Papa Francesco: la preghiera ci cambia

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Al termine dell’udienza generale dal palazzo apostolico papa Francesco ha ricordato la solennità del Corpus Domini, invitando i fedeli alla ‘vita eucaristica’: “Domani è la Solennità del Corpus Domini, Corpo e Sangue di Cristo. Quest’anno non è possibile celebrare l’Eucaristia con manifestazione pubbliche, tuttavia possiamo realizzare una ‘vita eucaristica’. L’ostia consacrata racchiude la persona del Cristo: siamo chiamati a cercarla davanti al tabernacolo in chiesa, ma anche in quel tabernacolo che sono gli ultimi, i sofferenti, le persone sole e povere. Gesù stesso lo ha detto”.

E prima del saluto conclusivo il papa ha sottolineato che i bambini sono il futuro della vita umana ed ha invitato gli Stati all’eliminazione del lavoro minorile: “Venerdì prossimo, 12 giugno, si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, un fenomeno che priva i bambini e le bambine della loro infanzia e che ne mette a repentaglio lo sviluppo integrale.

Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, in diversi Paesi molti bambini e ragazzi sono costretti a lavori inadeguati alla loro età, per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà. In non pochi casi si tratta di forme di schiavitù e di reclusione, con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche. Tutti noi siamo responsabili di questo.

Faccio appello alle istituzioni affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori, colmando le lacune economiche e sociali che stanno alla base della dinamica distorta nella quale essi sono purtroppo coinvolti. I bambini sono il futuro della famiglia umana: a tutti noi spetta il compito di favorirne la crescita, la salute e la serenità!”

La catechesi papale è continuata sulla riflessione della preghiera, incentrata sullo stile di Giacobbe: “Il libro della Genesi, attraverso le vicende di uomini e donne di epoche lontane, ci racconta storie in cui noi possiamo rispecchiare la nostra vita. Nel ciclo dei patriarchi, troviamo anche quella di un uomo che aveva fatto della scaltrezza la sua dote migliore: Giacobbe. Il racconto biblico ci parla del difficile rapporto che Giacobbe aveva con suo fratello Esaù.

Fin da piccoli, tra loro c’è rivalità, e non sarà mai superata in seguito. Giacobbe è il secondogenito (erano gemelli), ma con l’inganno riesce a carpire al padre Isacco la benedizione e il dono della primogenitura. E’ solo la prima di una lunga serie di astuzie di cui questo uomo spregiudicato è capace. Anche il nome ‘Giacobbe’ significa qualcuno che ha scaltrezza nel muoversi”.

Nel raccontare la sua storia il papa ha sottolineato la nostalgia di Giacobbe per la sua casa: “Gli manca il rapporto vivo con le proprie radici. E un giorno sente il richiamo di casa, della sua antica patria, dove ancora viveva Esaù, il fratello con cui sempre era stato in pessimi rapporti. Giacobbe parte e compie un lungo viaggio con una carovana numerosa di persone e animali, finché arriva all’ultima tappa, al torrente Jabbok.

Qui il libro della Genesi ci offre una pagina memorabile. Racconta che il patriarca, dopo aver fatto attraversare il torrente a tutta la sua gente e tutto il bestiame – che era tanto -, rimane da solo sulla sponda straniera. E pensa: che cosa lo attende per l’indomani? Che atteggiamento assumerà suo fratello Esaù, al quale aveva rubato la primogenitura? La mente di Giacobbe è un turbinio di pensieri… E, mentre si fa buio, all’improvviso uno sconosciuto lo afferra e comincia a lottare con lui”.

Nella notte avviene la ‘misteriosa’ lotta con Dio; questo significa che la preghiera avviene in molti modi: “Lottare con Dio: una metafora della preghiera. Altre volte Giacobbe si era mostrato capace di dialogare con Dio, di sentirlo come presenza amica e vicina. Ma in quella notte, attraverso una lotta che si protrae a lungo e che lo vede quasi soccombere, il patriarca esce cambiato. Cambio del nome, cambio del modo di vivere e cambio della personalità: esce cambiato.

Per una volta non è più padrone della situazione (la sua scaltrezza non serve), non è più l’uomo stratega e calcolatore; Dio lo riporta alla sua verità di mortale che trema e ha paura, perché Giacobbe nella lotta aveva paura”.

La preghiera fa essere vulnerabili e graditi a Dio: “Per una volta Giacobbe non ha altro da presentare a Dio che la sua fragilità e la sua impotenza, anche i suoi peccati. Ed è questo Giacobbe a ricevere da Dio la benedizione, con la quale entra zoppicando nella terra promessa: vulnerabile, e vulnerato, ma con il cuore nuovo…

Giacobbe, prima era uno sicuro di sé, confidava nella propria scaltrezza. Era un uomo impermeabile alla grazia, refrattario alla misericordia; non conosceva cosa fosse la misericordia… Ma Dio ha salvato ciò che era perduto. Gli ha fatto capire che era limitato, che era un peccatore che aveva bisogno di misericordia e lo salvò”.

Al termine ha invitato i fedeli a lasciarsi cambiare da Dio: “Tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio, nella notte della nostra vita, nelle tante notti della nostra vita: momenti oscuri, momenti di peccati, momenti di disorientamento. Lì c’è un appuntamento con Dio, sempre.

Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli. In quella stessa notte, combattendo contro l’ignoto, prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini ma, proprio allora, nel momento in cui ci sentiamo ‘poveracci’, non dovremo temere: perché in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita; ci cambierà il cuore e ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui. Questo è un bell’invito a lasciarci cambiare da Dio. Lui sa come farlo, perché conosce ognuno di noi”.

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