Farsa. Comportamento privo di serietà, cosa non seria, messinscena, buffonata, processo farsa in quanto sentenza già decisa

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La parola del giorno per oggi è il sostantivo femminile “farsa” dal francese “farce” (ripieno, propriamente “carne tritata”) derivato del vocabolo latino “farcire” (farcire, riempire), originalmente genere teatrale, componimento teatrale comico, breve e grossolano; poi, per estensione e priva di significato specifico, la parola indica in modo spregiativo qualunque commedia, teatrale o cinematografica che, priva di valore artistico, si proponga il solo scopo di eccitare il facile riso di spettatori non raffinati; da cui in senso figurativo ogni avvenimento ridicolo.

Il termine che in origine (nella forma francese “farce” o in una corrispondente forma latina medievale “farsa”) indicò vari tipi di intervento popolaresco nelle cerimonie liturgiche, mediante interpolazione di testi e canti in volgare nei testi e nelle melodie della liturgia tradizionale, o anche l’inserzione di intermezzi comici nelle sacre rappresentazioni che si tenevano sul sagrato delle chiese.

Quindi, originalmente “farsa” era un genere di opera teatrale (tuttora rappresentato), per l’abitudine di impiegare le farse come brevi interludi “riempitivi” tra due drammi seri. Il carattere della farsa è esasperante comico, spesso con qualche grossolanità. La struttura e trama della farsa sono basate su situazioni e personaggi stravaganti, anche se in generale viene mantenuto un certo realismo e nei loro aspetti irrazionali. I temi e i personaggi possono essere di fantasia, però devono risultare credibili e verosimili. Anche se la farsa è prevalentemente comica, sono state scritte farse in tutti gli stili teatrali.

La parola “farce” e con essa anche il genere si impose in Francia nel XIII secolo e tra i capiscuola è da annoverare Adam de la Halle con la sua opera Jeu de la feuillée (1276), dove il protagonista è un diavolo, progenitore di Arlecchino. La farsa si rinnovò nel corso dei secoli a seconda delle esigenze, sia nel contenuto sia nella forma, arrivando fino alla farsetta settecentesca, simbolo dell’opera buffa o comica, costituita per lo più di un solo atto, talora anche musicata, aveva il compito specifico di rallegrare gli spettatori alla fine di una tragedia o anche di una commedia troppo impegnativa.

Però, le origini del genere sono molto antiche e già i fliaci greci potevano considerarsi attori farseschi. La farse è passata nel teatro intorno al XIII secolo da quello ecclesiastico, dove rappresentava le interpolazioni immesse nei testi liturgici allo scopo di renderli più comprensibili ai fedeli. Queste aggiunte apparvero spesso buffe e talvolta licenziose.

Nel medioevo c’era un solo spazio istituzionalmente riconosciuto per il teatro: la chiesa. E ad essere messe in scena erano naturalmente sacre rappresentazioni, a tutto vantaggio del popolo che, non capendo nulla di latino, poteva seguire le sacre scritture solo con grande difficoltà, spesso capendo fischi per fiaschi – mentre tutti sanno seguire bene una messinscena.

Le rappresentazioni sacre ebbero un successo tale che iniziarono a uscire dai loro primi confini. Confini fisici, quando per raccogliere maggior pubblico (e al contempo, magari, fare concorrenza agli spettacoli dei saltimbanchi) si portarono sui sagrati e in piazza, e confini tematici, aprendosi al profano.

Quando il teatro è forte è in grado di digerire tutto. Fu proprio nelle sacre rappresentazioni che un tipo di commedia breve, grossolana, erede del mimo latino (in effetti, unica alternativa parateatrale esistente ai tempi), trovò spazio come intermezzo ravvivante. Nient’altro che un riempitivo gustoso, una farcitura, una farcia, una farsa.

Per estensione è andata ad indicare qualsiasi rappresentazione teatrale, cinematografica o televisiva, destinata unicamente a suscitare il riso, spesso con espedienti dozzinali e di dubbio gusto.

Per analogia, si chiamò così, ai primordi del cinema, la scena comica finale che si usava far seguire ai film drammatici.

Nell’Ottocento la storia della farsa si confuse con quella dell’operetta e del vaudeville e successivamente con quella della rivista musicale. Nella Francia era molto popolare la “pochade”, ossia una farsa che consisteva in giochi di equivoci all’interno di una famiglia borghese parigina. I massimi rappresentati di questo sottogenere furono Georges Feydeau e Tristan Bernard.

Fu il più importante attore e autore del teatro napoletano tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, capostipite della dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo. Creò il teatro dialettale moderno, che ancora oggi si usa e si specializzò nell’adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi; la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà, fu però una creazione originale del suo repertorio. Vanta una carriera lunghissima di commediografo (dal 1875), interrotta bruscamente da una celebre causa intentatagli da Gabriele D’Annunzio nel 1904. Scarpetta fu anche attore cinematografico agli albori della “settima arte”. Egli girò alcuni film per una casa di produzione milanese, la “Musical Film” di Renzo Sonzogno, tratti dalle sue commedie: Miseria e nobiltà (1914, diretto da Enrico Guazzoni), La nutrice (1914, diretto da Alessandro Boutet), Un antico caffè napoletano (1914), Tre pecore viziose (1915) e Lo scaldaletto (1915) diretti da Gino Rossetti. Di questi film ci rimangono solo alcune foto di scena di Scarpetta e di altri interpreti.

Padre di numerosi figli (riconosciuti e no): oltre a Vincenzo, Domenico, Maria Scarpetta, vi sono i celebri Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, il poeta Ernesto Murolo (padre del cantante Roberto Murolo), Eduardo (De Filippo) in arte Passarelli e suo fratello Pasquale De Filippo.

Da qui per estensione indica un comportamento privo di serietà, una cosa non seria, una messinscena (una sceneggiata, appunto), una buffonata (da opera buffa, appunto), soprattutto in senso spregiativo. Diminutivo: farsetta, farsettina (quest’ultimo, solo nel senso proprio). Peggiorativo: farsàccia. Aggettivo: processo farsa, quello che viene celebrato solo formalmente in quanto la sentenza è già stata decisa.

“Questo procedimento è tutto una farsa”.
“Si è scoperto che era tutta una farsa”.
“Smettiamola con queste farse indegne!”.


Fonte: Unaparolaalgiorno.it, Wikipedia, Treccani.it.

Postscriptum

E così siamo arrivati dove volevamo arrivare, perché di questa “parola del giorno per oggi” avremo bisogno per un nostro articolo (insieme alle reminiscenze storiche su Mastro Titta di ieri). E come già detto ieri, che sarà molto pesante.
A domani!

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