sempre bravo. Cari saluti da Joseph Ratzinger.”  
Era una lettera così singolare che la sorella Maria – che ha accudito Joseph fino a quando non è morta – aveva deciso di custodirla. Era stata ritrovata durante i lavori di ristrutturazione della casa di Joseph Ratzinger a Pentling, in Baviera, oggi trasformata in un Museo dedicato al Pontefice. All’inaugurazione del Museo, alla fine dell’estate 2012, l’allora monsignor Georg Gaesnwein, segretario particolare del Papa, aveva riferito che la scoperta della lettera “ha molto rallegrato il Papa e il suo contenuto lo ha fatto sorridere”.
Quello che colpisce di più della lettera, infatti, è che il piccolo Joseph non chiedeva giocattoli o dolci. Chiedeva lo Schott, ovvero uno dei primi libri di preghiere con il messale in lingua tedesca con testo a fronte in latino. All’ epoca in Germania ne esistevano due edizioni, una per adulti e una per bambini. E il piccolo Joseph proprio attraverso quel libretto inizia ad amare la liturgia sul cui ritmo era modellata la vita della famiglia.
Quindi, il piccolo Joseph chiedeva un paramento per celebrare la messa. Non c’è da stupirsi, perché i fratelli Ratzinger facevano spesso il “gioco del parroco” per il quale la mamma preparava dei paramenti. “Si celebrava la messa – aveva raccontato il fratello Georg in una intervista al mensile Inside the Vatican – e avevamo delle casule fatte dalla sarta della mamma proprio per noi. E uno volta a turno eravamo il ministrante o il chierichetto.” Infine, il piccolo Joseph aveva chiesto un “ Cuore di Gesù”, ovvero una immagine del Sacro Cuore cui era molto devota tutta la famiglia.
Tra l’altro, il fatto che Benedetto XVI sia arrivato in Baviera in tempo per celebrare la Messa del Sacro Cuore con il fratello Georg sembra quasi la chiusura di un cerchio, una circostanza che ancora di più mostra chi è realmente Benedetto XVI.
Ma il fratello Georg non è da meno. Nel libro intervista “Mio fratello, il Papa”, scritto con Michael Heisenman, non si fa scrupoli a spiegare che, una volta che il fratello riuscì a comunicargli dell’elezione a Papa, lui non abbia “visto il fasto, né la bellezza del fatto che mio fratello era stato eletto Papa, ma solo la sfida di questo ufficio, che ora chiedeva tutto di lui, e l’onere che significava. Ed ero triste, perché ora probabilmente non avrebbe più avuto tempo per me. Così sono andato a letto piuttosto depresso”.
Erano presumibilmente tristi anche gli allievi dello Schuelerkreis, il circolo di ex studenti che si era radunato intorno al Cardinale Joseph Ratzinger quando questi fu richiamato da Paolo VI dalla sua vita universitaria per diventare arcivescovo di Monaco e Frisinga nel 1978. E i suoi allievi erano tristi anche quando il Cardinale Ratzinger fu chiamato a Roma come prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede nel 1981. In tutti i casi, pensavano che non avrebbe avuto tempo per loro.
Sia i suoi ex studenti che il fratello sono stati smentiti, perché Benedetto XVI non ha mai mancato di avere tempo per le persone che amava. Da teologo, non ha mai formato una vera e propria scuola teologica, ma ha formato una famiglia teologica. Persone che lo amavano, lo stimavano, e ne stimavano soprattutto le idee. Lui aveva convinto tutti con l’umiltà della sua persona e la raffinatezza del suo ragionamento. Non aveva mai voluto essere un leader, ma la sua forza è stata proprio in quel non volerlo essere.
Da professore, Joseph Ratzinger studiava perché negli occhi degli studenti si ritrovasse quella sorpresa della ricerca, quell’amore che lui stesso provava. Amava dire che fin quando gli studenti prendevano appunti, era tutto normale, ma era quando staccavano gli occhi dal foglio per meglio ascoltare che si poteva dire che il professore aveva davvero avuto successo, perché quello significava che aveva saputo sorprenderli.
Questa carica umana la ha mantenuta come prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, dove ha stabilito un metodo di lavoro che permettesse a tutti di essere parte delle decisioni. Non c’era solo il modo particolarissimo di sviluppare anche le condanne, mai punitive e sempre esplicative – basti pensare che ci sono due istruzioni sulla Teologia della Liberazione, una che va a valorizzare quello di buono che c’è, un’altra che invece va a mettere in luce quali sono gli errori. C’era anche la riunione della Feria IV, in cui tutti dovevano essere resi partecipi, tutti dovevano essere, in qualche modo famiglia.
Non si comprende Benedetto XVI senza comprendere il significato profondo che ha il senso della famiglia per lui.
Benedetto XVI non lascia indietro le persone che ama, e questo era il dato da non sottovalutare quando tutti gli chiedevano di far dimettere il cardinale Tarcisio Bertone come segretario di Stato, oppure quando tutti si sorprendevano del perdono concesso a Paolo Gabriele, il maggiordomo infedele.
È che Benedetto XVI andava al di là degli errori, guardava alle persone e alla crescita personale di ciascuno. Responsabilizzava tutti. Nel pieno dello scandalo degli abusi di Irlanda, non rispose con un totale repulisti delle diocesi, ma accompagnò le diocesi con una visitazione apostolica, responsabilizzò i vescovi in due riunioni in Vaticano (e i responsabili offrirono passo dopo passo le loro dimissioni) e poi inviò una lettera ai cattolici di Irlanda che ancora oggi resta uno dei capolavori del pontificato, ma anche una delle chiavi di lettura più profonde della crisi in atto.
Benedetto XVI non poteva comprendere i complotti, perché in famiglia non ci sono complotti. Ci sono confronti, ma c’è anche amore e reciproco. Il senso del “mordere e divorare” messo in luce nella sua lettera sulla remissione della scomunica a quattro vescovi lefevriani sta lì.
L’obiettivo di Benedetto XVI era, in fondo, prima di tutto di esercitare una paternità. Quando si parla di un Papa poco amato, lo si dice solo perché si legge il pontificato attraverso i prismi della politica, dell’ideologia, del potere. Tutte caratteristiche che non riguardavano per niente Benedetto XVI.
Ma poi si deve guardare ai dati di fatto. Alla presenza sempre crescente di persone ad assistere alle udienze generali e agli angelus, andate lì non per vedere un leader, ma per ascoltare lui, le sue lezioni, le sue letture. Non contava l’immagine del Papa, contava ciò che il Papa diceva e ciò che il Papa trasmetteva.
Tutto il pontificato si può leggere attraverso questa chiave di lettura della famiglia al centro, a partire dalla famiglia Ratzinger. Una famiglia umile, che pure ha dato alla luce un Papa che è tra i più grandi teologi contemporanei, il più moderno che esista tanto che ha avuto il coraggio di rinunciare al pontificato, e un musicista brillante che per anni ha diretto il coro di Ratisbona.
Una famiglia che prima di tutto ha dato alla luce due fratelli che sono rimasti quelli che erano, che sono rimasti legati come lo erano alla sorella Maria, la prima di loro ad essere andata via, e colei che aveva dedicato tutta la vita ai suoi due fratelli.Georg Ratzinger addirittura fa risalire l’orso di San Corbiniano presente nello stemma episcopale di Benedetto XVI a un regalo che ricevette da bambino.
Si legge ancora in “Mio fratello, il Papa” che nel 1928 il piccolo Joseph aveva ricevuto in dono un peluche che desiderava, un orsetto che aveva visto nelle vetrine di Marktl am Inn. “Era davvero affezionato a quei pupazzi. L’orso di San Corbiniano usato nel suo stemma è diventato simbolo del suo cammino”, scriveva Georg Ratzinger.
A quanti si chiedono perché Benedetto XVI è amato nonostante tutto, nonostante le campagne feroci che sono state fatte contro di lui, nonostante il fatto che poco sia stato compreso di luila risposta sta proprio nella sua autenticità, nel suo essere rimasto sempre se stesso. Lui non è diventato uomo di potere prendendo il potere. Ha servito la verità, sempre, mantenendo fermo il suo motto “Cooperatores Veritatis”. E lo ha fatto guardando al primo esempio forte della sua vita, la famiglia.
In una vita fatta di segni, in cui niente è casuale, non si può sottovalutare il fatto che l’ultimo discorso di auguri di Natale alla Curia di Benedetto XVI fu incentrato proprio sulla famiglia. Da teologo, aveva sviluppato una riflessione tutta sua sul significato della famiglia, tutto basato sulla Santa Famiglia di Nazareth, tutto portato a spiegare il senso della famiglia tradizionale. Una difesa con un fondamento teologico ben definito. Ma anche con un fondamento razionale.
E di quel fondamento si trovò traccia nel discorso di Natale 2012 indirizzato a una Curia che era scossa dallo scandalo Vatileaks. Nell’occasione, Benedetto XVI non fece nessun accenno a Vatileaks, nessun accenno ai problemi interni della Chiesa. Perché questi in fondo, quegli eventi sono poca cosa, normale miseria umana, per quanto possa scandalizzare che accadano anche nella Chiesa. Benedetto XVI aveva invece messo sul tavolo tre temi che hanno segnato davvero la vita della Chiesa e che saranno l’agenda futura dei prossimo decenni: famiglia, dialogo, nuova evangelizzazione.
La famiglia, in particolare, era la chiave, il punto di partenza e Benedetto XVI la difesecriticando l’idea di gender, che mette in crisi l’idea stessa dell’uomo. Umanesimo integrale e famiglia erano strettamente collegati, per Benedetto XVI.
È un concetto alto, filosofico, profondo, che andrebbe analizzato in un articolo a parte perché di Benedetto XVI non si possono estrapolare concetti, si deve seguire il ragionamento fino in fondo.
Di certo, sono concetti che rappresentano il punto di arrivo di un percorso, e che non si possono comprendere senza guardare a questo incredibile viaggio che un uomo di 93 anni, un Papa emerito, ha deciso di fare per andare a trovare il fratello malato, cogliendo l’occasione per pregare sulla tomba dei genitori e della sorella.
Un viaggio che è parte di un lungo addio di Benedetto XVI e che si include in quella serie di gesti invisibili e semplici cui il Papa emerito ci ha abituato. Gesti cui spesso non si è dato risalto, ma che invece sono il senso stesso della sua vita e del suo insegnamento.
Probabilmente, è in questo viaggio che dobbiamo andare a cercare il senso dell’insegnamento di Benedetto XVI. Sembra un qualcosa di banale. Ma, come tutte le cose veramente semplici e vere, è una cosa enorme.

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